Guarascio e la cultura della gogna

Da alcuni giorni i media stanno fornendo notizie su una inchiesta che riguarda il presidente del Cosenza calcio Eugenio Guarascio, sua sorella Ortenzia e alcune società che dirigono. I titoli sono: Inquinamento ambientale. Rifiuti spacciati per fertilizzanti, tra gli 11 indagati anche il patron del Cosenza Guarascio e un manager della Regione – | Per l’imprenditore e sua sorella il gip ha disposto la misura cautelare dell’obbligo di dimora a Lamezia Terme. Plastica, vetro e metalli pesanti sarebbero finiti sui terreni agricoli delle province di Vibo, Catanzaro e Reggio. Nel mirino anche tre società che si occupano dello smaltimento. Per giorni e giorni i giornalisti, compulsando e riassumendo le considerazioni svolte dal gip, stanno producendo quello che si chiama l’effetto “sbatti il mostro in prima pagina“. Però lo chiamano diritto di cronaca.

Vale a dire si fa diventare l’accusa una sentenza, con un effetto anticipatorio che crea il danno reputazionale prima che un giudice terzo, instaurando il contraddittorio di due parti in parità tra loro, pm e avvocati difensori, decida se e come valutare la fondatezza delle accuse.

Quando sulla stampa e sul web si legge: Percolato nel fiume Mesima e tonnellate di rifiuti su un campo di grano nel Parco delle Serre, le accuse al gruppo Guarascio…il lettore è indotto senza volerlo a considerare “fatti” quelle che sono allo stato solo ipotesi. Insomma, per non dilungarci sul punto, si celebrano i processi anticipati sui media prima che essi comincino davvero nelle aule dei tribunali. Quando verranno celebrati saranno del tutto inutili in quanto gli effetti si saranno già prodotti, cioè il danno reputazionale e l’eventuale pena afflittiva delle libertà (divieto di dimora, carcere preventivo, obbligo di firma, ecc…).

Quando il 9 ottobre del 2019, scomparve per un cancro Filippo Penati, ex presidente della provincia di Milano e sindaco di Sesto San Giovanni. nessuno ricordava più il suo calvario giudiziario. Era stato capo della segreteria politica di Pierluigi Bersani (guarda che combinazione) quando quest’ultimo era segretario del Pd. Nel 2011 erano iniziati i suoi guai giudiziari, a partire da quelli per un presunto sistema di tangenti, il cosiddetto “sistema Sesto”, per cui poi è stato assolto e in parte prescritto.

Quando, pochi giorni fa, il padre di Renzi, Tiziano, l’ex ministro Luca Lotti e l’imprenditore Alfredo Romeo sono stati assolti con formula piena per la vicenda Consip iniziata ben sette anni fa, e al contrario sono stati condannati l’ex maggiore del Noe, Gian Paolo Scafarto a 1 anno e 6 mesi e a 3 mesi il colonello dei carabinieri Alessandro Sessa, nessuno ricorda più tutto lo spazio mediatico che ricevette questa vicenda esemplare del giustizialismo chiodato.

In questo blog c’è un articolo di Claudio Cerasa (Sinistra a tutta manetta, 17/12/22) che trattando dei “formidabili schiaffi rivolti dal ministro della Giustizia Carlo Nordio al partito unico del giustizialismo chiodato” mostrava con chiarezza due preoccupanti volti dell’illiberalismo italiano.

Si potrebbe ricordare, scrisse Cerasa, con un sorriso smarrito, che ad aver chiesto alla politica di aiutare la magistratura a “garantire l’equilibrio delle decisioni”, a “conoscere i limiti della propria funzione”, a non cedere “alla tentazione dell’autocelebrazione e della ricerca assoluta del consenso” nell’attività giudiziaria, a spingere i magistrati a recuperare “il principio di imparzialità” anche “attraverso il rifiuto del protagonismo e dell’individualismo giudiziario”, a coltivare maggiormente “la riservatezza nei riguardi dei processi o delle materie di cui ci si occupa” per non correre il rischio “di apparire di parte o pregiudizialmente orientati, forzando i dati della realtà” è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non Silvio Berlusconi o Licio Gelli. E si potrebbe ricordare che tutelare i princìpi sottolineati anche dal capo dello stato, e non solo da Nordio, significa non lavorare per difendere l’impunità ma difendere la nostra Costituzione. La quale prescrive all’articolo 27 che l’imputato non deve essere considerato colpevole sino alla condanna definitiva, la quale prevede all’articolo 111 che ogni processo si debba svolgere nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, di fronte a un giudice terzo e imparziale, all’interno di un percorso che garantisce alla persona accusata di un reato di essere informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico e di avere diritto a una durata ragionevole del processo. E la quale prevede all’articolo 112 che l’obbligatorietà dell’azione penale sia volta a garantire sia l’indipendenza del pubblico ministero, quale organo appartenente alla magistratura, sia l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e non il suo opposto.

Si potrebbe ricordare tutto questo, scrive Cerasa, ma si può negare che in Italia la presunzione di innocenza, principio difeso dalla Costituzione ma non difeso da coloro che dovendo scegliere se difendere la repubblica dei pm o la Carta costituzionale scelgono regolarmente di difendere la prima al posto della seconda, sia minacciata da un uso eccessivo e strumentale delle intercettazioni, dalla loro oculata selezione con la diffusione pilotata dei magistrati, da un’azione penale diventata arbitraria e quasi capricciosa, da un’adozione della custodia cautelare come strumento di pressione investigativa, da uno snaturamento dell’informazione di garanzia diventata condanna mediatica anticipata e persino strumento di estromissione degli avversari politici?

Più che discutere di come liberarsi dal neoliberismo, dal veltronismo e dal renzismo, il Pd, se davvero avesse intenzione di mantenere il suo profilo anti populista, dovrebbe discutere di come provare a liberarsi dal giustizialismo e dal cappio della repubblica fondata sui pm e dovrebbe chiedersi perché sarebbe una scelta di sinistra, oggi, una scelta a favore della libertà. C’è una verità difficile da digerire: per combattere i nemici del garantismo e gli amici della cultura dello gogna la destra e la sinistra più che trovare ragioni per dividersi dovrebbero trovare con urgenza ragioni per unirsi.