Mingardi spiega la fine che ha fatto il riformismo italiano

(27/7/20) Anno 1999. L’Iri colloca Autostrade per l’Italia sul mercato, con la famiglia Benetton che ne acquista il 30 %. Presidente del Consiglio è Massimo D’Alema, ministro del Tesoro Giuliano Amato, dopo che Carlo Azeglio Ciampi è asceso al Quirinale. Anno 2007. Il ministro dell’economia annuncia che Alitalia sarà “privata entro luglio”. Poi le cose andranno diversamente e il processo di vendita deraglierà. L’intenzione del governo era però disfarsi della compagnia aerea e l’acquirente preferito era una grande impresa internazionale: Air France.

Quel ministro era Tommaso Padoa Schioppa, premier Romano Prodi (….) Ha un posto nel pantheon della sinistra italiana per la celebre affermazione “le tasse sono bellissime”. Se non che Padoa Schioppa lo diceva (anche) per mettere in guardia contro la tentazione di tagliarle a debito, le tasse, tentazione più o meno apertamente accarezzata da centro-destra berlusconiano. Del rigore di bilancio, in Italia si è fatta alfiere proprio la sinistra: prima nella legislatura del 1995-2000, poi nel 2006-2008. Nel primo caso, con Ciampi ministro, l’aggiustamento fu particolarmente significativo.

Oggi al governo ci sono le stesse culture politiche di allora, che nel mentre hanno dato vita al Partito democratico. In alcuni casi, ci sono le stesse persone di allora: ieri in seconda fila, oggi in prima. Solo che il governo Conte, ministro dell’economia Roberto Gualtieri (Pd), rinazionalizza le Autostrade dopo aver rinazionalizzato Alitalia. Alla retorica del rigore di bilancio come cifra di una “serietà” che non apparteneva ai suoi oppositori, il centro-sinistra di oggi ha sostituito l’entusiasmo per il debito: quello che abbiamo già fatto e quello che potremo fare, grazie agli accordi europei. Il centro-sinistra di ieri guardava all’Unione europea alla ricerca di un “vincolo esterno”: cercava in Bruxelles la scusa per non proseguire con le politiche di impianto clientelare che aveva ereditato dalla prima repubblica. Il centro-sinistra di oggi si presenta davanti alle Ue minacciando fuoco e fiamme contro la condizionalità: il vincolo esterno, per l’appunto.

Intervistato da Luciano Capone per il Foglio, il nuovo responsabile economico del Pd, l’economista Emanuele Felice, dice che “ il Pd aveva sicuramente un tratto neo-liberale”. L’utilizzo dell’aggettivo è discutibile, il verbo all’imperfetto no. Nella cosiddetta seconda repubblica, il centro-sinistra ha fatto sicuramente una politica ortopedica: i suoi leader credevano, a torto o a ragione, di poter riparare quelli che avevano identificato come problemi di lungo periodo del Paese. Alcune delle loro riforme erano ispirate all’idea che L’Italia dovesse adeguarsi, quanto a qualità della regolamentazione e intervento pubblico in economia, agli standard degli altri Paesi occidentali. Era la convinzione alla base del cd riformismo: un fenomeno più intellettuale che politico, che però ebbe una sua influenza sull’Ulivo e poi sull’Unione, altrimenti non si capisce come sia stato possibile privatizzare la Telecom e introdurre flessibilità nel mercato del lavoro (pacchetto Treu) con una maggioranza di cui faceva parte Rifondazione comunista.
“Il liberismo è di sinistra” potevano scrivere Alesina e Giavazzi, per spiegare che rimuovere privilegi e rendite va a vantaggio dei più umili. Ma quella sensibilità non aveva attecchito grazie ad una generale conversione di ex comunisti ed ex diccì al tacherismo. La figura più rilevante, in questa storia, è un cattolico di sinistra, economista di scuola keynesiana, Beniamino Andreatta. Già nei primi anni Ottanta, ha ricordato Mario Tesini, egli si faceva assertore “ di una politica di stretto contenimento della spesa”: Troppe volte in passato – ebbe dire nel 1982 – il cerchio della contesa sociale è stato fatto quadrare addossando alla finanza pubblica oneri impropri e indebiti”. Nel 1983, in una intervista con Eugenio Scalfari, Andreatta indica nel ripristino dell’articolo 81 della Costituzione (disciplina le regole del bilancio dello Stato) “la grande riforma che il Parlamento e le forze politiche devono affrontare”.
Era diventato liberista, Andreatta? Più probabilmente, la sua sensibilità di cattolico sociale era avvilita nel constatare ciò che la spesa pubblica era diventata in Italia: uno strumento di coltivazione del consenso, a spese delle generazioni future. Così si reggeva il potere dei vecchi partiti: su un’occupazione totale della società. C’è un filo rosso che unisce il referendum contro la proporzionale del 1992 e i tentativi di privatizzare Alitalia: la volontà di affrancare il Paese dalla partitocrazia.”Credo che la divisione tra politica ed economia sia più importante della divisione dei poteri elaborata da Montesquieu” così Andreatta nel 1992.
E adesso? Adesso tenere lontani i partiti dall’economia non è più una priorità: semmai è vero il contrario. I riformisti erano pochi ma influenti, ora sono zero e zero contano. Prevale un’altra attitudine. Per parte della classe dirigente italiana, l’89 ha coinciso con la fine delle idee: perso l’ancoraggio ideologico d’oltre cortina, si sono ben guardati dal cercarne altri. Sono diventati un ceto politico mimetico, in parte si sono allineati agli orientamenti prevalenti, di volta in volta, nella sinistra internazionale, in parte si sono proposti di realizzare il  medesimo programma dei loro avversari. Però meglio, con più serietà, da professionisti della politica. E’ in questo senso che i governi di sinistra hanno fatto politiche di destra. Il riformismo è esistito finchè a dominare la scena era Berlusconi. Il centro-sinistra voleva dimostrare che aveva intelligenze e competenze per interpretare, meglio, quello che egli aveva solo promesso. “Liberalizzare” e “privatizzare”, sì, ma senza triccheballacche. Ora gli avversari sono altri: il populismo di Cinque Stelle, il nazionalismo leghista. E il ceto dirigente del Pd partito del governo, ne assorbe le istanze nel suo linguaggio. Nè ci sono più padri nobili alla Andreatta, con i loro decenni di delusioni sulle spalle, a mettere in guardia conto le prevedibili degenerazioni partitocratiche. Qualcuno scriverà “Il sovranismo è di sinistra”, è solo questione di tempo.

“Spesa pubblica ostaggio dei partiti. Dove sono finiti i leader che volevano domarla?” di ALBERTO MINGARDI (Corriere della Sera, Economia, 27 luglio 2020)