Cosa succederà senza la pax americana?

L’impotenza della superpotenza rende il mondo più pericoloso, non più pacifico. Tutti coloro che individuano nell’egemonia americana la causa dei conflitti e delle tensioni internazionali, e pensano che la soluzione sia in un futuro multipolare, dovrebbero riflettere su quanto sta accadendo in queste settimane. L’impotenza della Casa Bianca a fermare Netanyahu, a ottenere che almeno metta al primo posto nella sua guerra ad Hamas l’incolumità dei profughi palestinesi che vagano nella Striscia in cerca di riparo e cibo, sta provocando una delle peggiori tragedie umanitarie nella storia del Medio Oriente. E, quel che è peggio, con l’unico effetto di avvitare ancor di più la spirale dell’odio reciproco, generando una escalation di inaudita ferocia. L’impotenza della Casa Bianca a farsi approvare dalla Camera dei rappresentanti il pacchetto di aiuti militari a Kiev sta invece avvicinando la vittoria sul campo dell’aggressore. Ma la conseguenza non sembra essere quel calo della tensione internazionale che i «pacifisti» con la bandiera bianca associano da sempre all’auspicata resa di Zelensky. Lo scambio tra il sacrificio degli ucraini e la pace universale non funziona. Anzi. Guarda caso, proprio mentre vince, Putin torna a minacciare apertamente l’uso dell’arma nucleare (peraltro senza suscitare una sola protesta nelle piazze italiane ed europee, come ha notato ieri Federico Rampini).

E intanto i filorussi della Transnistria gli chiedono di passare ora al capitolo Moldavia, e di annettersi un altro pezzo dell’ex impero sovietico. Paesi Baltici e Polonia sanno di essere i prossimi candidati. Per cui da Washington il capo del Pentagono Lloyd Austin si affretta a dichiarare che «se l’Ucraina cade, credo davvero che la Nato entrerà in guerra contro la Russia».

Solo degli ingenui, o degli ignoranti della storia, o peggio dei fiancheggiatori, potevano immaginare che un mondo in cui chiunque può andarsene in giro a occupare territori con la bomba atomica in tasca diventasse più sicuro. Oppure credere che lasciando i pirati Houthi liberi di fare le loro scorribande nel Mar Rosso, quelli prima o poi si calmeranno e daranno tregua ai nostri traffici commerciali. Oppure pensare che se la Cina potesse invadere Taiwan domattina il Pacifico diventerebbe d’incanto il Mare della Tranquillità.

La «pax americana» è stata certamente imperfetta, spesso imposta con la forza, talvolta in modo ingiusto o crudele; ma ha garantito un lungo periodo di prosperità e sicurezza a tutti noi, mettendo fine alla guerra civile europea, cominciata nel 1914 e durata fino al 1945.

Ora che la superpotenza è sfidata dal nazionalismo cinese e dal revanscismo russo, la tentazione di risolvere col ferro e col fuoco i conflitti tra Stati e le controversie territoriali diventerà più forte per tutti. E possiamo star sicuri che le prossime elezioni americane non miglioreranno le cose. Se vince Biden, le lasceranno al massimo come sono; se vince Trump, le peggioreranno considerevolmente, perché spingeranno gli States all’isolazionismo, a farsi i fatti propri, a non occuparsi del pianeta (anche se mai dire mai: pure Bush Jr diceva nella campagna elettorale del 2000 che con lui l’America si sarebbe ritirata dal mondo, poi un anno dopo Bin Laden buttò giù le Torri Gemelle…).

Un tempo si diceva che alle presidenziali statunitensi dovrebbero poter votare anche i cittadini europei, perché il risultato avrà più influenza per noi che per gli americani. Purtroppo non possiamo. Ma noi, italiani ed europei, qualcosa possiamo comunque farla. Innanzitutto smettere di credere, e di far credere, che il declino americano sia nel nostro interesse: o è un’idiozia o è «disinformazia», e cioè il frutto della ben sperimentata tecnica russa della disinformazione, o «guerra cognitiva».

L’altra cosa che possiamo fare, visto che anche noi votiamo a giugno di quest’anno per il Parlamento europeo, è votare bene. I tempi che viviamo non sono ordinari. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra mondiale una minaccia armata alla nostra libertà, al nostro stile di vita, al nostro benessere, è alle porte del continente. Forse è giunto il momento di dare a questo, al bene più prezioso di tutti, e cioè la nostra sicurezza, indipendenza e prosperità, la priorità assoluta; anche mettendo da parte le differenze di politica interna che ci dividono in tempi normali. Dando fiducia, come avvenne all’inizio della vicenda repubblicana, a quelle forze politiche che garantiscono senza ambiguità la scelta di campo, la collocazione internazionale dell’Italia. Se necessario, anche turandoci il naso.