70 anni della Rai con l’amichettismo di Giletti

Chi ancora non avesse compreso cosa si intenda per “amichettismo” magari ha visto i “70 anni della Rai” condotta da Massimo Giletti.

Qualcuno ha detto che ha condotto i “70 anni della Tv” visto che c’erano più conduttori Mediaset che Rai, qualcun altro ha parlato di accozzaglia senza un’idea, ma in realtà anche stavolta un programma è stato confezionato con l’amichettismo. Vale a dire Giletti ha chiamato gli amici, li ha fatti parlare e ha così confezionato una trasmissione dove il rosario “la Rai è storia” e altre banalità simili si è alternato a numeri musicali sulle sigle e il solito techetechetè. Il torinese si considera da sempre, e nessuno ha mai capito perchè, un giornalista scomodo, in realtà lui crede che l’indice di ascolto si alza con qualche polemica preventiva e successiva, con qualche argomento “sensibile” sui social o urticante. Roba da apprendista giornalista se anche stavolta l’indice di ascolto nonostante una durata da festival di Sanremo è stato deprimente.

Perchè, ecco la verità, l’amichettismo ti consente di curare le tue pubblic relations, di continuare il do ut des politico e affaristico, la prassi ” a buon rendere” per l’avvenire, ma non è una ricetta per il successo commerciale. Sarebbe troppo semplice, ovvio, alla portata di tutti quelli che hanno rubriche telefoniche ricchissime di contatti. No, anche per fare un programma tv di successo non basta mobilitare tutti gli amici, lodarli ed imbrodarli, come le presentazioni di libri con buffet compreso che finiscono su Dagospia. Giletti, che ci tiene allo schienadirittismo di cui ha parlato Aldo Grasso, ha evocato Craxi e Berlusconi, Grillo e Santoro, le censure democristiane verso Tognazzi Vianello e Dario Fo, l’agonia di Enzo Tortora per opera di pm a caccia di pubblicità sulla pelle della gente. Ma a caccia com’è di una rete nuova che gli affidi un programma, i suoi tic, le sue vanterie professionali sono ben poca cosa rispetto al fenomeno ormai più inquietante della società italiana, l’amichettismo come prontuario per fare il proprio lavoro.