Origliamenti/L’Italia dei “se hai paura di essere spiato…”

Ci sarebbero molte cose da dire sulle clamorose rivelazioni fatte ieri dal procuratore Raffaele Cantone a proposito dello scandalo degli spioni, dei dossier e del mercato occulto delle informazioni riservate, sulle sue dimensioni e possibili ramificazioni, ma le ho già dette commentando le clamorose rivelazioni dei numerosi scandali precedenti, o più semplicemente le cronache giudiziarie degli ultimi trent’anni (per esempio, per chi fosse interessato al ricco filone che riguarda le intercettazioni, legali e illegali, qui). Una serie di scoperte che la coincidenza con la conferma in appello della condanna di Piercamillo Davigo per rivelazione di segreto d’ufficio, giusto ieri, rende ancora meno sconvolgenti. Dunque, per questa volta, proverei a prenderla da un altro lato. Come se il caso non si trovasse cioè sulle pagine politiche dei giornali, ma sulle pagine culturali. Partendo da una domanda: che differenza c’è, dal punto di vista stilistico-letterario, del lessico, delle categorie e dei luoghi comuni impiegati, tra «La casta» di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo (best seller intramontabile di due grandi firme del più blasonato quotidiano italiano), un programma televisivo popolare che del giornalismo vorrebbe essere la parodia come Striscia La Notizia (tra le trasmissioni di maggiore successo nella storia della tv) e un sito web come Dagospia, che non saprei definire, ma forse non ce n’è bisogno, basta il nome e il fatto che si tratta della prima lettura della stragrande maggioranza dei giornalisti italiani? (Lo so, questo punto interrogativo non ve lo aspettavate, ma è solo perché vi eravate distratti).

Non voglio tornare sul controverso caso di Julian Assange, ma solo domandare se non abbia un significato, non solo estetico, il fatto che la sua migliore approssimazione italiana sia rappresentata dal Gabibbo.Nei tanti dibattiti su spiate e ricatti si parla sempre dell’offerta e mai della domanda. Per dirla con altre parole, il punto è che finora, in tante discussioni sull’Italia dei dossieraggi, ci siamo concentrati molto sull’offerta, e molto meno sulla domanda. Sul fatto cioè che l’Italia di oggi, le sue redazioni giornalistiche e televisive, ma anche i suoi partiti e le sue istituzioni, i suoi cenacoli letterari e i suoi consigli d’amministrazione, sono oggi l’ambiente più propizio al proliferare di questo genere di commerci.

Sulla concezione del giornalismo, della politica, del diritto e delle istituzioni che porta a ripetere, a proposito di simili scandali, vecchi adagi del tipo «male non fare, paura non avere», come ha fatto ovviamente Marco Travaglio (che da questo punto di vista, tuttavia, è semplicemente l’esponente più rappresentativo della categoria). Un classico rovesciamento dei ruoli e delle responsabilità, una sorta di victim blaming preventivo (e intimidatorio). Se hai paura di essere spiato, significa che hai fatto qualcosa di male, e dunque: a) il problema principale sei tu e non chi ti spia, b) forse il fatto che tu non la faccia franca è anche un bene per la società. Un ragionamento con cui si potrebbero difendere persino il regime poliziesco della Germania est o la distopia psico-spionistica di Minority report. E infatti.