C. Rocca/Neroverdi contro giallorossi, ma non moriremo bipopulisti

È come se non fosse successo niente, come se la legislatura più stravagante che l’Italia repubblicana abbia mai vissuto non sia stata sufficiente ad aprire gli occhi, come se il governo gialloverde prima e quello giallorosso dopo, entrambi guidati dallo stesso bellimbusto, non avessero già disegnato nuovi grotteschi orizzonti.

È come se Mario Draghi non ci avesse salvato dalla catastrofe sanitaria ed economica creata dai governi precedenti, come se l’ex presidente della Banca centrale europea non avesse accresciuto il ruolo internazionale dell’Italia, come se le costellazioni e i pianeti non si fossero incredibilmente allineati per portare a Palazzo Chigi l’uomo più autorevole d’Occidente per sconfiggere la pandemia, per far ripartire il paese e per respingere i fascisti russi e i loro alleati populisti.

È come se non fosse successo niente in questi anni impazziti, perché il primo e forse ultimo confronto tra i leader della destra, il bellimbusto, Enrico Letta e Carlo Calenda in realtà ha anticipato in modo esatto la prossima inesorabile catastrofe italiana.

Da una parte ci sono i favoriti dell’estrema destra capitanati da Giorgia Meloni, la cui profondità di analisi politica ed economica ricorda certe accese discussioni del lunedì al Bar dello Sport.

Dall’altra parte c’è Enrico Letta, capace di aggregare soltanto Di Maio, Fratoianni, Bonelli, Bonino e altri organismi visibili esclusivamente con microscopi avveniristici.

In mezzo a loro c’è il nulla mischiato a niente di Volturara Appula e la commovente illusione di Carlo Calenda di parlare a un elettore razionale in grado di cogliere la differenza tra la fantasia e chi dice cose condivisibili o meno ma basate sui dati di fatto.

Ma al di là dello stile populistico di quasi tutti i vari leader politici, la questione imbarazzante per l’Italia del 26 settembre è la coazione a ripetere il percorso accidentato e pericoloso sperimentato nella scorsa legislatura.

Ci avviamo, infatti, a consegnare la maggioranza di governo a una destra ancora più reazionaria di quella gialloverde, con i sovranisti neo, ex, post fascisti al posto dei sovranisti antidemocratici di Beppe Grillo, con Capitan Salvini che torna a voler chiudere porti e menti italiani e ad aprire varchi ai russi sanzionati, con la premier in pectore Meloni che ciancia di ridiscutere il Pnrr infischiandosi di perdere i miliardi già stanziati, con entrambi, Salvini e Meloni, che promettono oro al popolo e con quel che resta dei berlusconiani interessati solo a rosicchiare qualche posticino di governo in cambio di visibilità televisiva e di inesistente copertura politica moderata.

Meloni, insomma, prospetta un governo molto simile a quello gialloverde, senza il giallo ma con il nero, senza Toninelli ma con La Russa, ma con le stesse ricette demagogiche, insostenibili e fanfarone del primo governo Conte.

L’opposizione a Meloni sarà guidata dal successore di Enrico Letta e sarà centrata sull’alleanza strategica tra il Pd e i Cinquestelle con un approccio più da Mélenchon o Corbyn che da Blair e Clinton.

Sara dunque un’opposizione culturalmente giallorossa e le ultime mosse tattiche di Letta (domenica è stata una giornata da vergognarsi, mi ha detto un parlamentare Pd) confermano che il Partito democratico non ha solo preferito allearsi con gli antidraghiani piuttosto che con i draghiani e non ha soltanto umiliato nelle formazione delle liste elettorali la componente riformista (che però per manifesta ignavia se l’è meritato), ma ha anche tradito i principi fondativi veltroniani del Lingotto, ha ripudiato le importanti riforme liberali degli anni scorsi e ha ripreso a scimmiottare i Cinquestelle sul reddito di cittadinanza, sul Jobs Act e altre forme di populismo.

Al momento resiste l’audace e ammirevole atlantismo di Letta, il quale del resto aspira alla guida della Nato dopo il patatrac combinato in Italia, una medaglia al valore che lo accomuna a Giorgia Meloni, ma dopo di lui e con il duo Orlando-Provenzano alla guida del Pd a occhio non sarà a rischio soltanto la svolta blairiana della sinistra italiana, ma anche la svolta di Salerno.

Un governo neroverde e un’alternativa giallorossa sono una miscela esplosiva che non ci possiamo permettere né noi né un’Europa nel pieno di un’ennesima crisi esistenziale come quella causata dall’attacco all’Occidente degli amici della componente verde e della componente gialla dei due schieramenti italiani, e anche degli amici dell’amico ungherese e trumpiano della leadership nera.

Sappiamo già che le due proposte neroverde e giallorossa falliranno, perché sono già fallite in precedenza nel tentativo di indebolire l’Europa e di abbracciare Putin e nell’incapacità di domare la pandemia e di preparare un piano di ripartenza europea.

Conviene quindi attrezzarsi già adesso per quando saremo costretti a pregare in ginocchio Mario Draghi o altri risolvi-problemi tipo Mr. Wolf di Pulp Fiction, ammesso che esistano, di aiutarci a uscire dalla melma. Conviene eleggere una pattuglia di deputati e di senatori draghiani della prima ora e soprattutto immuni al bipopulismo perfetto italiano.

Serviranno tanto, serviranno presto.