IL NOSTRO MONDO DI COOKIES & DESIDERI

Annotate questa data, era il 2002 quando Google inventò la targeted advertsing, cioè la pubblicità mirata. Da allora, 18 anni fa,  il mondo è cambiato come se fosse scoppiata l’atomica. Finanche io che scrivo da anni su questo blog e così mi sono esposto con tutte le mie opinioni, mi sto preoccupando. Mi succede che adesso Google ogni mese mi manda una mail dove mi dice senza che io lo voglia in quali posti sono stato, dal momento che uso Google maps. Qualsiasi mia ricerca su Google mi fa ricevere centinaia di annunci pubblicitari come se io desiderassi tanti oggetti. Faccio un esempio: ho visto in tv l’allenatore del Liverpool Klopp indossare scarpe da tennis New Balance. Ho cercato per vedere se il suo fosse un modello esclusivo oppure di massa e da quel giorno Amazon non smette più di propormi scarpe New Balance. Qualsiasi nostra ricerca sul web per le multinazionali è un desiderio e loro si offrono di realizzarlo. E dire che io non mi faccio le carte ai supermercati per non essere classificato nei consumi. Non parliamo poi di un  libro che acquistai per la tesi di mia figlia, di quell’autrice mi propongono libri vecchi e nuovi. Mi lasciano in pace solo con la mia Juve del cuore, le mie preferenze calcistiche non interessano. E le mie analisi on line? Sanno tutto della mia salute, e poi quanto guadagno, quanto spendo, cosa compro, cosa leggo, cosa vedo, non sanno bene cosa voto perchè voto solo qualche volta: l’ambizione folle ( e oggi possibile) del capitalismo della sorveglianza è sapere tutto di noi prima che lo sappiamo noi stessi. Lo spiega magnificamente Shoshana Zuboff nel suo libro (Il capitalismo della sorveglianza, Luiss University Press) di cui Paolo Giordano si è occupato su La lettura del 9 febbraio: con il nostro consenso ci hanno sottratto la privacy. Ma la stragrande maggioranza è contenta.

Se il capitalismo di Marx si cibava di forza lavoro, se la materia prima era la classe operaia, il capitalismo della sorveglianza si ciba di “ogni aspetto della vita umana”. E la sua materia prima siamo, semplicemente, noi: le nostre foto, i nostri commenti,i nostri viaggi, idisioncrasie, paure, condivisioni, desideri, i nostri like. “Le connessioni ogni giorno producono un numero di oggetti socialmente rilevanti maggiore di quanto non ne producano tutte le fabbriche del mondo” (Maurizio Ferraris). Se il capitalismo industriale ha portato alla distruzione dell’ambiente che oggi cerchiamo malamente di fronteggiare, il capitalismo della sorveglianza minaccia di distruggere niente di meno che la nostra libertà. Non ci sono pasti gratis, apocalittici ed integrati possono continuare a lottare sino alla fine del mondo, ma almeno cerchiamo di capire cosa (non sta succedendo) è già successo. Il nuovo petrolio, si dice, sono i nostri dati. Ma questo lo capiscono in pochi. A scuola 20 anni fa dicevo agli assistenti amministrativi che tabulavano i voti delle pagelle che quei dati non erano una grossa scocciatura e fatica e perdita di tempo, come loro pensavano, ma una miniera che qualcuno sarebbe stato anche disposto a comprare. Mi prendevano per pazzo. Oggi siamo oltre, la ricchezza è data dal nostro inconscio, da qualcosa che neppure noi sappiamo di avere, le abitudini.

Neppure gli scandali maggiori, come quello denunciato da Edward Snowden e l’affaire Cambridge Analytica hanno portato ad un cambiamento significativo delle nostre abitudini. “Sapere che i nostri profili social, i nostri innocui “mi piace” sono stati venduti e sfruttati per influenzare scientificamente le nostre intenzioni di voto, che quel traffico ha determinato il voto sulla Brexit, l’elezione di Trump e le elezioni italiane, avrebbe dovuto provocare una disconnessione di massa. Non è successo. Evidentemente non basta: il patto è ancora troppo conveniente, i rischi troppo astratti. La nostra ignoranza abissale“.
Psicologia del comportamento combinata con statistica e capacità di calcolo sempre più estese: ecco spiegata la sorveglianza. Non è più la sostanza che viene analizzata ma la forma. Non più il nostro conscio, tutto sommato abbastanza semplice da catturare e per noi da controllare, ma il nostro inconscio. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare i dati più interessanti per profilare un utente non sono i dati che forniamo in modo esplicito bensì tutti quei dati impliciti che sveliamo con le nostre azioni mentre utilizziamo internet, i social network e la galassia di dispositivi collegati alla rete (cd surplus comportamentale) .

Senza accorgercene siamo diventati tutti accondiscendenti a privarci della nostra privacy con la scusa dei terroristi islamici e con il fastidio che proviamo quando ci interrompono la navigazione sul web e ci chiedono il consenso ai cookies. Ma sì, Accetto, sbrighiamoci, cosa vuoi? Ah, devo spuntare e accettare tutte quelle clausole incomprensibili che compaiono quando facciamo un acquisto e stiamo per pagare? Dai, accetto, ma sbrighiamoci, che ho fretta. La conseguenza è che ci giungono vagonate di mail dalla ditta da cui abbiamo comprato una cosina di tre euro, una cover di gomma per il cellulare. Larry Page e Sergey Brin (Google), Mark Zucherberg (Facebook), Jeff Bezos (Amazon), Jack Dorsey e Evan Williams (Twitter) , i capitalisti della sorveglianza,  lucrano sui dati che il loro utilizzo gli permette di raccogliere su di noi. Si è venuta formando una vera cultura della sorveglianza che ha modificato le nostre vite. Sorvegliare ci appare normale, i giovani non se ne preoccupano affatto, anzi sembrano averci preso gusto. Vogliamo vedere ed essere visti, crediamo di non avere nulla da nascondere (Carlo Bordoni). L’impressione è quella di far parte di una grande comunità, dove tutto è trasparente. Una sorta di revisione del concetto di democrazia, che però nasconde un lato oscuro: come scrive lo storico dei media Siva Vaidhyanathan, “cercare qualcosa su Google non è molto diverso dal confessare i propri desideri a una forza misteriosa”. Preferivo la tradizionale confessione religiosa ad un mondo in cui tutti si confessano continuamente e si mostrano.  Uno che aveva capito tutto ed è finito pure assolto, era Torquemada- De Magistris attuale sindaco di Napoli, il quale insieme col suo consulente informatico Gioacchino Genchi aveva creato già a Catanzaro un immenso archivio di utenze telefoniche, tabulati, anagrafici, insomma dati sui titolari dei cellulari di mezza Italia che contava. In realtà ne furono accertate oltre tredici milioni, scoppiò uno scandalo, poi finito nel nulla perchè la magistratura il valore immenso di quei dati l’ha capito, al contrario della politica e dei cittadini.