IL PROF SPERANZA E LA SCUOLA CHE INSEGNA

Il liceo classico “Fiorentino” di Lamezia, ricevendo una donazione di 150 libri della biblioteca del compianto prof. Leonzio Speranza, per 30 anni prestigioso docente di storia e filosofia della scuola, ha ospitato tre professionisti lametini che hanno ricordato il loro vecchio docente. Sono stati i medici Tommaso Sonni ed Elisabetta Mercuri ed il preside Albino Cuda ad esprimere con accenti commoventi la gratitudine per le lezioni ricevute. Quello che hanno detto i miei tre amici mi ha fatto riflettere su come all’interno del sistema sociale la scuola italiana abbia cambiato ruolo e funzioni. Da meccanismo di riproduzione sociale (la scuola d’elite) è diventata un meccanismo di promozione sociale (la prima scuola di massa) per diventare oggi quel meccanismo di compensazione e manutenzione sociale che ben conosciamo. Negli anni sessanta, settanta dello scorso secolo la spendibilità garantita del titolo di studio teneva buone le componenti sociali: la scuola serviva così, pertanto le metodologie d’insegnamento non interessavano ai genitori. Oggi invece, saltata quella spendibilità (diploma/laurea= lavoro), la società è attenta a quello che succede dentro la scuola, dunque la scuola deve servire in modo diverso dal passato. Oggi infatti dall’esterno provengono alla scuola una serie di richieste (alimentazione, salute, droga, teatro, benessere, educazioni) alle quali gli insegnanti rispondono sempre in modo accondiscendente, senza riuscire più a difendere la propria specificità. Mentre queste istanze sociali sembrano indicare che essi devono saper fare tutto (innanzitutto gli psicologi), i docenti non sanno più che cosa devono saper fare. La categoria evita però, questo è il punto, di definire in maniera collettiva il proprio ruolo professionale e lascia che ogni singolo docente faccia come vuole. Invece di capire che agli interlocutori sociali vanno offerte prestazioni con contenuti e modalità condivise, rafforzando così la dimensione istituzionale della scuola, i proff. si difendono attraverso l’individualismo. Ognuno di voi, dicevo io ai miei docenti, tenta di firmare la sua “pace separata” con i propri studenti e genitori. Invece di diventare come categoria più rendicontabili, affidabili, trasparenti, insomma meno autoreferenziali, hanno preferito essere liberi, ma disarmati, cioè con un’immagine istituzionale e professionale poco definita. Socialmente sono sempre meno apprezzati, così, lo ha spiegato bene Piero Romei, ad una quasi-professione corrisponde un quasi-stipendio. Il malessere personale è il prezzo che pagano per questa mancata istituzionalizzazione: non sanno più se quello che fanno è corretto sul piano etico e tecnico-professionale. Si sono presi una libertà individuale sostanziale senza regole, ammantata da quella obbedienza formale che provoca la seccatura di adempimenti burocratici e percepiti come privi di senso.
Per giustificare tale libertà illimitata considerano l’insegnamento un’arte, ricompensa di se stessa. Ma il prof non è un artista, piuttosto un artigiano. Prendiamo le finalità che scrivono ogni anno nei piani di lavoro: acquisizione di uno spirito critico; apprendimento di un metodo di studio; sviluppo di capacità comunicative o decisionali; lo star bene. In realtà sono progetti per i quali non basta una vita. Sono progetti personali dei singoli studenti, impegnati a costruirli utilizzando le opportunità e gli strumenti che tante agenzie concorrono ad offrire loro. La scuola è solo una di queste agenzie: non si insegna a decidere, a comunicare, a star bene. Può offrire occasioni, strumenti perchè siano gli studenti ad imparare a decidere, comunicare, star bene “come potranno, come vorranno, come riuscirà loro” (Romei).

Come ha ricordato Albino Cuda, Speranza era un “insegnante“. La scuola infatti deve istruire, mentre tutte le istituzioni possono e devono concorrere a educare. Non è un ruolo piccolo o riduttivo per la scuola, è al contrario l’affermare il ruolo di una scuola seria, realistica, non presuntuosa e parolaia. La scuola deve fare poche cose che siano realmente verificabili, rendicontabili e delle quali possa assumersi davvero una responsabilità precisa. La competenza istituzionale specifica, la priorità naturale della scuola riguarda l’istruzione e l’apprendimento. Il bambino/studente è al centro dell’azione scolastica ma egli è una persona che agisce, reagisce, interagisce, non è materia da plasmare. E’ un soggetto vivo da ascoltare per raccoglierne i bisogni e i segnali, può diventare lui stesso educatore dell’adulto-insegnante, proponendogli sollecitazioni che mettono in discussione vecchi schemi, convinzioni, esperienze pregresse.