Demagoghi estremisti e populisti spianarono la strada a Hitler e ci provano sempre

Povera Germania, povera Italia, povera Europa. Qualche anno fa avevo scritto un pamphlet politico: Sindrome 1933, pubblicato da Feltrinelli (del maggio 2019 la prima edizione). Proponeva una serie di analogie tra l’anno in cui venne fatto cancelliere Hitler e quel che raccontano le cronache dei giorni nostri. In particolare ricordavo che i nazisti non erano andati al potere con un colpo di stato ma dopo una serie di scontri elettorali ravvicinati, competizioni perfettamente democratiche. Salvo arrogarsi tutti i poteri poco dopo. Con un voto in Parlamento, e tanto di referendum plebiscitario. Che anche Hitler aveva il suo Salvini come alleato nella coalizione del suo governo: il leader ultranazionalista e proprietario di metà dei giornali della Germania, Alfred Hugenberg, più violento, più antisemita e più sovranista di lui. Ma lo fece fuori, lui e i suoi media, in quattro e quattr’otto.
A risfogliare quel saggio sono sconcertato. Volevo essere scaramantico. E invece scopro con un po’ di sgomento di essere stato profetico. Il che mi mette a disagio, perché so bene quanto i profeti, da Cassandra agli insopportabili e lamentosi profeti delle Bibbia di Israele, possano risultare fastidiosi, anzi odiati. Non si tratta di quanto è successo nel frattempo. Ma di che potrebbe succedere in un futuro molto prossimo. Che so: Trump di nuovo presidente degli Stati uniti, l’Europa che si sfascia sotto le martellate di una destra gretta, populista, sovranista, cattiva, intollerante a critiche e differenze, che ce l’ha con gli immigrati e tutti i diversi, esattamente come la destra tedesca (ma anche francese, britannica, americana) del secolo scorso ce l’aveva con gli ebrei e gli handicappati.

I contadini che protestano avranno anche le loro ragioni per essere arrabbiati. Quello che allarma sono invece le ragioni per cui la rivolta viene fomentata, incoraggiata, indirizzata, amplificata, strumentalizzata. C’è un filo nero che tiene insieme i gilet gialli, le barricate francesi per continuare a potersi già pensionare a 62 anni, quelli che danno la caccia agli immigrati clandestini, o hanno dato l’assalto al Campidoglio di Washington, l’agitazione dei no vax, il “boia chi molla” dei tassisti romani, i balneari, l’universo sterminato delle fake news e farneticazioni complottiste, l’antipolitica dei forconi, le imprecazioni contro tasse e multe, e i nuovi squadrismi anti-ecologici.

Dargliela già vinta? Forse non ancora. Per restare alla rivolta dei trattori, questo 2024 era cominciato in modo terrificante proprio in Germania, con un tentato linciaggio, da parte di una masnada di agricoltori, del ministro dell’Economia Habeck che al ritorno dalle vacanze stava sbarcando da un traghetto a Schlüttsiel (proprio nello Schleswig, al confine con la Danimarca). Poi è sopraggiunta una piccola nota di ottimismo: nelle ultime elezioni nelle regioni rurali in cui c’è stata la protesta più violenta in Germania in queste settimane (in Turingia, dove si è appena votato, e prima ancora nel fatidico Schleswig-Holstein) sono anche quelle in cui Alternative für Deutschland, Afd – il partito post-nazista, che era sicuro di stravincere dopo aver fatto campagna per l’uscita dall’Unione europea e per l’esplosione immediata di tutti gli immigrati – è stato sconfitta da una coalizione tra democristiani, liberali, socialisti.

Un libro di Volker Ullrich fresco di stampa, in testa alla classifica dei bestseller del New York Times, racconta per filo e per segno come dal 1923 in poi erano riusciti a tenere a bada uno dopo l’altro i golpisti, la destra estrema, l’esercito in mezzo alla più catastrofica inflazione della storia e a una guerra civile strisciante. Si intitola Germany 1923: Hyperinflation, Hitler’s Putsch, and Democracy in Crisis (Liveright 2023). La democrazia di Weimar aveva retto grazie a personalità che sapevano fare politica, a una Große Koalition tra sinistra e centro moderato. Fossero riusciti a farlo anche nel 1933, non ci sarebbe stato Hitler.