Lamezia, la maledizione del consigliere regionale

(29/8/21)

Fatti
Oltre al “titolo” di terza città della Calabria, perso con la fusione di Corigliano Rossano, c’è una mancanza che pesa ancora di più a Lamezia Terme: la rappresentanza. Con un Comune da anni in predissesto finanziario e di nuovo commissariato – stavolta non per mafia ma per irregolarità in 4 sezioni (su 78) dove si rivoterà ad ottobre per far tornare sindaco Paolo Mascaro – è evidente che la caccia grossa è quella che punta alla Regione. Ma c’è un dato storico che fa pensare quasi a un sortilegio: in consiglio regionale da quasi un decennio i lametini non riescono a mettere piede.

La maledizione di Palazzo Campanella
L’unico – e ultimo – è stato Franco Talarico, che lo ha fatto da assessore al Bilancio prima di finire impigliato nell’inchiesta “Basso profilo”. Nessun consigliere regionale nelle ultime due legislature. Alle elezioni di gennaio 2020 si è schierata una truppa di una decina di candidati ma nessuno ha staccato il biglietto per Reggio. In Consiglio è entrato solo Pietro Raso, che è di Gizzeria e ci riproverà anche stavolta con il sostegno pesante del deputato leghista Domenico Furgiuele.

Andando a ritroso, nell’era Oliverio (2014) non è stato eletto nessuno. In quella Scopelliti (2010), invece, sono entrati lo stesso Talarico, poi “salito” alla Presidenza del Consiglio regionale, e Mario Magno, poi subentrato solo per qualche mese del 2017 a Nazzareno Salerno. È stato eletto e rieletto Tonino Scalzo, che è di Conflenti, mentre nel 2014 non ce la fece Gianni Speranza.

Profilo ingombrante
Oltre a Furgiuele, leghista della prima ora che porta l’orgoglio sambiasino (Sambiase è uno dei tre ex Comuni, con Nicastro e Sant’Eufemia, accorpati nel 1968) in Parlamento, meritano certamente menzione altri “registi” che da dietro le quinte provano a dirigere aspiranti attori e inconsapevoli comparse nella tragicommedia delle Regionali.

Uno, il più ingombrante, è senza dubbio lo stesso Talarico, già leader dell’Udc calabrese finito prima ai domiciliari e poi tornato in Giunta ma con l’obbligo di dimora. Agli atti di “Basso profilo” figurano diverse intercettazioni captate tra dicembre 2020 e gennaio 2021, quando le elezioni regionali erano state fissate per il 14 febbraio. Talarico era alle prese con le strategie per la composizione delle liste del suo partito e ne parlava spesso con un ex assessore comunale lametino non indagato ma considerato «vicino al clan Iannazzo».

Nella fase monitorata l’interlocutore di Talarico si rivelava «determinante per la scelta dei candidati dell’Udc», dimostrando inoltre di essere «in stretta sintonia» con il leader nazionale dell’Udc Lorenzo Cesa «al quale non solo manda i saluti ma anche rassicurazioni sull’attività di ricerca e coordinamento in Calabria».

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Il ruolo di regista spetta anche a un altro big più volte nel mirino degli inquirenti ma uscito pulito da tutto: Pino Galati. Deputato per cinque legislature, sottosegretario in due governi Berlusconi, coinvolto in “Poseidone” (finita per lui con l’archiviazione), “WhyNot” (assolto), “Alchemia” (archiviato), “Quinta bolgia” (arresto e poi archiviazione), restano in piedi le accuse ipotizzate nell’inchiesta sulla Fondazione Calabresi nel mondo di cui è stato presidente.

Ida d’Ippolito con l’ex ministro Claudio Scajola e Pino Galati
Ha iniziato con la Dc, poi Ccd/Udc, quindi Forza Italia e Pdl, “Ala” di Denis Verdini e a marzo 2018 elezione mancata con “Noi con l’Italia”. Nella convention con cui a giugno è partita la campagna elettorale del centrodestra era presente e ha anche salutato Matteo Salvini. Nelle intercettazioni di “Basso profilo” spunta più volte il suo nome: «Lui (Galati, ndr) sta cercando candidati a Lamezia – dice Talarico – però ancora non ha detto con chi». L’ex assessore «vicino al clan Iannazzo» risponde ridendo: «Lo ha detto anche a me… dice che va cercando un cavalluccio».

Peppino e Pasqualino
Una delle candidature che Talarico voleva chiudere per l’Udc è quella di Peppino Zaffina. Ex esponente del Pd, già assessore nella giunta Speranza, successivamente è diventato uomo forte della coalizione di centrodestra guidata da Mascaro. In una conversazione Talarico racconta al suo interlocutore di aver sentito Zaffina: «Mi ha detto “Frà io sono orientato naturalmente a quello che decidiamo insieme a Tonino Scalzo…stiamo ragionando… volevo capire tu a chi candidavi”… gli ho detto – prosegue Talarico – Pino se ci sei tu puntiamo… tutti no».

Zaffina ha infatti uno storico legame con Scalzo ma il suo percorso politico è lungo. Era già assessore comunale alla fine degli anni ’80 e oggi pare sia uno degli uomini su cui il centrodestra di Roberto Occhiuto vorrebbe puntare per il Lametino. Ma non è l’unico. È infatti tornato in ballo un altro volto noto: Pasqualino Scaramuzzino.

La veste social della videorubrica quotidiana di Pasqualino Scaramuzzino
Giovane sindaco di Lamezia nei primi anni 2000, all’epoca del secondo scioglimento per mafia, ai tempi della giunta Scopelliti-Stasi è stato messo a capo della Fondazione Terina. Avvocato, si dedica ogni mattina a una sorta di videorubrica sul suo profilo Facebook (“Secondo me, naturalmente”). Talarico lo menziona probabilmente per ingolosire Zaffina, a cui dice che ci sarebbe anche «l’alternativa di Pasqualino» ma lui (Zaffina) avrebbe «più consenso». Anche perché, ammette l’assessore regionale, «a me serve un candidato di Lamezia forte oh… per dire… i voti ce li abbiamo».

Centrosinistra diviso tra lobby e parenti
Il Pd lametino ha una storia tutta a sé. Dagli anni in cui teneva costantemente sulla graticola “Giannetto” Speranza, che è riuscito a portare a casa due sindacature senza mai avere una maggioranza numerica in consiglio comunale, alle tribolazioni degli ultimi mesi, i tormenti dei dem locali sono stati sempre legati alle elezioni regionali.

Il caso più recente riguarda le dimissioni prima annunciate e poi ritirate dal segretario provinciale Gianluca Cuda. Anche lui ha le radici nell’hinterland lametino (Pianopoli) e anche lui ha provato invano ad agguantare un seggio in consiglio regionale un anno e mezzo fa. Non è chiaro se sia in procinto di ritentarci – gli spazi sono stretti – ma di certo ha il suo peso nelle dinamiche interne al Pd di Lamezia in cui nei mesi scorsi si è consumata una nuova rottura. L’ex segretario cittadino Antonio Sirianni si è, infatti, dimesso parlando di «gruppi di pressione interni» e dicendodi non avere interesse a «costruire una carriera» tramite la politica, men che meno ad «appartenere a delle lobby».

Aquila Villella (dietro di lei Antonio Viscomi ed Enzo Bruno) ai tempi delle Politiche del 2018
Poco prima di lui si era dimessa con motivazioni più stringate – «la mia permanenza nell’organismo cittadino non si concilia più con altri impegni di partito» – Annita Vitale, che milita nel Pd ormai da anni e la cui madre (Ida d’Ippolito, nel 1997 perse al ballottaggio contro Doris Lo Moro e nel 2010 contro Speranza) è stata in Parlamento per cinque legislature con il centrodestra. Vitale, componente della segreteria Cuda, per un certo momento è stata data tra le papabili per un posto “rosa” nella prossima lista Pd, magari in “accoppiata” con lo stesso segretario provinciale.

L’ipotesi di una sua candidatura è poi sfumata a vantaggio di quella di un’altra pasionaria del Pd lametino: Aquila Villella. In consiglio comunale siede tra i banchi dell’opposizione, ma si era già candidata al Senato nel 2018 e, ora, potrebbe provare con il consiglio regionale. Di certo non le difettano il curriculum (è docente universitaria) e la verve. Ma i maligni fanno notare che la sua candidatura potrebbe trarre vantaggio anche dal fatto che Villella è la cognata di Amalia Bruni.

L’eterno delfino
Villella condivide il ruolo di opposizione allo strapotere di Mascaro con un altro (stavolta sicuro) candidato al consiglio regionale: Rosario Piccioni, da anni frontman del movimento “Lamezia Bene Comune” nato sulla scia dell’esperienza amministrativa di Speranza, di cui è l’eterno delfino. Avvocato, classe 1974, dal 2007 al 2011 è stato segretario cittadino di Sinistra Ecologia e Libertà.

Rosario Piccioni con Pippo Callipo: correrà nelle file di Luigi De Magistris
Poi, per cinque anni, assessore proprio nella seconda amministrazione guidata da “Giannetto”. Quindi ha cercato la via della successione alla poltrona di primo cittadino: prima, nel 2015, ha avanzato la sua candidatura ma l’ha poi ritirata per appoggiare l’allora vincitore delle primarie, Tommaso Sonni, sconfitto alle elezioni “vere” da Mascaro, la cui prima amministrazione è stata sciolta per mafia nel 2017.

Le oltre 500 preferenze dell’epoca lo hanno portato a riprovarci nel 2019, sempre contro Mascaro: Piccioni è arrivato quarto (su sei candidati), davanti a lui l’allora aspirante sindaco sostenuto dal Pd Eugenio Guarascio. Un anno e mezzo fa ha mostrato pubblico apprezzamento per Pippo Callipo ma non si è candidato in prima persona. Stavolta, dopo qualche tentennamento dovuto alla discesa in campo della concittadina Amalia Bruni, ha deciso di esserci: sarà nella lista “De Magistris presidente”.