Gli effetti del Superbonus non finiscono più: il deficit balza al 7,2%

In novembre scorso il flusso dei dati riservati dell’Agenzia delle Entrate e di quelli pubblici dell’Enea, l’ente che registra gli interventi finanziati dal Superbonus immobiliare, mettevano già in evidenza una sgradevole verità: il costo dei crediti d’imposta al 110% attivati nel 2023 stava già superando di circa 20 miliardi di euro il livello di 30 miliardi preventivato sull’intero 2023.

Il disavanzo dello Stato per l’anno dunque minacciava di superare di almeno l’1% del prodotto lordo quel 5,3% preventivato nell’aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def) presentato dal governo in autunno.

La corsa al Superbonus
Stava succedendo qualcosa di imprevisto. Di fronte alla prospettiva di una stretta sull’incidenza dei crediti d’imposta ottenibili in proporzione alle spese effettuate – dal 110% originario, al 90%, fino al 70% in vigore nel 2024 – nella parte finale del 2023 si è verificata una vera e propria corsa delle famiglie ad attivare il Superbonus a condizioni d’oro: rimborsi fiscali altissimi, crediti d’imposta utilizzabili come contante per pagare le imprese edili e cedibili da queste ultime alle banche. Dunque i conti dello Stato sul 2023 erano diretti in una direzione diversa: ieri l’Istat ha certificato un deficit al 7,2% del Pil, sopra il 4,4% preventivato nel Def di aprile scorso e il 5,3% dell’“aggiornamento” di settembre.

Le scelte politiche
Hanno senz’altro contribuito anche tre dettagli passati in Parlamento dalla maggioranza convertendo il decreto di un anno fa, con il quale il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti cercava di dare una stretta al Superbonus. In primo luogo il meccanismo restava automatico, senza alcun limite al tiraggio consentito. In secondo luogo chi non aveva ancora portato i crediti nel suo “cassetto” fiscale, per esigerli dallo Stato, aveva più tempo per farlo. In terzo luogo chiunque avesse anche solo presentato la “comunicazione di inizio lavori” prima del decreto di stretta del febbraio 2023 – un semplice formulario online – aveva diritto a godere in pieno del Superbonus al 110% alle generosissime condizioni originarie. Quei tre dettagli sono frutto di scelte in sede politica compiute o confermate dall’attuale maggioranza.

Le tensioni con la Ragioneria
E hanno contribuito ad aprire una nuova voragine nei conti pubblici. Non è chiaro tuttavia, a sentire gli uffici coinvolti, in che misura e quando Giorgetti stesso fosse consapevole della dinamica fuori linea esplosa in autunno ed evidenziata nei dati dell’Agenzia delle Entrate e dell’Enea. Secondo ambienti vicini a Giorgetti stesso, il ministro non era a conoscenza dei dati di deficit al 7,2% comunicati ieri dall’Istat. Questi ambienti si chiedono da quando la Ragioneria dello Stato – che è un dipartimento del ministero guidato da Giorgetti – fosse stata al corrente della divergenza sui conti.
Ambienti della Ragioneria invece hanno una versione diversa: conservano memoria di aver segnalato al ministro il primo sfondamento da 20 miliardi sul Superbonus a novembre 2023 e un secondo sfondamento da altri 20 miliardi circa a gennaio 2024. Del resto la natura di un sistema a tiraggio automatico permette un consuntivo solo a cose fatte, mentre i dati dell’Enea erano a disposizione del ministro mese per mese.

Gli effetti sul deficit e sul debito
La Ragioneria dunque avrebbe comunicato che il deficit sul 2023 sarebbe stato almeno fra il 6,5% e il 7%, poi lievemente rivisto al rialzo (7,2%) da Istat sulla base di stime su dati attinti dall’ufficio statistico da altri ministeri. In anni anche lontani incomprensioni fra il ministro dell’Economia e la Ragioneria hanno portato quest’ultima a presentare al ministro stesso dei promemoria, per ricordargli il proprio operato e documentarlo. Non è escluso che succeda di nuovo. Di certo dietro la tensione sui costi nel 2023 del Superbonus (e anche di Industria 4.0) c’è un tema anche più serio: la recente esplosione ulteriore di questi crediti d’imposta, voluti senza alcun tetto dalla classe politica quasi per intero, mettono il debito pubblico in condizioni precarie.

Le difficoltà in vista del Def
L’anno scorso l’inflazione lo ha eroso al 137,3% del Pil. Ma ora il carovita in Italia è di nuovo congelato, la crescita molto debole e l’ultima ondata di piena dei bonus è destinata a portare almeno 0,5% di debito-Pil in più all’anno fino al 2027. Scrivere il nuovo Def sarà difficilissimo. Mettere il debito in traiettoria calante come da regole europee anche, perché tra l’altro nessuno a Roma è disposto a giurare che nel 2024 il Superbonus sia davvero sotto controllo. Poco importa se con un vecchio Ragioniere dello Stato, o con uno nuovo magari più gradito alla politica.