Moratti – Pd, un’opportunità che richiede uno sforzo reciproco

Il Partito democratico è una ben strana creatura. Per anni a livello nazionale ha ingoiato qualsiasi formula di governo, alcune potabili e necessarie, altre surreali e improvvisate come nel 2019, quando il Pd di Nicola Zingaretti avrebbe potuto tornare al voto sull’onda del disastro del governo gialloverde e invece scelse di simulare l’esistenza di un’alleanza frontista con il Movimento 5 Stelle e il suo cangiante leader Giuseppe Conte. Ora, con la scusa di volersi mondare di tutti i suoi errori e la pretesa di lanciare un segnale di presunta purezza, il Pd finge di non vedere cosa sta accadendo in Lombardia (anche se, in qualche caso, è possibile che non sia finzione, e ovviamente si tratta di un’aggravante).

La candidatura di Letizia Moratti alla presidenza della Regione Lombardia non è un ghiribizzo personale, o almeno non solo, e comunque non per la parte che conta, e si chiama politica. Moratti ha mollato la destra con motivazioni forti e pubblicamente rivendicate. Ha spiegato di non riconoscersi in una coalizione trainata dai sovranisti, spesso eufemismo di altri peggiori ismi. Ha sgretolato la compattezza di facciata della nuova era meloniana e lo ha fatto in un territorio da sempre centrale per gli equilibri di quella coalizione. Davanti a questo scenario una grande forza come il Pd avrebbe due strade: mettere in campo una proposta in grado di battere in Lombardia sia il centrodestra moderato di Moratti che la destra estremista di Lega e Fratelli d’Italia; oppure, in mancanza di questa possibilità, cercare un accordo politico con questo pezzo di centrodestra in fuga dal salvinismo per assestare un colpo durissimo al governo da poco in carica e, non ultimo, cercare di lasciare un’impronta sul governo della Lombardia dopo tanti anni di sterile opposizione. Il Pd, invece, pare pronto a imboccare una terza via, terza come la probabile posizione finale nel risultato delle urne: un candidato di bandiera che, per giunta, con tutta probabilità sarebbe Carlo Cottarelli, appena eletto senatore – tanto per dare un’idea di quanto siano tenuti in considerazione gli impegni presi con gli elettori, un vecchio vizio dem – e sommerso con un distacco di 25 punti da Daniela Santanché nel collegio uninominale di Cremona. Un’ottima soluzione, insomma, per garantire un’altra volta a Salvini e Meloni di sfangarla di nuovo con la minoranza dei voti. Bella soddisfazione.

Dicono gli obiettori: non si può votare una come Moratti. Ma, fascisti e sovranisti a parte, tutti possono essere votati se si creano le condizioni politiche perché il voto sia speso in una direzione politica accettabile, soprattutto quando l’alternativa è una sterile e inutile battaglia di partito. Il Pd che ha dato una patente di sinistra al leader che sorridente aveva presentato i decreti Salvini, peraltro ricavandone da allora solo guai, dovrebbe vergognarsi di provare a governare la Lombardia facendo un patto con Moratti? Non scherziamo. Dicono ancora gli obiettori: il Pd deve smetterla con le operazioni di potere, e questa è l’obiezione più fessa di tutte, oltre che per la dose naturale di demagogia che si porta appresso, proprio per la sua infondatezza. In Lombardia non si tratta di fare accordi post voto e manovre di Palazzo, bensì di andare a governare una Regione chiave grazie al consenso degli elettori lombardi, sempre se c’è la capacità di conquistarlo. Infine, per rispondere alla terza e ultima obiezione, non sarebbe un’operazione “laboratorio” né il cedimento al terzopolismo o al moderatismo. Sarebbe semplicemente ciò che ha senso fare nel luogo e nel momento dato.La politica è l’arte del possibile, quando non è il vaffa del M5S o il nazionalismo straccione di chi comizia contro la fine della pacchia in Ue e poi torna da Bruxelles con le orecchie basse e il cestino vuoto.

L’operazione Moratti non è semplice e soprattutto richiede uno sforzo reciproco, perché l’ex sindaca di Milano, con la storia e il profilo che ha, non può certo pretendere di prendere i voti dell’elettorato che fin qui l’ha sempre avversata senza che ci sia un confronto serio su tutto: priorità, programma, squadra. L’obiettivo, per una sinistra di governo, non dovrebbe essere altro che cercare di ottenere dei risultati là dove non se ne otterrebbe nessuno e, ovviamente, provare a colpire il governo. Se l’opposizione ha ragione a presentare questa destra come il peggiore dei mali, e ce l’ha, non può sciupare un’occasione così chiara per accelerarne il declino.