Il governo ha messo solo una toppa nel problema cronico dei supplenti precari

La buona notizia è che tra il 18 e il 19 gennaio i circa duecento supplenti della Scuola pubblica in servizio senza stipendio dallo scorso ottobre, sono stati finalmente pagati. La spesa del ministero? Trecento milioni di euro, rubricati sotto la voce di: «Emissione Speciale». Peccato però che molti insegnanti abbiano ricevuto solo una parte di quanto dovuto, sufficiente a coprire poco meno di due mesi di lavoro su cinque. E che, proprio per il carattere speciale dell’emissione, nessuno sa quando riceveranno tutto il dovuto né se, d’ora in poi, saranno pagati regolarmente. Colpa di un sistema antiquato e farraginoso: per capire come funziona occorre addentrarsi nell’intricato sottobosco delle supplenze brevi, un sistema sottomesso a complicate norme burocratiche che, oltre a rallentare i tempi delle retribuzioni, pesa come un macigno sulle segreterie didattiche che, ogni settimana, accumulano sulle scrivanie pratiche e contratti in attesa di registrarli e di autorizzarne i pagamenti. Mai nei tempi giusti però.

Problema ricorrente
Le storie raccolte nelle ultime settimane dai sindacati della scuola sono tante e difficili: dall’insegnante che, pagato l’affitto, non ha più i soldi per fare la spesa a quello che, a quarantacinque anni, è costretto a chiedere una mano ai genitori.

«Il primo problema è che gli stipendi delle supplenze brevi e saltuarie siano rubricati alla voce “Spese Accessorie”: vuol dire che il ministero paga quando può. E, non avendo previsto un capitolo di spesa dedicato, a fine anno non ha mai le risorse sufficienti» spiega Anna Maria Santoro, responsabile delle Politiche dell’istruzione della Segreteria generale Cgil.

Peccato che i supplenti non siano per niente figure accessorie: per non interrompere le lezioni e non lasciare senza sostegno gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento, ogni anno i dirigenti scolastici ne chiamano da duecentomila a trecentocinquantamila. Il sessanta per cento per periodi brevi, entro i dieci giorni, gli altri invece anche tutto l’anno, da ottobre fino a giugno. «Per sanare la situazione occorre agire subito sulla ripartizione dei costi: il ministero deve cominciare a considerare gli stipendi dei supplenti una “Partita di spesa fissa e ricorrente». Ma non basta: bisogna anche semplificare l’iter di registrazione dei contratti, altrimenti avremo sempre dei ritardi: il ministro Giuseppe Valditara aveva inserito la questione nel Piano di semplificazione, promettendo che il processo sarebbe avvenuto entro dicembre, ma così non è successo. Per questo, al di là di questa prima emissione, è probabile che il problema si ripresenti a breve».

Le intenzioni del ministero
«È dal 2013 che ogni anno vengono pagati in forte ritardo, fra gennaio e marzo, gli stipendi dei docenti precari titolari di supplenze brevi. I ritardi si accumulano per il periodo lavorativo settembre-dicembre a causa di problemi burocratici che coinvolgono più ministeri e diverse istituzioni» ha dichiarato in un comunicato ufficiale Jacopo Greco, Capo Dipartimento per le Risorse umane, finanziare e strumentali del ministero dell’Istruzione e del Merito. «Nonostante ciò, a dicembre 2023 sono stati pagati circa cinquantacinquemila precari e abbiamo concordato con il Mef l’assegnazione straordinaria di gennaio per effettuare i quindicimila pagamenti rimanenti oltre alle mensilità di dicembre ancora non retribuite. Su forte impulso del ministro dell’Istruzione e del Merito, il ministero sta lavorando per risolvere definitivamente i problemi connessi al sistema di pagamento». Sì, ma entro quando?

Il ruolo delle segreterie
In attesa della soluzione strutturale nelle segreterie didattiche si continua alla vecchia maniera. «È qui che i contratti dei supplenti vengono scritti e inviati al ministero ma poi, per far partire i pagamenti, occorre anche che la scuola invii una sorta di “prestato servizio”, cioè certifichi che il contratto sia stato onorato. E se, sfortunatamente, il supplente fa un’assenza per malattia di un giorno, la pratica si interrompe e viene rimandata al mese successivo» spiega Fernando Tribi, direttore dei Servizi amministrativi dell’Istituto Mattei di Firenzuola d’Arda (Piacenza). «Non basta: quando pure la scuola ha dato l’autorizzazione al pagamento, sempre che il sistema funzioni bene (e questo non sempre succede), il ministero deve inviare i soldi alla scuola, passaggio che, naturalmente, si prende dell’altro tempo: solo a quel punto, può viene fatto il bonifico. Le “interruzioni di contratto” poi, valgono nei due sensi: se il docente che è a casa, poniamo in congedo di maternità, manda un certificato di malattia, ecco che si interrompe la supplenza per congedo e la segreteria deve inserire un nuovo contratto per un altro “codice di assenza”».

Un meccanismo, complicato, opaco e lentissimo che, oltre a generare un sovraccarico di lavoro (e di competenze) a segreterie didattiche già in deficit di personale, avvilisce l’intera categoria dei docenti. Sarà davvero l’anno buono per cambiare le cose?