Il prof larghissimo che dà solo voti alti

Non mi è mai capitato (ma è colpa mia) di leggere un articolo sulla scuola italiana dove si parli della fenomenologia dell’insegnante che presenta sempre e soltanto valutazioni molto positive. Talvolta ho letto qualcosa sul fenomeno opposto, l’insegnante (troppo) rigido, ma niente sul docente che appone solo voti lusinghieri.

Convinto come sono che, come insegnano gli investigatori, solo dai dettagli e dall’attenzione ai piccoli e trascurabili particolari si possa arrivare alla verità (minuscola), sono stato sempre molto interessato a indagare le personalità degli insegnanti “troppo buoni”, quelli che ogni studente si augura di incontrare durante il suo percorso. All’università, dove la collegialità per statuto non esiste e ogni esame fa storia a sè, come ciascuna cattedra, dopo poco tempo lo studente del primo anno si fa un quadro accurato degli esami da sostenere dividendoli in difficili e facili. La famosa e controversa collegialità presente nelle scuole invece impone che le valutazioni sommative di ciascun docente in ogni classe formino un quadro unitario per deliberare la valutazione finale. Quel che in sede universitaria è fisiologia senza l’obbligo del confronto collegiale, nelle scuole è conflitto continuo dal momento che i voti finali li deve deliberare il consiglio di classe e non il singolo professore, che pro-pone il suo voto.

Il grande professore di Istituzioni di diritto romano a Firenze Giorgio La Pira non l’ho mai visto bocciare qualcuno che si fosse presentato a sostenere l’esame con lui, ma nello stesso tempo era quasi impossibile che, in sua presenza, uno studente dicesse un’ evidente castroneria e venisse promosso. Una volta, parlandone con lui, sull’argomento mi diede un consiglio che ho sempre tenacemente osservato: bisogna sempre fare la cosa giusta.

Spiegato in parole povere agli insegnanti, significa che se il docente di matematica mette 10 ad un suo allievo il quale sostiene che due più due fa tre, non fa la cosa giusta. Sembra facile, ma tutti sappiamo per esperienza che non lo è.

Da anni ripeto che non occorre andare nelle scuole per capire la problematica, ma basta guardarsi in tv su Canale 5 una puntata di “Amici” dove ci sono insegnanti che valutano e mettono i voti. E così capita di assistere ogni volta alle discussioni tra la maestra di ballo Celentano e i suoi colleghi mentre giudicano l’esibizione di un allievo. La Celentano mette voti bassi, i colleghi sono larghi, e lo spettatore da casa, che non sa niente di balletto, si chiede: ma insomma, questo allievo sa ballare o no? Chi fa la cosa giusta, la Celentano o gli altri? Tutti quanti, maestri e spettatori, siamo d’accordo quando vediamo ballare alcuni allievi alti, slanciati, elastici, bellissimi: sono i più bravi e si vede. Ma quando ballano altri, che fanno latino o hip-hop (cioè balli moderni) senza aver acquisito la tecnica di base del classico, cominciano le discussioni. Nel ballo, dove il saper fare si esprime attraverso il corpo, si discute se una ragazza tozza, o un ragazzo mingherlino, possano ballare bene, in una scuola normale invece dopo una interrogazione o un compito scritto gli insegnanti si dividono: tra quelli che mettono solo volti alti e tutti gli altri.

E’ chiaro che non sto affrontando il problema se un tema di italiano di Tizio vale 6 oppure 7 (corretto da due professori diversi). Il problema nasce se lo stesso tema riceve da due professori due voti molto diversi e opposti che sono 4 e 10. Vediamo allora di capire, per quanto possibile, la psicologia del docente “buonissimo” che mette solo voti alti, come si usa fare ogni anno in Calabria con i 100 e lode alla maturità.

Nel migliore dei casi essi si rifanno alla scuola del maestro Alberto Manzi di “Non è mai troppo tardi” (anni sessanta). Nelle pagelle Manzi apponeva un “giudizio” con un timbro prima e a mano poi: Fa quel che può. Quel che non può non fa. Egli si domandava: perché classificare uno studente, che sta imparando, con un voto? Perché basarsi sugli schemi di valutazione, imposti dai programmi scolastici, che sembrano sancire, proprio attraverso un voto, il valore di un bambino?

La teoria Manzi ritiene (ma stiamo parlando di scuola elementare) la valutazione discriminatoria. Il problema nasce quando tale teoria ideologica viene trasferita alle medie, alle superiori e all’università. Si fa la cosa giusta se non si boccia mai nessuno? Sul punto osservo che le esperienze di paesi avanzati come Francia, Inghilterra e Germania (mi) hanno convinto che al percorso universitario è utile far pervenire solo studenti con voti alti. Mentre tutti gli altri possono conseguire un diploma a condizione che subito dopo trovino un lavoro (è il sistema duale tedesco che a me sembra il migliore al giorno d’oggi).

Il prof “larghissimo” può anche non sapere chi fosse il maestro Manzi ma di certo vuole, anzi pretende, che i suoi allievi gli vogliano bene. E’ un proposito affettivo nobile e importante, questo, ma purtroppo nella mia osservazione diretta e continua delle dinamiche di una scuola ho ricavato un’associazione statistica che è la seguente. Quando c’era troppo chiasso in una classe o vedevo molti alunni di una classe per i corridoi capivo che in quella classe stava facendo lezione un docente “larghissimo”. Nella mia esperienza, che non intendo generalizzare ma solo esporre, gli insegnanti che si vogliono far volere bene elargendo solo voti positivi non educano gli allievi al concetto di “limite”.

Tale concetto può essere appreso soltanto a scuola (in famiglia non esiste più) cioè in uno spazio pubblico, affinchè valga per la vita relazionale in comunità: la libertà deve avere un limite che non può sorpassare altrimenti viene meno il rispetto per il prossimo. A scuola tra relazionalità e valutazione esiste un limite, dunque durante una lezione si può chiacchierare e parlare di tutto ma senza oltrepassare un limite, di rumore, di rispetto reciproco, di attenzione. In genere i proff larghissimi rendendo insignificante la valutazione non rendono comprensibile il concetto, cioè i loro allievi credono di capire che non esiste dal momento che il loro prof è uno di loro, non è un adulto e pure esperto disciplinare, no, è un semplice amico col quale passare piacevolmente il tempo. Un amico non ti giudica.