Il processo mediatico fuori dai tribunali (inguaia)

Nessuno la ricorda più perciò la riporto. Nel maggio 2006 i giornali pubblicano il testo di questa intercettazione:Ho speso 10mila euro per portarla a cena a Parigi, ho preso un aereo privato, albergo di lusso, ristorante favoloso, ma è andata buca. Parla Alessandro Moggi, figlio di Luciano Moggi, ds della Juve, che era impelagato e intercettato per Calciopoli. Il figlio e il suo tentativo privato di “conquistare” Ilaria D’Amico finiscono sui giornali con una intercettazione che è solo gossip becero, piccante, morboso. Una famiglia viene sputtanata perchè i pm rilasciano ai giornalisti tutto il pacco delle intercettazioni e viene pubblicata roba che non ha nessuna attinenza con l’oggetto dell’indagine. Forse il problema non è allora “intercettazioni si o no”, ma quali pubblicare. Solo che per capire il contorto meccanismo del processo mediatico occorre tornare indietro. 

C’è un fenomeno che ben conosciamo sin dalla stagione di Mani Pulite senza che il trascorrere di 30 anni lo abbia minimamente scalfito. E’ un distillato di disprezzo per un concetto non poliziesco e inquisitoriale di giustizia. E’ il processo mediatico che si svolge sui media, prima e al di fuori del processo in tribunale dove è invece necessario il contraddittorio tra le parti, poste su un piano di parità, con il giudizio finale affidato ad un terzo imparziale.

In Italia l’indipendenza della magistratura è stata declinata attraverso l’ostracismo per una indispensabile separazione delle carriere dei giudici. Dunque l’accusa dei pm ha uno spazio abnorme, fornito in maniera interessata dai media, e ciò consente di  comunicare direttamente con l’opinione pubblica escludendo a priori la possibilità per l’indagato di potersi difendere. Quando finalmente si aprirà il processo e l’imputato potrà difendersi, i giochi sono ormai fatti, l’effetto si è già prodotto, e una eventuale assoluzione sarà solo una beffa. Quello che  rileva di più è l’accordo, implicito oppure esplicito, tra pm e media per sputtanare una o più persone attraverso una campagna mediatica rivolta all’opinione pubblica.

La persona può essere (prima del processo) incarcerata, oppure lasciata ai domiciliari, oppure restare in libertà, ma l’afflizione maggiore la darà il trascorrere del tempo. Sulla persona indagata pende un’ accusa (un sospetto) spada di Damocle che la azzoppa, qualunque sia il suo lavoro o attività. Voglio ricordare soltanto la vicenda dell’ex presidente della provincia di Milano ed ex sindaco di Sesto San Giovanni, Filippo Penati (Pd), prematuramente scomparso. Penati era imputato di corruzione e finanziamento illecito dei partiti ed è stato alla fine di una lunga penosa vicenda assolto perché “il fatto non sussiste”. Estromesso dalla politica, alla fine assolto dopo lunghi anni, è morto subito dopo.

Fino a quando un processo non si concluderà con una sentenza, quella persona, presunto innocente per le norme costituzionali ma anche il soggetto debole nel momento in cui è sottoposto alla forza dello Stato, sarebbe importante proteggerlo non perché non ha commesso delitti o perché è innocente, ma perché è assoggettato a questo potere, che in quanto tale potrebbe essere esercitato male.

Al contrario l’indagato sarà un colpevole dato in pasto all’opinione pubblica che ogni giorno verrà nutrita con presunte rivelazioni, con intercettazioni tagliate e cucite  centellinate a mezzo stampa, con ponderose riflessioni dei giustizialisti.

Volete un esempio? Corriere della sera (19/1/23): “La carta segreta con Ronaldo che inguaia la Juve”. Non è una notizia, è una sentenza: è la tesi dell’accusa, che gentilmente ha fornito ai giornalisti la carta, e il giornale la mette in pagina con risalto, prima della guerra in Ucraina o di Messina Denaro. Il processo (sulla stampa) è stato già fatto e si è concluso con una condanna, inaudita altera parte. Basta un solo verbo: INGUAIA.

Chi sono i giustizialisti? E’ una categoria politica italiana che si è incistata  nell’antipolitica, sviluppatasi nel 1992 con l’operazione Mani Pulite, e che poi, attraverso il bipopulismo, ha vinto elezioni ed è arrivata pure al governo? 

Sono quelli che condannano senza processo (la giustizia la vogliono rapida e sommaria, tipo arresto e fucilazione sul posto) aderendo per principio alle tesi dei pm sulla base del presupposto che i pm sono sempre per definizione i Buoni. I giustizialisti motivano la loro condanna senza attendere sentenze adducendo ragioni politiche che sono anche morali. La verità giudiziaria, se e quando interverrà, essi dicono, non devesi confondere con i giudizi del popolo, essendo la giustizia un meccanismo complesso nel quale solo i ricchi possono difendersi agevolmente. Si noti come gli stessi brigatisti rossi conducevano i loro processi e ammazzavano la gente in nome e per conto di una presunta giustizia proletaria di cui loro erano soltanto esecutori. Insomma, i giustizialisti sono per una giustizia sommaria che non aspetta i tempi lunghi dei processi perchè questi favoriscono i ricchi e i colletti bianchi. Sono contro la prescrizione dunque perchè chi può permettersi costosi studi legali persegue il rinvio processuale al fine di ottenere la prescrizione.

Nonostante, dal caso Tortora in poi, gli errori giudiziari sappiamo bene siano possibili e frequenti come dimostrano le statistiche, il processo svolto sui media senza alcuna garanzia per gli indagati è ancora pienamente operante in Italia attraverso la discrezionalità dell’azione penale, e l’accordo di pm con giornalisti velinari e asserviti. Il reciproco vantaggio (io ti fornisco le rivelazioni e tu così senza fatica aumenti i ricavi grazie ad esse) consente la macchina del fango. Quando l’indagine viene condotta come una sorta di pesca a strascico e la cacca finisce nel ventilatore, chiunque si ritrovi indirettamente (come il figlio di Moggi con la D’Amico) coinvolto nelle intercettazioni viene, come effetto collaterale del fuoco amico, dato in pasto all’opinione pubblica. 

Non si parte dai fatti-reati per individuare i presunti responsabili, ma si capovolge il meccanismo: una volta deciso di voler colpire Tizio, si cercano i fatti da addebitargli. I trojan e le intercettazioni che violano la privacy si sono trasformati da armi necessarie per individuare terroristi e mafiosi (legislazione di emergenza) in strumenti ordinari di indagine verso tutti.

Ciò che rende odioso e antidemocratico questo perverso meccanismo è la sua finalità: non si persegue la condanna del reo, o la sua punizione, ma soltanto la sua afflizione. Le indagini sono molto più importanti delle sentenze di condanna, per cui l’importante è saper accendere il motore delle indagini, il resto verrà da sè. Per fare un semplice esempio sportivo, le indagini sulla Juventus svolte da un pm hanno un solo scopo: non quello di ottenere la condanna della Juve, sul piano penale o sportivo, ma soltanto di alzare un polverone mediatico per riconfermare un antico pregiudizio, la Juve vince perchè ruba. La condanna è quindi auspicata, ma resta un effetto soltanto secondario ed eventuale, lo scopo dell’indagine è comunicare, creare un filo diretto con l’opinione pubblica. Lo stesso famoso Palamara ora espulso dalla magistratura cominciò a farsi conoscere a Napoli processando la Juve.

Il processo (la gogna) mediatico (sbatti il mostro in prima pagina) ha preso ormai il posto del processo nelle aule dei tribunali e l’indipendenza dei giudici trasformata in irresponsabilità qualsiasi siano le scelte operate consente ai più ambiziosi di scegliere con cura chi indagare e come. E’ evidente che più conosciuto e popolare è l’indagato, maggiore è il rilievo mediatico che assumono le indagini,  per cui basta un patto occulto tra un singolo pm e un singolo giornalista per provocare lo scandalo, in quanto la pubblicazione teleguidata di un articolo sarà la miccia per far propagare l’incendio sugli altri media. E’ chiaro allora che un sistema dove 2 persone, un solo unico pm d’accordo con un unico giornalista, possono mettere sotto accusa una impresa, un partito, una associazione, un politico, provocando una campagna scandalistica che se si rivelerà falsa non avrà conseguenze pratiche sui promotori, è un sistema ingiusto che contraddice lo Stato di diritto. Ma evidentemente se funziona così vuol dire che in Italia il potere congiunto di quei due, pm e giornalista, supera quello di qualsiasi altra categoria.

Le comunicazioni di massa non sono, come comunemente si dice, il Quarto potere. Quel genio di Orson Welles col suo film omonimo ci ha voluto spiegare che si possa godere della notorietà più sfrenata, aver esposto al giudizio collettivo ogni aspetto della propria vita pubblica e privata, eppure risultare un mistero.

Nessuno capisce mai veramente nessuno.