Ilaria Capua, trafficante di virus (Amalia Bruni e la ricerca italiana)

Ilaria Capua, al cui libro autobiografico “Trafficante di virus” è ispirato il film omonimo diretto da Costanza Quatriglio e da lei sceneggiato insieme a Francesca Archibugi, appare sempre in tv (dalla Florida) con Floris su La7. Laureata in medicina veterinaria e specializzata in igiene animale, è una ricercatrice in virologia, nonchè accademica ed ex parlamentare di Scelta civica di Mario Monti. Nel 2006 ebbe notevole risonanza internazionale la sua decisione di rendere di dominio pubblico la sequenza genica del virus dell’aviaria, decisione che contribuì alla diffusione dell'”Open access” ai contributi scientifici. Fu costretta ad espatriare dopo una inchiesta dell’Espresso che la fece diventare un mostro per quel combinato disposto “pm & stampa giustizialista” che ancora rappresenta uno dei nostri buchi neri più profondi. La successiva assoluzione giudiziaria, come avviene nel nostro Belpaese, non risarcisce dai danni subìti e così si spiega la visibilità televisiva che la Capua ricerca ora che il sistema si è liberato di lei perchè da noi non c’è posto per il merito e il coraggio. Se invece  della Foglietta Irene Colli (così si chiama nel film) fosse stata interpretata da Meryl Streep e il film fosse stato affidato al Tom McCarty de “Il caso Spotlight”, la patina televisiva sarebbe evaporata a favore di un cinema civile tratto da storie vere. Al posto di un gruppo di giornalisti e redattori del Boston Globe che indaga sull’insabbiamento da parte della chiesa cattolica di scioccanti molestie ai danni di bambini, avremmo avuto un gruppo di giornalisti che uniscono i punti di un disegno per fare uno scoop senza prima aver avuto riscontri e convalide. La stampa cialtrona italiana non va dietro ai pm per cercar conferme, non li sollecita come avviene nel film della Quatriglio, ma al contrario si allea con gli inquirenti, in un gioco di reciproco vantaggio dove le vittime sono danni collaterali dei quali nessuno risponde mai.

Ma c’è di più. In questo film dove c’è più sceneggiato e politically correct da Rai1  che grande appassionato cinema di denuncia si intravede il generone romano, dove tutto si tiene. Può l’intellighenzia di sinistra muover contro l’Espresso, con tutta la sua tradizione storica da Benedetti e Eugenio Scalfari a Claudio Rinaldi? No, e quindi tutto è edulcorato sino a rappresentare come “cattivo” la figurina dimessa del Ferrari (l’attore Roberto Citran). Insomma, i cattivi qui sono tutt’al più invidiosi, e i giornalisti a caccia di scoop sono “compagni che sbagliano” (non so se ci ricorda qualcosa) perchè tutti possono sbagliare, o no?

Dietro la storia della ricercatrice Ilaria Capua c’è la storia della ricerca italiana. La politica e l’università boicottano i nostri migliori cervelli sino al punto di metterli alla gogna e di mandarli all’estero in esilio. Un giudice che non padroneggia la materia insieme con qualche giornalista giustizialista a caccia di scoop  lo trovi sempre all’occorrenza.

La storia della Capua si intravede anche dentro la storia della nostra Amalia Bruni, la quale ad un certo punto si è scocciata, come la Capua, di dover elemosinare dalla politica e ha creduto di poter inserirsi dentro l’apparato politico. Spero, mi auguro, che le somiglianze tra le storie di due ricercatrici finiscano qui, certo è che la stessa Amalia nella sua campagna elettorale e dopo  ha dovuto conoscere la calunnia e le ingiurie dei nemici. La Capua, nel film è raccontato, poteva andare a dirigere a Londra un prestigioso istituto di ricerca e fu dissuasa da un ministro della Salute italiano che le diede un finanziamento per farlo in Italia il suo centro. Solo che il ministro cadde e pure il finanziamento. Amalia se solo avesse voluto abbandonare la Calabria e la sua famiglia per un paese straniero avrebbe oggi una fama incommensurabile (lo abbiamo visto con tanti scienziati italiani che ci parlano in tv del covid da Parigi, da Boston, da Berlino). Per aver voluto restare e difendere il suo centro è invece costretta a subìre attacchi incredibili  e non so dove trovi la pazienza.

Allora se vi capita guardate questo film e pensate che la storia della Capua è la storia della ricerca italiana