Lucio Battisti aspetta il suo Tornatore

1966,  alla radio ascolto una canzone.”Per una lira/Io vendo tutti i sogni miei/ Per una liraCi metto sopra pure lei”. Caspita, mi dico, e chi l’ ha scritto questo pezzo? Lo cantavano i Ribelli, del clan Celentano. Compulsando i settimanali apprendo che il musicista (delle parole non mi è  mai importato nulla) è un giovane che si chiama Battisti. Capii subito che avevo incontrato qualcuno che stava rivoluzionando la musica italiana. Non avevo idea che faccia avesse, ma sapevo che la musica in Italia aveva fatto  un salto. Amore a prima vista, colpo di fulmine.Altro che una lira, su Battisti avrei scommesso la vita.

Kundera ha detto: io sogno un mondo in cui gli scrittori siano costretti a mantenere segreta la propria identità, per legge, tutto quello che volevo dire lo troverete nei miei romanzi. Forse è una frase che come me la ha letta anche Lucio.

Il regista Giorgio Verdelli (1959) ha realizzato nel 2020 un documentario di 108 minuti su di lui (Io, tu, noi, Lucio) andato in onda su Rai2 mentre ora è su Netflix. Verdelli è un grande esperto musicale e su Lucio dà la parola a tutti, da Mogol sino a Sonia Bergamasco, Verdone e Arbore. Ci sono tutti gli amici musicisti della Numero 1, si vedono e ascoltano tutte le sue canzoni, ma alla fine la grandezza di Battisti rimane, rispetto ad operazioni analoghe fatte da Tornatore con Morricone e Martone con Troisi per il cinema, come imprigionata nel trito format televisivo. Questo format si basa sull’accumulo, sull’affastellamento di voci e musiche, mentre le immagini (il cinema, cioè la forma, il linguaggio) restano tra le “varie ed eventuali”. La confezione allora mischia la chiacchiera da talk (quelli affollati dove si commemora qualcuno parlando 10 secondi ciascuno) con apparizioni televisive (ma la tv degli anni settanta ci sembra preistoria) e foto e filmati familiari.

C’è un solo unico momento davvero cinematografico, le espressioni facciali alternate di vari ospiti che ascoltano tutti “Io vivrò senza te”. La genialità di Battisti dunque va ancora, ed è scomparso nel 1998, spiegata, non basta aggettivarla (è unico, straordinario…), ed il problema per chi si cimenta nell’impresa è facile spiegare da dove nasca. Mentre Tornatore aveva una base di partenza, una lunga intervista con il suo amico Morricone, mentre Martone aveva  le tante interviste televisive di Troisi e, per la prima volta de visu la testimonianza dell’unica sceneggiatrice che ha lavorato con lui, Anna Pavignano, di Battisti ci sono soltanto le sue canzoni e del Battisti-Panella solo la musica. Infine c’è solo la “Sostiene Mogol”, vale a dire ciò che racconta a getto continuo Mogol. L’ultima rivelazione, cominciata nel 1999 con la canzone “L’arcobaleno” cantata da Celentano, dice che Battisti gli appare sotto forma di arcobaleno, l’ultima volta nel 2022.

Spiegare Battisti (o Mina) è difficile perchè la loro riservatezza, la loro assenza pubblica non consente di approfondire il loro privato, di delineare un loro ritratto umano. Voglio dire, ascoltare Verdone o Mario Biondi che spiegano le influenze musicali di Battisti è troppo scontato, lo spettatore vorrebbe essere sorpreso o arricchito da rivelazioni, da notizie nuove, da verità finora taciute. Nel caso di Battisti, ecco tutto lo spazio che c’è per un film che ancora deve essere realizzato, c’è la necessità di espungere dal racconto la versione Mogol e di raccontarlo dalla parte di Battisti. Puoi conoscere lady Diana se fai parlare solo il marito? O un amante? Non è assurdo ricostruire la personalità, le idee, l’anima di Battisti scandagliando le parole che gli ha messo in bocca Mogol, come se lui fosse quello dei ” falò, delle gite in autobus”, il solito sfigato che implora ” dove sei stata/cosa hai fatto mai”.

Come si sa moglie e figlio di Lucio mantengono un riserbo assoluto per cui sui media esiste soltanto il Battisti raccontato da Mogol e dai musicisti che hanno lavorato con lui. Non esiste il Battisti raccontato dai suoi amici, o da Panella, l’altro coautore che finora non ha mai rivelato nulla anche perchè i due non si incontravano. Lui si limitava ad inviargli dei testi e poi Lucio li musicava, capovolgendo il modo di lavorare di Battisti che a Mogol dava le musiche per aggiungere le parole.

Nel film di Verdelli c’è una sola testimonianza nuova, quella di un amico che lo incontrò per caso nel periodo con Panella e gli chiese se fosse vero che era finita anche la nuova collaborazione. Al chè Lucio avrebbe risposto: Sì, lo sostituirò con uno peggiore. Frase che come tutte quelle sintetiche (tipo intercettazioni) può essere interpretata in molti modi, ma certamente era scherzosa e forse intendeva soltanto sottolineare che ormai Battisti ai testi delle canzoni dava un valore relativo.
Un autore quindi se intende trattare l’opera di Lucio in un film dovrebbe innanzitutto illuminare tutta la parte nascosta di Battisti, e poi inventarsi tutta la parte visiva, come ha tentato di fare Vincenzo Mollica che creava videoclip per illustrare in tv una nuova canzone di Lucio senza Mogol.

La parte nascosta di Lucio è importante e lo dimostra la leggenda metropolitana del Battisti fascista, quell’accenno ridicolo che talvolta si fa al “planando sopra boschi di braccia tese” per spiegare eventuali sue simpatie politiche. Lucio non si è mai interessato di politica ma anche se fosse stato fascista, buddista o anarchico non cambierebbe nulla. Piuttosto è tutta da spiegare la vicenda del mancato sbarco di Battisti sui mercati internazionali, visto che David Bowie e tanti musicisti eccelsi lo avevano di sicuro apprezzato. C’è a tal proposito da indagare sulle pretese assurde di Mogol il quale voleva che nelle versioni spagnole o americane i suoi testi venissero rispettati alla lettera. Rasentiamo il ridicolo se pensiamo a questo magalomane che, come ha spiegato lui stesso, ha rotto il sodalizio con Battisti perchè voleva dividere a metà le royalties e, per giunta, ha preteso che il paroliere inglese riuscisse a rendere, per dire, “planando sopra boschi di braccia tese”.

Mogol è stato un eccelso paroliere, non quanto Pallavicini o Calabrese, ma questa sua manìa di paragonarsi ad un Carducci o Pascoli, osannato com’è da adoranti giornalisti, resta davvero fuori luogo. Insomma, in Italia ancora oggi c’è qualche critico convinto che il successo enorme di Battisti sia dovuto ai testi di Mogol. Per questi scienziati ci piacciono i Beatles senza conoscere la lingua inglese? Le parole nelle canzonette sono solo suoni, infatti nella musica lirica gli autori dei libretti restano illustri sconosciuti, solo in Italia, si sarà detto ad un certo punto Battisti, si danno tante arie.

“E poi di che parliamo? Trasvola sopra l’ultima papilla la farfalla e la lingua la spilla” (Allontanando, album L’apparenza).