Viaggio al termine del campo largo, dove resta solo lo squalo

In tutte le serie televisive di successo, che di conseguenza gli autori cercano di tenere in vita molto al di là della loro effettiva capacità di stare in piedi, a un certo punto, arriva sempre il momento del «salto dello squalo», come si dice in gergo, riferendosi a un grottesco episodio di una delle ultime stagioni di Happy Days. Quali siano stati esattamente i successi raccolti in questi anni dalla telenovela del «campo largo», a parte la recente e piuttosto risicata vittoria in Sardegna, non saprei dire, ma ho capito che il salto dello squalo era vicino leggendo il titolo dell’intervista di Stefano Bonaccini alla Stampa di oggi: «Il Pd insista sul campo larghissimo».
Estraneo a ogni maramaldeggiamento, preciso subito che l’espressione nel testo dell’intervista non c’è e dunque non se ne può fare una colpa a Bonaccini, e infatti non è questo il punto. Il problema, mi pare, è che questa tiritera è ormai completamente sfuggita di mano, e offre sempre nuove occasioni per uno stillicidio di passi falsi e sberleffi di cui non si vede la fine e non si capisce il senso.

È la prima domanda di ogni intervista, il primo e a volte anche l’unico argomento di qualunque dibattito cui prendano parte i dirigenti del Pd. E almeno in questo caso non vale prendersela con la cattiveria o la pigrizia dei giornalisti, perché la capacità di imporre i propri argomenti e il proprio racconto all’opinione pubblica costituisce i tre quarti della lotta politica, e non si può delegare ai giornalisti. E nemmeno agli esperti di comunicazione, perché non è un problema di comunicazione (è un mio antico pallino, che l’implacabile immutabilità della politica italiana mi costringe a ripetere continuamente: i problemi di comunicazione non sono mai problemi di comunicazione). Per una volta, sono d’accordo con quello che ha scritto ieri sul Fatto Marco Travaglio: sarebbe meglio smettere proprio di parlarne, tornare al proporzionale (un altro mio antico pallino) e lasciare che ognuno vada alle elezioni col proprio volto, i propri slogan e il proprio programma, lasciando le disquisizioni sulle alleanze al giorno dopo, quando si tratterà di fare il governo.