ROBERTO BORRELLO LA TV E LA BESTIA

Roberto Borrello (1959), figlio del grande preside Oreste, è prof. ordinario a Siena nel dipartimento di Scienze politiche. L’ultimo suo libro, scritto con Andrea Frosini è: La disciplina della trasmissioni radio-televisive di rilievo politico in Italia (Maggioli ed. -2019), nel quale si occupa del delicato tema della disciplina delle trasmissioni radiotelevisive di rilevanza politica in Italia (più comunemente conosciuta come normativa sulla Par condicio). “Il fenomeno della comunicazione politica, pur trovando, ormai, modo di manifestarsi, secondo modalità multiformi, attraverso la rete Internet (per le quali è già iniziato il dibattito sulla necessità della regolazione e di quale tipo di regolazione) mantiene ancora, ad avviso degli autori di questo volume, rilevanza nel settore radiotelevisivo. Tale tipo di mezzo di comunicazione rappresenta ancora lo strumento principale mediante il quale il cittadino acquisisce l’informazione, potendosi in tal modo, anzi, meglio orientarsi criticamente nell’oceano di voci che la nuova agorà telemaica fa giungere alla sua attenzione”. Il prof. Borrello è certamente uno dei più autorevoli esperti italiani e quindi quello che ora dirò non riguarda gli aspetti giuridici della questione che interessano soprattutto gli specialisti. I giuristi che si occupano di questo settore possono essere assimilati a pompieri il cui destino è quello di arrivare per spegnere l’incendio solo dopo che si è sviluppato e ha già fatto danni. Quando il mezzo di comunicazione politica più rilevante erano i giornali o la televisione, si trattava di regolamentare le posizioni dominanti per garantire il pluralismo. Per farmi capire da tutti, si trattò in Italia, per esempio, di limitare Berlusconi che era un politico il quale controllava diversi media. Il conflitto di interessi del Cavaliere ha impegnato giuristi e politici (come nel resto del mondo la posizione di Murdoch) e la montagna ha partorito il topolino della par condicio. Ma oggi la comunicazione politica avviene attraverso il T-R-T: una sigla che sta per televisione, Rete, territorio. Si tratta di un gioco di specchi per mettere continuamente in comunicazione i tre ambiti. La tv e i giornali sono ormai amplificatori acritici dei social dal momento che i tweet rimbalzano e se ne discute in tv e negli articoli. Poi ci sono i troll, cioè si creano identità fittizie in grandissima quantità e in modo automatizzato allo scopo di aumentare i messaggi di approvazione o contrasto. La diffusione di un messaggio (di Salvini o altri) è capillare grazie ai ripetitori digitali: almeno 800-1000 fedelissimi ricevono il link dei post su una chat su WhatsApp e immediatamente lo condividono sulla propria pagina Facebook e lo rilanciano in altre chat. Contemporaneamente i canali fiancheggiatori inseriscono lo stesso contenuto su più pagine pubbliche. Chi può controllare la Bestia di Morisi (spin doctor della macchina social di Salvini) o la piattaforma Rousseau (strumento di Casaleggio per guidare una sua creatura, un movimento politico)? Insomma, mentre le regole (e i giuristi che le elaborano) disciplinano giustamente spot televisivi e trasmissioni di informazioni durante le campagne elettorali, alla tv si è affiancata  la piazza social dove ognuno produce informazione e opinioni. Il fatto è questo: ogni nuovo medium non sostituisce l’altro ma si somma ai precedenti. Fino a ieri eravamo alle prese con questioni locali e imprenditori come il Cavaliere, oggi il web ha spalancato questioni internazionali, perchè tutti abbiamo la possibilità di esprimerci. Nell’era di big data puoi inviare messaggi personalizzati a ogni consumatore o elettore sulla base di un profilo individuale capace di scoprire, attraverso la psicografica, idee, gusti e anche vulnerabilità psicologiche: una rivoluzione che va ben oltre la pubblicità. È un mondo nuovo e non regolato (o con norme concepite per un’altra realtà) nel quale gli strumenti di analisi e comunicazione e l’uso del microtargeting — nel commercio come in politica — sono diventati talmente potenti e sofisticati da poter essere usati come armi che mettono in pericolo la democrazia.Ma, come scrive il president di Microsoft Brad Smith nel suo recente «Tools and Weapons», un saggio nel quale chiede ai governi di regolamentare tecnologie ormai troppo potenti, questi strumenti digitali stanno diventando un pericolo per la democrazia: sono usati da molti come armi anziché come attrezzi socialmente utili.

Ha scritto Aldo Grasso: ” Il mondo intero è ora iper-connesso e internet, nell’ambito della propaganda, è molto più efficace di altri media. La rete ha fatto saltare la tradizionale gerarchia delle notizie con il risultato che un’inchiesta durata mesi vale quanto un sentito dire su Facebook. In epoca di social, l’indistinta valanga dei social, il controllo delle notizie non pare più necessario: contano di più le visioni estreme e le notizie false”. I giuristi senza prima chiudere il rubinetto sempre aperto, continuano ad asciugare per terra.