Superbonus, sui conti pubblici un salasso da 135 miliardi: le previsioni completamente sbagliate (e quanto peserà ancora)

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Magari qualche effetto positivo la super agevolazione del 110% sui lavori edilizi l’ha anche avuta. Ha prodotto un buon risparmio energetico, ha fatto crescere il Pil, le tasse e l’occupazione, ma a conti fatti, e al di là delle enormi truffe che ci sono state (almeno 15 miliardi bloccati dall’Agenzia delle entrate), l’impatto dei maxi-incentivi sul bilancio pubblico è stato a dir poco disastroso.

Solo il Superbonus 110% e il Bonus facciate, con i lavori scontati al 90% senza tetto di spesa, secondo i dati ufficiali del governo a metà novembre scorso, sono costati 130 miliardi di euro in termini di deficit pubblico negli anni tra il 2020 e il 2023. Cifra che, considerato il mese di dicembre, è salita ad almeno 135 miliardi di euro.

Più o meno cinque manovre di bilancio (l’ultima, quella del 2024, ne vale 25). E non basta, perché da qui al 2026-2027, quando verrà a scadenza il grosso dei crediti fiscali che sono stati generati, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, cui solo la parola Superbonus fa venire il mal di pancia, dovrà mettere in conto almeno 22 miliardi l’anno di maggior debito pubblico. Sempreché Eurostat, l’autorità europea che detta le regole sulla contabilità pubblica, non decida di riclassificare nuovamente queste spese, rovesciando la decisione presa l’anno scorso, un’eventualità che avrebbe un impatto devastante sui conti.

Stime sballate
La spesa prevista per i due bonus al momento in cui sono stati varati era di 40 miliardi, come emerge dalle relazioni tecniche della Ragioneria dello Stato che hanno accompagnato i due provvedimenti.

La stima era stata poi rivista a metà dell’anno scorso, sempre dalla Ragioneria, a 85 miliardi di euro, 45 oltre quella iniziale. La spesa reale, però, alla fine è stata superiore di oltre 90 miliardi a quella stimata nel 2020.

A fine ‘23 eravamo a 112 miliardi di Superbonus (lavori ammessi per 102 miliardi, ma la detrazione riconosciuta dallo Stato è del 110%), contro i 35 previsti inizialmente, e a 26,5 miliardi di Bonus facciate (contro i 5,9 attesi). Il problema, forse, è che i tecnici del Mef per fare le stime hanno sempre usato lo stesso criterio dei vecchi bonus edilizi al 50% e al 65%: una spesa incrementale spinta dall’incentivo, senza considerare che il «gratis», ovvero il magico 110%, è cosa ben diversa dal dover sborsare il 35 o il 50% del costo degli interventi.

Rischio Eurostat
Fatto sta che la spesa è andata fuori controllo. Del «regalo» hanno approfittato in molti, ma non tantissimi (461 mila edifici, di cui 105 mila condomini, a fine dicembre) rispetto alla dimensione del patrimonio immobiliare nazionale. Nonostante lo stop allo sconto in fattura, alla cessione dei crediti e al taglio della detrazione al 70%, a gennaio, dice l’Enea, sono partiti i lavori in altri 10 mila edifici, e gli investimenti ammessi a detrazione sono saliti a 107 miliardi (102 a dicembre).
Il peso dei crediti 2024 sul bilancio, però, è ben differente dal passato. Senza sconto e cessione del credito, vengono considerati da Eurostat come una minore entrata che si spalma per tutta la durata della detrazione. Quelli del 2023 e degli anni scorsi, proprio perché con quei meccanismi erano monetizzabili, sono stati considerati spesa pubblica, da scontare tutta nell’anno in cui è maturata la detrazione. Non è detto che la storia sia chiusa, perché Eurostat a marzo riconsidererà il problema, per valutare quanti di quei crediti siano stati effettivamente monetizzati. Se una parte “non trascurabile” fosse andata perduta, perché non utilizzata, la Ue potrebbe tornare al vecchio criterio contabile, facendo lievitare la spesa pubblica, dei prossimi anni.

Crediti incagliati
Il problema c’è, anche se i dati disponibili non aiutano a capire quanto sia grande. Tutti i bonus edilizi hanno generato circa 165 miliardi di crediti di imposta (135 il 110% e il Bonus facciate, 30 gli altri), ma quelli finora compensati, cioè portati all’incasso, sono poco più di 25. In giro, dunque, restano ancora 140 miliardi di crediti di imposta da compensare negli anni. Difficile che tutti trovino capienza nei debiti fiscali di chi li possiede. E venderli, dopo lo stop delle banche, è anche più difficile.