Senza il narrare abbiamo perso il futuro

Byung-Chul Han (Seoul, 1959) professore di Filosofia a Berlino (La crisi della narrazione, Einaudi, 2024) ha il merito di farci capire la differenza tra informazioni, notizie, racconti e storytelling.

Cominciamo con il definire le Storie condivise sulle piattaforme social: non sono altro che una pornografica esibizione o promozione di sè stessi. Postare, mettere like e condividere, proprio perchè sono pratiche consumistiche, non fanno altro che intensificare la crisi dell’esperienza narrativa. Come vedremo meglio, le piattaforme digitali, da Twitter a Facebook a Tik Tok, non sono medium narrativi ma medium informativi.

Per capirlo, la prima differenza essenziale da cogliere è quella tra informazione e notizia, due termini spesso usati come se coincidessero e che invece esprimono concetti diversi.

L’informazione non sopravvive oltre l’attimo stesso in cui viene annunciata. La notizia invece è portatrice di una storia. Al suo interno abita una vibrazione narrativa. L’informazione è il medium del reporter che gira per il mondo alla ricerca di novità, il narratore è il suo antagonista. Il narratore non informa nè fornisce spiegazioni.

Si pensi ad Erodoto, che è il maestro del racconto. Quando il re d’Egitto Psammetico è costretto dal re di Persia Cambise, che lo ha sconfitto, ad assistere alla processione trionfale dei persiani, egli resta muto ed immobile. Resta con gli occhi fissi a terra quando suo figlio viene condotto al patibolo, ma appena appare un suo vecchio e gracile servitore egli si percuote il capo con i pugni. Erodoto non spiega questa disperazione e proprio l’omissione di tale spiegazione è essenziale per il vero racconto. Anzi a distanza di migliaia di millenni questa storia dell’antico Egitto è ancora in grado di scatenare meraviglia e riflessioni.

Il narratore prende ciò che racconta dall’esperienza, dalla propria o da quella che le è stata riferita, e lo trasforma in esperienza di quelli che ascoltano la sua storia. Le informazioni producono solo effetti istantanei, non hanno nulla di misterioso. Una volta che si è preso atto di esse, sprofondano nell’insignificanza. Spiegare e narrare dunque si elidono a vicenda. Mentre la modernità è animata dalla fiducia nel progresso, dal voler ricominciare da capo, dallo spirito della rivoluzione (si veda il Manifesto del partito comunista, una grande narrazione del futuro che volta le spalle all’ordinamento del passato, ma anche ogni religione è narrazione che spazza via ogni contingenza e prefigura un nuovo inizio), l’epoca tardo moderna è senza futuro, è priva di qualsiasi nostalgia, visione, lontananza, coraggio narrativo, non ha più una narrazione capace di cambiare il mondo. Non esiste più un pathos rivoluzionario rivolto verso ciò che è nuovo o verso il ricominciare da capo.

Raccontare significa dare allo scorrere del tempo un senso, dargli un inizio e una fine. Nell’epoca premoderna la vita era ancorata ai racconti, finanche i giorni della settimana avevano un significato narrativo: martedì è il giorno di Marte, giovedì è il giorno di Giove…In un’epoca post-narrativa al contrario le feste diventano merci, si procede con rituali, eventi e spettacoli, tra il tempo del lavoro e tempo libero.

Oggi i giorni si accumulano ai giorni, senza capo nè coda, è un’addizione interminabile e monotona. Il vivere infatti non si presenta più come qualcosa che possa essere narrato se è solo l’addizione delle ore e dei giorni. E’ una nuda vita, è sopravvivenza, dal momento che solo l’esperienza, in quanto tramandabile, stabilizza la vita e la rende narrabile. Ma se l’esperienza (che veniva ri-narrata da una generazione all’altra) non ha più qualcosa di stabile, se la vita ora non è più qualcosa di narrabile, anche la saggezza (che è la verità narrata) deperisce e il suo posto è preso dal problem solving.

Senza narrazione la vita è meramente cumulativa. Le piattaforme digitali, da Twitter a Facebook a Tik Tok e Instagram non sono dunque medium narrativi ma medium informativi. Lavorano secondo la regola dell’addizione e non della narrazione. Tanto meno viene raccontato tanto più dati e informazioni vengono raccolti. La memoria umana è selettiva, pertanto è narrativa, è questo che la differenzia da una banca dati che accumula, aggiunge dati su dati.

Un termine oggi molto in voga è Storytelling. Significa commercio e consumo, vendere storie. Le narrazioni prodotte dallo storytelling condividono molte caratteristiche con le informazioni. Esse come queste sono effimere, arbitrarie, e oggetti di consumo. Lo storytelling si sta diffondendo negli ambiti più disparati, anche i politici si sono convinti che le storie vendono e rendono popolari. Però non porta con sè alcuna forza capace di trasformare il mondo. Ci abbandoniamo alla convenienza o al like, entrambe cose che non hanno bisogno di alcuna narrazione. Il tempo si contrae nello stretto binario dell’attualità, a cui mancano sia l’estensione che la profondità. Il passato non ha più efficacia nel presente e il futuro diventa un aggiornamento permanente di ciò che è attuale.

Insomma, secondo Byung-Chul Han bisogna ricondurre la crisi dell’esperienza narrativa che caratterizza la modernità al fatto che il mondo è sommerso di informazioni.

Noi dunque ormai esistiamo senza una storia, poichè il racconto è una storia. La nostra vita rallenta diventando sopravvivenza, solo la prassi narrativa dischiude il futuro nella misura in cui ci offre la possibilità di sperare.