Salvati/ Storia e prospettive del partito democratico

Il PD nacque sul progetto di costruire finalmente UN PARTITO SOCIALDEMOCRATICO sulla base dei seguenti punti essenziali.

Innanzi tutto, la rinuncia ad obiettivo di trasformazione rivoluzionaria del sistema economico-sociale, non solo per l’impossibilità di raggiungerlo, ma per una convinta adesione ai principi essenziali del liberalismo. E, insieme, la convinzione di riuscire a modificare, attraverso una continua pressione per le riforme (“il movimento è tutto”) le tendenze alla diseguaglianza insite nel capitalismo e nel liberalismo conservatore. Dunque, adesione ai principi liberali, economia di mercato opportunamente regolata e continua spinta verso una maggiore uguaglianza di condizioni economiche, sociali e culturali, dovrebbero essere i principi base del Partito (social) Democratico.

Nella componente ex-comunista dell’Ulivo chi si mostrò più sensibile alla necessità del Partito democratico fu Veltroni, anche se influenzato da analogie americane discutibili; in quella ex-democristiana furono Parisi e Andreatta, una grande personalità politica, purtroppo colpito da un ictus paralizzante nel dicembre del 2000. Il progetto del Partito democratico incontrò ostacoli e rallentamenti sui quali non posso dilungarmi e diventò realtà solo nel 2007, troppo tardi e minato da dissensi interni che poi produssero le scissioni che tuttora perdurano.

LE DIFFICOLTA’ DELLA SINISTRA EUROPEA Eravamo infatti ormai fuori tempo, agli sgoccioli della grande fase socialdemocratica europea. La globalizzazione, congiunta ad una rivoluzione tecnologica sfavorevole per i lavoratori meno qualificati, insidiava le condizioni di sicurezza e benessere di segmenti sempre più ampi dei lavoratori europei. In questo contesto, promossa e favorita da una fase politica internazionale neoliberista, la socialdemocrazia entrò in sofferenza (anche per errori di strategia politica) e i ceti più svantaggiati iniziarono a rivolgersi a imprenditori politici che li attraevano con promesse elettorali che non erano in grado di mantenere, alimentando il loro risentimento verso nemici presunti (tipicamente gli immigrati), sollecitando un pericoloso nazionalismo e un’ostilità verso l’Unione Europea solo parzialmente giustificata dalle politiche di austerità perseguite dopo la crisi economica del 2007/8.
Se a questi fattori di difficoltà, che si manifestarono già a partire dagli anni 80, aggiungiamo oggi la necessità di trovare risorse per mitigare la crisi ambientale e per affrontare la minaccia pandemica, in un contesto in cui è in corso l’aggressione militare russa all’Ucraina, ci possiamo rendere conto della difficoltà della situazione in cui la sinistra europea si trova oggi. Queste difficoltà, oltretutto, non colpiscono solo partiti e governi socialdemocratici, ma anche i partiti liberal-conservatori “tradizionali”, quelli prevalenti sino alla fine del secolo e fortemente avversi a movimenti o influenze etno-nazionalistiche. Oggi la diga liberal-democratica e repubblicana o è crollata o rischia di crollare. Il partito socialista francese è quasi estinto, i gollisti non se la passano molto meglio e il cordone sanitario contro populismo e destre estreme ha ceduto in Svezia, consentendo la vittoria della destra e in particolare di un partito, di natura etno-nazionalista, che appoggia il governo ed è necessario alla sua sopravvivenza. Se è questo è avvenuto nella patria della socialdemocrazia, la situazione italiana – dove lo “sdoganamento” di movimenti e partiti nazionalisti, populisti e sovranisti è un fatto da tempo acquisito – non può essere vista come del tutto eccezionale.

L’ECCEZIONALE GRAVE CRISI ECONOMICA ITALIANA Non del tutto, ma eccezionale lo è per la gravità della crisi economica, sociale e istituzionale del nostro paese. I suoi ceti dirigenti, nei vent’anni finali della Prima Repubblica, non avevano attrezzato l’Italia alle più difficili condizioni che avrebbe affrontato in un contesto internazionale neoliberista. Ed è stata infettata dal virus populista prima e più intensamente dei paesi con i quali ci confrontiamo: una crisi di regime come quella dei primi anni 90 (Mani Pulite e Berlusconi) è sconosciuta tra i paesi dell’occidente europeo. Il sistema politico che ne è emerso è stato poi incapace di auto-sostenersi in un’economia sempre più aperta e finanziarizzata, e dunque soggetta allo scrutinio dei mercati internazionali. In un tale contesto, il sistema politico ha dovuto ricorrere a “tecnici” estranei alla politica in numerose occasioni: Ciampi, Dini, Monti, Draghi, per menzionare solo coloro che hanno svolto il ruolo, politicissimo, di Capo del governo. Incapace di perseguire nel tempo politiche coerenti ed efficaci, l’Italia è diventata sempre più povera: è da più di vent’anni che il reddito reale pro-capite non cresce, situazione unica in questo angolo di mondo benestante.

Invece di restare unito di fronte alle avversità e cercare una via per tenere insieme una sostenuta crescita economica e il maggior benessere (o il minor malessere) possibile per le fasce più deboli della popolazione, il Pd si è diviso tra una componente più attenta (diciamo così) alla prima parte del compito (efficienza del sistema e crescita economica) ed una “più attenta” (continuiamo a dire così) alle condizioni di disagio e sofferenza dei ceti più poveri, quelli che un tempo votavano a sinistra e oggi sono maggiormente attratti da un messaggio politico populista.

Parti importanti di queste due componenti hanno formato partiti autonomi, che come tali seguono necessariamente strategie di auto-affermazione organizzativa e cercano spazio a spese del Partito Democratico, perché è molto difficile trovarlo nel campo delle destre. Questa è la disgraziata situazione nella quale si trova il “campo largo” della sinistra democratica italiana.

Ora, sembra a me evidente che i due obiettivi/compiti di cui dicevo dovrebbero essere assolti insieme e dallo stesso partito.

(a) Non si può distribuire ciò che non si riesce a produrre, a meno di aumentare ulteriormente il nostro gigantesco debito pubblico, ciò che è molto difficile nel sistema economico-politico internazionale in cui siamo inseriti: di qui la necessità di misure che favoriscano la solidità e la competitività dell’apparato produttivo privato e risolvano i problemi che compromettono l’efficienza dei nostri apparati pubblici. (b) Si devono promuovere misure economiche, sociali e istituzionali che favoriscano i ceti più deboli della popolazione, anche a spese dei gruppi sociali più agiati, ciò che sarebbe molto più facile se ci fosse crescita economica. Questa è anche una tesi sostenuta nel recentissimo libro di Carlo Trigilia, La sfida delle disuguaglianze. Contro il declino della sinistra, Mulino, 2022.

Il fallimento più grave del partito democratico (insieme a quello di aver creato gruppi di potere per i quali le questioni programmatiche sono questioni di second’ordine, e dunque disposti a mutare opinione a seconda delle convenienze) mi sembra sia stato quello di non essere riuscito a creare un clima interno che favorisse un continuo colloquio e scambio tra i sostenitori dei due obiettivi, dei due compiti che definiscono la stessa identità socialdemocratica.

VINCERE IL GIOCO MA ANCHE LA PARTITA Nelle prossime elezioni, nel caso probabile che la destra non riesca a soddisfare le domande dei cittadini (per le sue debolezze interne, ma soprattutto per la difficoltà dei problemi che deve affrontare), la rabbia degli elettori potrebbe scaricarsi contro il governo in carica, come sinora è sempre avvenuto in Italia. E se la sinistra gioca bene le sue carte, non è impossibile che prevalga. Ma in tal caso avrebbe vinto un gioco, non la partita. Se per vincere rinuncia a dire la verità, se cede a tentazioni populistiche, se fa promesse che è impossibile mantenere, se evita di menzionare sacrifici e difficoltà, forse vincerà il gioco, ma perderà la partita. Siamo sicuri che una sinistra a trazione Pd non ragioni come ha sempre ragionato qualsiasi partito politico? “Intanto vinciamo il gioco, con qualsiasi mezzo legittimo possibile, prendiamoci il governo, e poi nessuno ci costringe a rispettare le promesse fatte, se gli elettori sono tanto sprovveduti da averci creduto”. Non è forse così che hanno vinto le destre nelle ultime elezioni? E soprattutto diamo l’immagine, se sarà necessaria una coalizione larga, che questa è unita e compatta, com’è riuscita a dare la destra nelle ultime elezioni.

E’ possibile vincere sia il gioco che la partita? O c’è un contrasto tra questi due obiettivi? E’ possibile dare un’idea agli italiani che la situazione in cui ci troviamo è difficilissima, che richiederà un lungo periodo di sforzi costanti per essere risanata, e che il Partito democratico – per competenza e orientamento valoriale – è quello più in grado di raccogliere le forze migliori del paese per risollevarsi dal declino?