Le due fazioni della sinistra. Terzisti o anti

Martedì 11 ottobre 1983, sulla neonata Italia Uno ando’ in onda la prima puntata di uno show chiamato Drive In. Lo show che ha cambiato l’Italia. Allora ogni rete aveva il direttore del palinsesto, ora, 41 anni dopo, ciascuno di noi si fa ogni giorno il suo personale palinsesto e non esiste piu’ nessuno che veda per intero una trasmissione come abbiamo fatto noi per tutte le puntate di Drive in. Quel programma fu una benedizione, segnò il prima e il dopo, il riflusso dopo l’impegno.  Per capire cosa sono stati gli Anni Ottanta, basti ricordare che di lì a poco sarebbe uscito un nuovo mensile, Max, che per la campagna di lancio scelse uno slogan efficace: «Io esiste». Toto Cutugno cantava L’Italiano, nelle sale usciva Il grande freddo e un giovane emiliano s’era fatto notare con un noir fatto musica: Vita spericolata. Furono anni chiamati del riflusso nel privato, dell’individualismo, che seguivano quelli dell’impegno, i passionali e politicizzati e tragici Anni Settanta. Cinque anni dopo Antonio Ricci concepi’ Striscia la notizia, che esiste ancora oggi e da cui ha avuto origine, per dirne una, il termine “velinismo” su cui si fonda una parte non trascurabile della storia dell’Italia contemporanea. Tutto questo per dire che dalle tv commerciali di Berlusconi e’ scaturito anche il nuovo che ha innervato la societa’ italiana e non tutto il male possibile di cui blatera ancora oggi una sinistra bacchettona e retrogada, che non voleva neppure la televisione a colori nelle case degli italiani e si era rintanata nel suo fortilizio di Rai3 della Rai “servizio pubblico” dei partiti.

Andrea Minuz, professore di cinema alla Sapienza, nel suo bellissimo libro “C’eravamo tanto odiati. Breve storia dell’antiberlusconismo” ora che Berlusconi è morto scrive un volume che diventa in qualche modo un libro di storia perche’ fa il punto su un fenomeno che ha caratterizzato il dibattito pubblico degli ultimi trent’anni. La sua tesi e’ che l’antiberlusconismo nasce prima della discesa in campo di Berlusconi in politica. La sinistra era uscita di fatto indenne dal terremoto di Mani Pulite nel 1994. E si preparava quindi a governare il Paese accomodandosi sul tappeto rosso (è il caso di dirlo). La scelta del Cavaliere sparigliò le carte. L’antiberlusconismo era nato prima. Berlusconi era già un imprenditore affermato: ma anche in questo senso non era apprezzato. Non aveva mai raccolto il favore degli intellettuali. Verso di lui ci fu un rifiuto prima di tutto di carattere morale ed estetico, prima ancora che politico. D’altra parte, rappresentò davvero una rottura col passato. Ora l’antiberlusconismo sopravvive al fondatore di Forza Italia in qualche modo: l’odio politico verso il Cavaliere si tradusse poi nell’odio politico verso Matteo Renzi. L’anti-renzismo. Ma terminata la parabola renziana, è rimasto comunque un sentimento di profonda avversione verso Berlusconi. Fu un personaggio politicamente divisivo e per certi versi un precursore del dibattito senza posizioni intermedie che si consuma amplificato sui social al giorno d’oggi. O amore o odio. Questa  tesi che in tutto il libro viene sviluppata e argomentata trascende B. perche’ assume un senso generale che e’ questo:

Essere di sinistra era complicato. Pieno di contraddizioni, nodi irrisolti, svilimenti. Proclamarsi antiberlusconiani garantiva invece un posizionamento limpido. Scuole, licei, universita’ si occupavano sempre contro B. anche se al governo c’era Prodi.

Un mio amico che scrive sul Fatto quotidiano una volta mi ha definito Minuz “terzista“. Mi ha fatto tornare in mente Scalfari che una volta defini’ gli editorialisti del Corriere Panebianco e Galli della Loggia “cerchiobottisti“. In realta’ se ci pensate tutti i moderati, i riformisti, i centristi, i terzisti (chiamateli come volete) vengono considerati dagli estremisti  “cerchiobottisti”. O di qua o di la’, ecco cosa vogliono gli estremisti, spaccare sempre la mela a meta’, scegliere tra bianco o nero come se non ci fossero i grigi. E’ il meccanismo infernale dei social, che sono nati per dicotomizzare. Tu scrivi su twitter una cosa innocua: oggi c’e’ il sole. Subito una massa indistinta si accanisce: cazzo dici? Ma dove vivi? Decerebrato, non vedi che ci sono le nuvole? La sinistra ha sempre avuto due vie: anticapitalisti, antimperialisti, antisionisti, No Tav, oppure socialdemocratici terzisti. Come cantava Gaber

Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre.
Qualcuno era comunista perché guardava sempre  Rai tre.
Qualcuno era comunista per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione.
Qualcuno era comunista perché voleva statalizzare tutto…

Storicamente, in Italia molti sono diventati comunisti perche’ volevano opporsi. Un ragazzo degli anni cinquanta se voleva opporsi al clientelismo della Dc abbracciava l’opposizione, ovvero il Pci. A sua volta il Pci era sempre in antitesi, mai per qualcosa. Sempre  contro i suoi nemici, nell’ordine prima Scelba, poi Tambroni, poi Fanfani, poi Segni, poi Andreotti, poi Craxi, poi Berlusconi, poi Renzi, poi Meloni.

Quella che Minuz spiega si sia avverata per Berlusconi, ovvero la narrazione apocalittica che si è costruita attorno a lui, annunciare continuamente la fine di tutto, ogni qualvolta il Cavaliere vinceva le elezioni, è stato uno sbaglio enorme. Le armi degli antiberlusconiani sono state sbagliate. Errori di valutazione, spesso da sinistra, hanno portato al più grande errore dell’opposizione a Silvio Berlusconi: la sottovalutazione del fenomeno.

La questione della natura della sinistra ovvero la dicotomia tra l’essere alla Umberto Eco “apocalittici o integrati”, un movimento anti oppure un movimento per, lo ha gia’ spiegata benissimo un film del 2012 No. I giorni dell’arcobaleno del regista cileno Pablo Larrain (1976). Racconta una storia vera, nel 1988 il dittatore cileno Augusto Pinochet, messo alle strette dalle pressioni internazionali chiese un referendum sulla sua presidenza. I leader dell’opposizione convinsero il giovane e sfrontato pubblicitario René Saavedra a condurre la loro campagna per il NO. Con poche risorse e costantemente sotto il controllo delle autorità, Saavedra e il suo team misero in atto un audace piano per vincere le elezioni e liberare il loro paese dall’oppressione. Pablo Larraín ricostruisce in modo esemplare i ventisette giorni di campagna referendaria che segnarono l’inizio della fine per la dittatura di Pinochet in Cile. (…) Il film crea il personaggio di un esperto di tecniche pubblicitarie (Gael García Bernal) che viene chiamato a concepire slogan, simboli, contenuti della campagna. E lo fa all’insegna di una convinzione: non richiamare i dolori e gli orrori passati, proporre ottimismo, allegria, fiducia nel futuro.” (Paolo D’Agostini, ‘La Repubblica’, 9 maggio 2013) “E’ possibile cambiare il corso della storia con l’allegria? Si può far trionfare la democrazia con le stesse tecniche con cui si decreta il successo di una bevanda? Per capire cosa è accaduto nel Cile del 1988. quando Pinochet, in seguito a un plebiscito, fu bocciato dai cileni, il film di Pablo Larraín racconta con passione e intelligenza come un giovane pubblicitario liberò il proprio paese da un’odiosa dittatura durata venticinque anni.” 

Nonostante ormai film e letteratura abbiano raccontato a tutti cosa deve essere la sinistra per vincere le elezioni e per conquistare il popolo, gli estremisti non vogliono o non riescono a capirlo. Piuttosto che formulare una proposta che parli di vita, di gioia, di speranza nel futuro e non di morte, si oppongono all’avversario di turno, descrivendolo come l’anticamera del fascismo, della perdita di liberta’, della repressione, dell’apocalisse. In questa continua successione ogni nemico e’ peggio del precedente, per cui, per capirci, ora Meloni e’ peggio di Berlusconi  e dunque la lotta della sinistra e’ una permanente discesa agli inferi, come nei film di Indiana Jones dove non esiste mai lo scampato pericolo perche’ l’insidia nuova prende il posto della precedente sino alla fine del film.

Tutti coloro che circoscrivono la sinistra ad un movimento continuo di NO non hanno compreso quanto sia sempre indispensabile, come nel Cile del 1988, impostare una campagna di comunicazione che sappia andare oltre la dimostrazione delle pur gravissime colpe dell’avversario (qualunque sia).  La proposta e il futuro debbono prendere il posto dell’anatema, dell’ostracismo fine a se stesso, del continuo ininterrotto senza fine “al lupo, al lupo”.  La sinistra vincera’ quando la smettera’ di andare alla continua ricerca di un nemico e si concentrera’ sulla gioia di prospettare soluzioni concrete ai problemi.