Saranno le elezioni dal risultato più scontato e dall’esito più imprevedibile di sempre

Raramente nella storia della politica italiana un risultato elettorale è apparso da subito più scontato di quello del 25 settembre. Persino alle elezioni del 2008, che si conclusero con uno scarto di quasi dieci punti a favore del centrodestra, cronisti e commentatori, per convinzione o per cortesia, sostennero fino all’ultimo la narrazione di una partita tutta da giocare e dall’esito aperto.

Stavolta nemmeno il più fazioso degli opinionisti ha il coraggio di andare in tv a parlare dell’imminente sorpasso del Pd e della rimonta di Enrico Letta. Non ce n’è uno che non faccia capire, quando non lo dice esplicitamente, che la vittoria del centrodestra e il trionfo di Fratelli d’Italia li dà praticamente per scontati (atteggiamento che in qualsiasi altra circostanza susciterebbe naturalmente accese e più che fondate proteste).

Il fatto singolare è che le elezioni dal risultato più scontato di sempre sono anche quelle dall’esito più imprevedibile. La rapidità e la radicalità della svolta impressa al suo partito da Giorgia Meloni, perlomeno a parole, basterebbe già di per sé a giustificare ogni tipo di perplessità: chi salirebbe infatti a Palazzo Chigi, se le previsioni di tutti venissero confermate, l’ammiratrice di Viktor Orbán o l’amica di Mario Draghi? La sovranista radicale che non votava nemmeno i fondi europei all’Italia o la politica responsabile che pur dall’opposizione non faceva mancare il suo sostegno alla politica estera del governo? La leader populista che parlava di blocco navale e dittatura sanitaria o la rispettabile conservatrice che oggi cerca di ridimensionare, smussare, stemperare ciascuna di quelle parole d’ordine dentro discorsi di buon senso?

Resta poi da capire quale peso avranno, nella nuova probabile maggioranza, Forza Italia e la Lega, specialmente la Lega e specialissimamente il suo segretario, Matteo Salvini. E forse il primo vero indizio della direzione che prenderà il nuovo governo sarà proprio la sua collocazione: se tornerà al ministero dell’Interno, quali che siano le intenzioni degli alleati, a prevalere sarà inevitabilmente la spinta populista, con tutti i rischi di una deriva ungherese, peraltro già evidenti nel modo in cui si è posto in campagna elettorale il tema del presidenzialismo (con annesso avviso di sfratto a Sergio Mattarella). Se invece Meloni dimostrasse di avere la forza e l’intelligenza necessarie per evitare il ritorno di Salvini al Viminale, chissà.

Insomma, potremmo avere un serio rischio di involuzione democratica sul modello orbaniano, potremmo avere un governo di centrodestra subito indebolito dalle evidenti divisioni interne (e dalle altrettanto evidenti incompatibilità personali) e potremmo avere un governo di centrodestra capace magari di stupirci tutti in positivo. Salvo l’estrema improbabilità di quest’ultima ipotesi, la verità è che non lo sappiamo, non possiamo saperlo, come non possono saperlo gli stessi leader del centrodestra, al di là delle rispettive e spesso non convergenti intenzioni.