Ci vuole un nuovo Enrico Bondi per quantificare il crak Calabria

Basta leggere i giornali on line ogni giorno per capire lo stato delle amministrazioni calabresi. I calabresi hanno poco dimestichezza con bilanci, conti, numeri, fatture, preferiscono che tutto resti oscuro e non tracciabile. Per esempio, nel mondo una truffa su larga scala è stato lo schema Ponzi, un modello economico di vendita truffaldino ideato da Charles Ponzi (1882-1949), che promette forti guadagni ai primi investitori, a discapito di nuovi “investitori”, a loro volta vittime della truffa. In finanza è invece molto conosciuto il sistema delle scatole cinesi (o matrioske) dove c’è la società controllante, detta holding, al cui interno vengono annidate le altre società controllate. Bene, in Calabria l’unico sistema truffaldino reale adoperato nelle amministrazioni pubbliche è quello di distruggere i libri contabili per cui chi ha avuto ha avuto chi ha dato ha dato e alla fine non resta che chiedere i soldi allo Stato per tappare i debiti.

1)Debiti incalcolabili e dati inattendibili, all’Asp di Reggio è sempre «estrema patologia» contabile. Ancora censure della Corte dei Conti, che rileva le gravi criticità della gestione dell’azienda pur dando atto dell’avvio di un’azione di bonifica (28/08/2021)

2) Il buco milionario nelle casse dell’Asp di Cosenza non è nemmeno quantificabile. L’ultimo bilancio approvato, sotto inchiesta della Procura che ipotizza numerosi falsi nella stesura del documento contabile, risale ormai a cinque anni (e otto commissari) fa. L’affidamento del servizio alle stesse ditte continua, di proroga in proroga, da quindici anni. I commissari di gara nominati per valutare nuove offerte si dimettono uno dopo l’altro. E l’Azienda sanitaria provinciale bruzia si ritrova a pagare molto di più a paziente ogni giorno rispetto a Reggio e Catanzaro.
3) Tirreno cosentino, fiumi di denaro e un mare di opere incompiute.
Massi per arginare la potenza delle onde, aviosuperfici e ospedali, strade mai finite. La saga delle strutture abbandonate, mal realizzate o mai utilizzate da Scalea a Campora San Giovanni.
4) Regione Calabria, bomba contabile: 24 milioni di euro per le indennità extra dei burocrati.
In barba a numerose sentenze, l’ente continua da anni ad erogare in base a criteri non previsti dai contratti collettivi denaro in più ai dipendenti pubblici che lavorano nelle strutture dei politici. Un modus operandi alla cui introduzione contribuì Roberto Occhiuto, che ora invece promette una rivoluzione burocratica che tarda ad arrivare.

Poi ieri arrivano due bombe.
5) Un miliardo e 100 milioni di euro. È quanto la Calabria non avrebbe speso (o, comunque, non ha comunicato di averlo fatto) negli ultimi 22 anni. La cifra monstre è stata comunicata dal ministro per il Sud, Mara Carfagna, al presidente Roberto Occhiuto. «In seguito ad accurate analisi fatte dal Ministero per il Sud e la Coesione territoriale – si legge in una nota diffusa dal presidente della Regione – sono emersi fatti che devono far riflettere: la Calabria negli ultimi 20 anni, dal 2000 ad oggi, non ha speso – o non ha comunicato la spesa al governo – cospicue risorse dei Fondi assegnati dallo Stato. È una storia che si ripete e che, purtroppo, abbiamo imparato a conoscere negli scorsi decenni: le Regioni del Sud al palo, con una burocrazia non all’altezza e troppo spesso incapace di utilizzare i fondi europei e nazionali. Ma in questo caso è in ballo una cifra davvero impressionante: si sfiorano 1 miliardo e 100 milioni di euro». Immediato il riferimento alle presunte (e per ora ignote) responsabilità, ma Occhiuto ci va cauto con l’attuale apparato burocratico.

6) Il crack finanziario per la Provincia di Catanzaro è ormai dietro l’angolo. Il presidente, Sergio Abramo, non si sta però risparmiando per evitare il dissesto dell’ente intermedio che vanta un disavanzo di 260 milioni di euro, di cui 210 solo ascrivibili a mutui contratti nel corso degli anni e l’acquisto di 50 milioni di derivati bancari sottoscritto con un raggruppamento di banche e che da soli generano 24 milioni di interessi. Inoltre, nel gennaio scorso, aveva deciso di annullare in autotutela una determinazione del maggio 2007 che aveva dato vita ad una complessa operazione di Swap da oltre 216 milioni di euro ripartita in quattro quote con alcune banche internazionali.

Basta così, il quadro è chiaro, non si salva nessuno, dalla Regione a scendere per li rami, sino alle Province (risuscitate dopo che Guerini tentò di annullarle) e alle Asp. Il problema, come si vede, e come affermo da decenni, è prima amministrativo, poi politico. La burocrazia non è in grado neppure di tenere uno straccio di contabilità, anzi per la verità in Calabria la contabilità a partire dai bilanci si distrugge rendendola inutilizzabile.

La Calabria ha un debito sanitario pari a 562 euro pro capite. E spende ogni anno circa 320 milioni di euro per rimborsare i costi del turismo sanitario dei calabresi che, non trovando risposta di servizio sul loro territorio, si recano in altre regioni. I Comuni calabresi che sono attualmente in dissesto o riequilibrio sono quasi 7 su 10 (279 su un totale di 411). In pre-dissesto sono 86.  Il passivo totale della Sanità si presume ammonti a 2 miliardi e 600 milioni.  Dal 2009 i calabresi subiscono le aliquote regionali più alte d’Italia per coprire quel che si può di questa voragine senza ottenere un’assistenza sanitaria decente.

Il totale dei passivi delle società partecipate ammonta a un miliardo circa. Tuttora, la Regione è presente in sei società: Ferrovie della Calabria, Fincalabra e Terme Sibaritide (delle quali è socio unico), Banca Popolare Etica, Sorical e Sacal.
Questo miliardo di passivi mette a rischio tutte le leve attraverso le quali la Regione influisce nelle attività degli enti locali e, quindi, pesa in maniera diretta sulla vita dei cittadini.
Circa il deficit della Sanità nel giudizio di parificazione del 2019 la Corte dei Conti ha bloccato il 79% del bilancio regionale. Ma tutto il resto (trasporti, gestione idrica e rifiuti) rischia di finire gambe all’aria o, alla meno peggio, di zoppicare parecchio.

Una Regione che, al massimo, è in grado di riscuotere poco più del 60% delle tasse che impone. La catena perversa è facile da ricostruire: i cittadini pagano poco e in pochi ai Comuni, i quali pagano quel che possono o non pagano affatto (nel caso della Sorical, c’è chi spera, come Cosenza e Vibo, che nasca la società unica di gestione delle acque, che esoneri i Comuni anche dalla gestione diretta delle reti idriche).
Risultato: la Regione deve intervenire a ripianare i passivi delle partecipate che non riescono a recuperare i crediti. Ciò vale anche per Sacal, piegata dal Covid, che ha messo in ginocchio le compagnie aeree che fanno scalo soprattutto a Lamezia, e per Ferrovie della Calabria, letteralmente ostaggio del trasporto su gomma e oberata da clientele.

Ora, a fronte di tutto questo, non se ne esce se (lo ripeto per l’ennesima volta) non si affida ad un managment di impresa il compito di (lo scrivo in neretto) ripristinare la contabilità ordinaria in Regione, nelle partecipate, nelle Asp, nelle provincie. Quello che fece Enrico Bondi dopo il crack Parmalat.