Da Fausto Coppi a John Travolta le ospitate in tv

(9/2/24) In un festival di Sanremo dove vincerà Geolier per un brano le cui parole nessuno ha capito tranne i napoletani, hanno scoperto che arriva un ospite internazionale e nessuno sa cosa fargli fare. Il primo problema è che nessuno sa parlare inglese, per cui Fiorello ha detto che in italiano gli ha spiegato il numero del Qua Qua e l’unica cosa che Travolta avrà capito sono le mosse che doveva fare. Fino a quando in scena c’è stata Giorgia, che inglese parla, Travolta era partecipe e ha parlato della sua passione per il film La strada, poi è stato lasciato in balìa di due deficienti per imbastire tre gag di ballo.

Noi siamo cresciuti con la Rai di Mario Riva che inventò le ospitate. Per esempio invitava Fausto Coppi e noi spettatori per la prima volta lo vedevamo senza bicicletta in giacca e cravatta a parlare e a sorpresa a cantare. Il campione sportivo si umanizzava, diventava divertente e simpatico. Per fargli fare l’ospitata lo tenevano ore e ore a provare, non 5 minuti come Travolta. Mario Riva prima che presentatore era un comico da avanspettacolo, cosa che oggi avviene in America dove dei Fazio e dei Formigli non saprebbero cosa farsene per fare le interviste. Anche la Rai degli Studio Uno usava le ospitate e anche lì gli autori (Falqui, Sacerdote, Amurri, Verde, Jurghens) scrivevano il copione al quale tutti dovevano attenersi. Non esistevano improvvisazioni allora e se guardate un vecchio Studio 1 con Lelio Luttazzi tutto ciò che diceva era stato scritto parola per parola anche se lui era bravissimo a recitarlo con grande spontaneità. Se arrivava Totò e parlava con Mina era una gag tutta scritta; se arrivava Sordi, o Gassman, o Manfredi, o Tognazzi, lo stesso. C’erano gli autori e tutti seguivano il copione. Oggi ci sono 47 autori in un programma (come per le canzoni) ma sono tutti scalettisti, cioè sanno fare la scaletta del programma (alle 22 arriva Tizio; alle 22,15 arriva Caio). Il problema di Fiorello è questo qua, ormai da alcuni anni, dopo i suoi programmi che lo hanno reso uno show man che canta, balla, imita e parla. Non avendo più autori all’altezza ma solo Cremonini che lo fa cantare e Tommasini che lo fa ballare, non sa più far ridere. E quindi è costretto a fare quel che sa fare, l’animatore da villaggio vacanza che come tutti sanno deve ogni sera improvvisare.

Ha scritto Renato Franco sul Corriere: Comicità trasversale, che i denigratori definiscono innocua, senza tenere a mente la grande differenza tra satira e ironia. La prima graffia, la seconda accarezza, anche se il bersaglio è lo stesso. Uno sport non per questo meno nobile, semplicemente due discipline diverse, come il tennis o il padel. Per questo motivo Fiorello può dire quello che vuole: può attaccare Salvini o Sangiuliano, prendersela con Schlein o Fratoianni, ma il risultato non cambia, nessuno lo mette in croce. È questa la ragione per cui è l’unico che — da dentro — può scherzare sulla Rai senza che ogni volta si scateni un’interpellanza parlamentare. Il solo in grado di far sorridere a destra e sinistra. Salvatore Merlo sul «Foglio» ha trovato la giusta sintesi: «A Fiorello, anzi a Ciuri come lo chiama Amadeus, è concesso tutto come ai grandi giullari, quelli che un tempo godevano di diritti speciali di fronte al sovrano perché erano la coscienza ludica del potere, gli unici che potevano dirgli — sotto forma di scherzo — la verità». Trasversale dunque e giullare, come un animatore del villaggio che per non urtare la suscettibilità di gente sconosciuta che ha pagato per stare lì, sta bene attento a non disturbare nessuno.

Fiorello è il primo la sera stessa a rendersi conto che la gag con Travolta era stata terrificante e imbarazzante. Lui ha detto: «Mi guardo da fuori e mi dico: ma io che so fare? La verità? Mi sento artisticamente sopravvalutato. Giuro. Non penso di essere così bravo, non sono ‘sto fenomeno. Ce ne sono molti migliori di me. Se penso alle imitazioni ne trovo almeno dieci più bravi. So cantare, ma l’Italia è un Paese di cantanti e ce ne sono almeno 190mila più dotati di me. Monologhista? Ci sono colleghi che mi danno una spanna. Gli altri sono più bravi, forse io sono più forte perché creo quello che altri non fanno, l’aspettativa, l’idea dell’evento».

Quello che Fiorello non capisce è che deve fare come i tennisti, cambiare gli allenatori. Lui ha la dote dell’improvvisazione ma per gli sketch deve avere alle spalle degli autori che gli scrivano un copione. Scrivere un copione è cosa diversa dal creare le battute (sui social ce ne sono milioni, per esempio Spinoza) perchè far ridere in tv non è raccontare le barzellette ma saper creare le situazioni comiche, con o senza parole. Quindi occorre trovare i nuovi autori, come ha cominciato a fare in Splendida cornice Geppy Cucciari con Luca Bottura.

«Amadeus Belzebù ha battuto il record di ascolti, ormai da cinque anni vive e bivacca qui a Sanremo. Pensate che ieri ha inaugurato un asilo, battezzato due bambini e segato due autovelox». Quando dice questo, Fiorello ricorre alla battuta. Se sui social clicca “Amadeus” trova gratis un milione di battute. Ma quando arriva un ospite in tv ci vogliono gli autori di una scenetta, di uno sketch. E’ cinema in tv, rivista, avanspettacolo.

“Ma gli autori non li hanno? Non li pagano? ” si chiede Maurizio Crippa sul Foglio. “Non è questione di niente, è soltanto provincialismo. Sanremo è lo specchio dell’Italia perché è lo specchio del suo provincialismo irredimibile. C’è un video in rete, è il set della scena del ballo di Uma Thurman e Travolta in Pulp Fiction, c’è Tarantino che balla anche lui, dietro la cinepresa. Tre enormi talenti, uno spettacolo. Arriva John Travolta, e l’unica cosa che gli viene in mente è farlo ballare con uno che da noi pensiamo sia il nuovo Charlie Chaplin”.

Gli autori bravi conoscono a menadito le gag di Raimondo Vianello con la Mondaini, con Tognazzi, la tv di Scarnicci e Tarabusi, di Castellano e Pipolo, di Terzoli e Vaime. Questi nomi al pubblico non dicono niente, non li conosce, non sa che tante serate ha riso vedendo la tv con le ospitate. Con il ballo del Qua Qua non si ride, con Travolta o senza Travolta, è una idea infantile da spettacolo finale di scuola elementare.