Raffaele La Capria si ricongiunge alla sua Ilaria

Raffaele La Capria, scomparso pochi giorni fa a 99 anni, l’ho inquadrato quando lessi la notizia che aveva sposato Ilaria Occhini, l’attrice italiana per me più bella di tutte, di ieri e di oggi. Con lei ha vissuto per 58 anni sino a tre anni fa quando la Occhini scomparve a 85 anni e lo lasciò solo. Un amore che lui ricordava così : “Io sono un amante della bellezza e mi colpì questa sua bellezza nascosta in una automobile che andava a Napoli, insieme ad altre persone. Fra queste persone, c’era questa faccia di Ilaria che mi colpì e da allora mi ha sempre colpito. La sua era una bellezza non volgare, ma spirituale. Una bellezza che era adatta al mio sentimento. Ilaria rappresentava un certo tipo di nobiltà, un’aristocrazia dei sentimenti“. Quando la conobbe La Capria detto “Dudù” aveva da poco vinto il Premio Strega con “Ferito a morte”. Era il 1961 e, aprendo lo sportello di un’auto vide Ilaria Occhini, all’epoca 28enne e già diva del cinema. Proprio quel giorno se ne andarono insieme a Positano e l’amore fu immediato. Nel suo libro, “La bellezza quotidiana”, la Occhini scrisse che il suo Raffaele ebbe a dire: “Speriamo che gli dei della Nemesi che ci guardano dall’alto dei cieli mediterranei non si accorgano della nostra felicità, perché senza dubbio ci punirebbero”. Considerava la moglie “il premio più bello della mia vita“. Alexandra, unica figlia della coppia, sceneggiatrice, ha rivelato una curiosità: non volle mai vedere morta sua moglie.

Raffaele La Capria era un Bilancia, era nato il 3 ottobre del 1922, e fu per questa coincidenza (io sono del 2 ottobre) che alla fine degli anni settanta mi misi a leggere un capolavoro come Ferito a Morte. Poi non mi sono perso un solo articolo di quelli che ha scritto per il Corsera sino a qualche anno fa.

La Storia, quella con la esse maiuscola, ci racconta l’assedio di Troia da parte degli Achei”, disse una volta La Capria al giornalista Salvatore Merlo. “Ma la letteratura è composta dai sentimenti di Andromaca e di Ettore”, aggiungeva ironico e didattico. Negli anni Dudù è stato ricordato come uno dei tanti intellettuali (sino a Paolo Sorrentino) che hanno abbandonato Napoli (Troisi creò il famoso tormentone “emigrante?”) per fare il cinema a Roma, e forse è vero visto che lui è stato uno sceneggiatore bravissimo (Le mani sulla città di Rosi, o Uomini contro).

“Uno scrittore per il semplice fatto di essere nato a Napoli viene definito ‘scrittore napoletano’, e l’aggettivo napoletano gli viene imposto come un marchio di fabbrica, tutto quello che scrive è made in Naples. Io però dico – senza voler nulla rinnegare della mia identità – che i miei libri, anche quando parlano di Napoli, parlano prima di se stessi, cioè di come sono scritti, e poi di Napoli”. La Capria è stato uno sperimentatore, di “Ferito a morte” ricordò lui stesso in una conferenza tenuta alla Sorbonne di Parigi : “Fanno parte di questo romanzo l’applicazione di tecniche narrative come il flusso di coscienza o monologo interiore, la concezione del tempo sincronica invece che diacronica, la polifonia, la minore importanza della psicologia o della trama, o del personaggio, perché appunto è il contesto che prevale, e cioè la struttura e il linguaggio”.

La vicenda narrata in “Ferito a morte” si svolge nell’arco di circa undici anni, dall’estate del 1943, quando, durante un bombardamento, il protagonista Massimo De Luca incontra Carla Boursier, fino al giorno della sua partenza per Roma, all’inizio dell’estate del 1954. Tra questi due momenti il racconto procede per frammenti e flash, ognuno presente e ricordato, ognuno riferito a un anno diverso, anche se tutti sembrano racchiusi, come per incanto, nello spazio di un solo mattino: la pesca subacquea, la noia al Circolo Nautico, il pranzo a casa De Luca… Negli ultimi tre capitoli vi è poi come una sintesi di tutti i successivi viaggi di Massimo a Napoli, tanti ritorni nella città che «ti ferisce a morte o t’addormenta, o tutt’e due le cose insieme»; nella città che si identifica con l’irraggiungibile Carla, con il mare, con i miti della giovinezza. Nel 1954 alla vigilia della partenza per Roma di Massimo, lui e i suoi amici (Leoni al sole, come il successivo film di Caprioli) passano il tempo fra chiacchiere, pettegolezzi, scherzi, il Circolo nautico, il Bar Middleton. Sei anni dopo, nel 1960,  Massimo è ritornato a casa per una breve vacanza e incontra all’isola di Capri e a Positano quegli amici, alcuni dei quali vivono ormai di espedienti. La Capria aveva pensato ad un titolo bellissimo, “Lo spazio di un mattino”, perchè la prima parte si svolgeva per l’appunto nello spazio temporale di un mattino, come la giovinezza di ciascuno di noi. Ma il titolo  definitivo gli fu suggerito dal suo amico Giuseppe Patroni Griffi.

A questo libro difficile da leggere, lirico ed astratto, e che richiede tanta attenzione per non perdere i dettagli, è avvenuto un  miracolo, non solo è stato amato ma è diventato anche popolare. Forse perchè tutti abbiamo nel cuore la nostalgia per un paradiso perduto e per una «giornata perfetta». L’ossessione per un’Occasione Perduta, la speranza che si riproponga, è un tema che in letteratura e al cinema è stato trattato molte volte.

Ma è anche cinema sapere, come apprendo da Salvatore Merlo (il Foglio), che Ilaria Occhini è stata la seconda moglie di Dudù, conosciuta dopo che Fiore Pucci l’aveva lasciato per mettersi con Sandro Viola, il giornalista fondatore di Repubblica. Dudù la raccontava con ironico distacco: “Sandro Viola mi ha sollevato da parecchie responsabilità”. Un po’ alla “Amici miei” di Monicelli, quando il medico Sassaroli consegna all’architetto Melandri la moglie, ma anche la figlia, il cane Birillo e la tata tedesca: “Una catena d’affetti che non si può spezzare” .

In un’intervista a Fanpage.it nel 2015 La Capria parlò anche della morte: “A me fa paura più l’eternità che la morte. Se c’è un’altra vita e questa vita è eterna, io all’eternità la immagino come può immaginarla uno che vive la vita che viviamo tutti e la immagino come una cosa sempre ferma, l’eternità, sempre uguale. E sarebbe insopportabile, allora io la morte la vedo come una liberazione dalla paura dell’eternità, per fortuna è un limite e quel limite è sacro e ci libera dalla paura dell’eternità, però tutto questo è il contrario di quello che si dovrebbe dire perché secondo la religione, invece, è importante che ci sia l’altra vita, ma è importante anche per l’uomo. Insomma, ci sono diverse opinioni”.