Italiani prigionieri di 23mila tassisti/ Gabanelli

Enrico Mattei quando parlava dei suoi rapporti con la politica non aveva bisogno di girarci intorno: «Per me i partiti sono come i taxi: li utilizzo, pago il dovuto e scendo». Quasi 65 anni dopo sono i tassisti a decidere come utilizzare i partiti, mentre migliaia di clienti restano in attesa per non perdere una priorità mai acquisita. Le norme che avrebbero dovuto mettere più taxi in circolazione, emanate dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini e da quello delle Imprese Adolfo Urso, risalgono ad agosto 2023. E allora la domanda è: quando aumenteranno le licenze?
Le norme che avrebbero dovuto mettere più taxi in circolazione (…) risalgono ad agosto 2023. E allora la domanda è: quando aumenteranno le licenze?

Vent’anni senza nuove licenze
Per legge sono i Comuni ad avere il compito di stabilire quante licenze servono (qui art. 5) e di rilasciarne di nuove a titolo oneroso o gratuito. A Milano l’ultima volta che il sindaco è riuscito a incrementarle risale al 2003, concedendo le licenze senza farle pagare ai tassisti vincitori del bando. Oggi il capoluogo lombardo conta 4.855 licenze. Le chiamate inevase, cioè quelle di cittadini che telefonano per avere un taxi ma non lo trovano, oscillano intorno alle 500 mila al mese, con punte del 40% sul totale delle richieste

A Roma non avviene dal 2005, e la scelta è sempre quella di rilasciarle a titolo gratuito. La capitale oggi conta 7.692 licenze. Lo scorso luglio le chiamate andate a vuoto sono 1,3 milioni, il 44% del totale.

A Napoli l’ultima licenza concessa risale al 1998, al costo di 7.500 lire. In totale sono 2.364, mentre le richieste a vuoto arrivano a quasi 150 mila in un mese, praticamente una su due. È il motivo per cui l’Antitrust, a fronte dei dati raccolti con un’indagine conclusa nel novembre 2023 sui cittadini rimasti senza taxi, sollecita i tre Comuni ad adeguare il numero delle licenze alla domanda (qui). Non va meglio altrove: nelle 110 principali città italiane le licenze sono 23.139, più o meno le stesse da vent’anni, come emerge dal rapporto al Parlamento dell’Autorità di regolazione dei Trasporti.

Vecchie e nuove norme
Insomma, la legge che regola la materia, la 21 del 1992, viene decisamente poco utilizzata, almeno dai Comuni. La usano invece i tassisti: chi ha una licenza da più di 5 anni, o ha compiuto i 60 anni, o per malattia, può indicare al Comune il soggetto a cui trasferirla. In caso di morte può essere trasferita a uno degli eredi o a chi indicato da loro (art. 9). Nella pratica il titolare di licenza decide a chi venderla e a quale prezzo: i valori di mercato oscillano fra 150-200 mila euro, a seconda della città. Di qui la volontà di bloccare qualsiasi iniziativa dei Comuni che, con l’aumento delle licenze, possa in qualche modo deprezzare quelle in circolazione (vedi anche il Dataroom del novembre 2022). L’altra norma che si aggiunge alla legge-quadro è il decreto Bersani del 2006 (n. 223, art. 6, comma 1, lett. B qui) che prevede la possibilità di un risarcimento per la categoria. Infatti il decreto dice che, se il Comune anziché rilasciare nuove licenze a titolo gratuito decide di farsele pagare, l’80% dell’incasso deve essere ripartito fra i tassisti già in circolazione in quella città, mentre l’altro 20% deve essere investito in politiche sulla mobilità. (…)

Eppure le leggi ci sono tutte, ma resta il problema di sempre. Appena i Comuni provano a mettere mano alla questione per i tassisti è di fatto sempre un no, e bloccano la città. E non vogliono neppure la concorrenza di Uber &C. Dai governi però non è mai arrivata la copertura politica. È necessario ricordare che i taxi svolgono un servizio pubblico la cui prestazione deve essere obbligatoria, capillare sul territorio e accessibile economicamente. Ma nel Paese delle lobby, quella composta da milioni di cittadini che aspettano inutilmente un taxi che non arriva, ancora non c’è.