Ultima gnocca/Ideali, carni sode e la cosa più bella vista in tv

(…) Da sempre – cioè: da quando esistono i mezzi di comunicazione di massa – i giovani sono un feticcio degli adulti che quei mezzi li governano. C’entra il fatto che gli psicologi dicono che da adulto smetti d’essere influenzabile dalla pubblicità, e quindi gli inserzionisti vogliono il pubblico magari più squattrinato ma più influenzabile.

Ma soprattutto c’entra il terrore di sentirsi dei matusa riluttanti al presente. (Il modo in cui dimostro la mia riluttanza al presente è dire «matusa» e non «boomer»). Ho letto cronache veneziane in cui Barbera risultava spacciare per giovane persino Garrone, che oltre a essere persino più vecchio di me è a tutti gli effetti un venerato maestro.

Non so se c’entrasse il tentativo di Barbera di far parere il suo un festival rivolto a Telecalifornia, per noi giovani (cit. d’un altro venerato maestro), o la consapevolezza dell’articolista che se parli d’una cosa polverosa come un festival di cinema devi farla apparire attraente dicendo che ci vanno i giovani (e in effetti ci vanno, quei quattro gatti di ventenni fissati col cinema; ci andavo anch’io, alla loro età, l’unica età in cui si possano reggere sei film al giorno, e garantisco che i ventenni che vanno a Venezia sono rappresentativi a stento di sé stessi).

«Sogno la distruzione del sistema. Ma al contempo abbraccio alberi». La frase con cui Beatrice Pepe si presenta al pubblico di Instagram affianca una foto della sua (almeno: credo sia sua) schiena nuda. «Non mi chieda informazioni su di me, la mia persona, le singole identità non contano» è il primo virgolettato a lei attribuito che trovo in un giornale.

Beatrice Pepe ha trent’anni – se è vero l’articolo che l’anno scorso gliene attribuiva ventinove – ed è molto bella. Vive, se su Instagram non mente, a Bologna: una città che una volta produceva Romano Prodi e Lucio Dalla, poi qualcosa dev’essere andato storto e adesso produce questi qua; e appartiene a Ultima generazione, il gruppo di giovani esibizionisti che si sdraiano per strada impedendo alla gente normale di andare a lavorare, o lanciano vernici sui monumenti. (Il ceto medio pavloviano in questi casi specifica «vernici lavabili», e ogni volta tocca chiedersi se davvero non sappiano cosa significa «lavabile» come aggettivo di «vernice», se siano ignoranti o solo disperatamente alla ricerca di una scusa per i puccettoni loro).

Lunedì sera era da Nicola Porro, su Rete 4, non so bene se a distruggere il sistema, ad abbracciare alberi, o a maramaldeggiare col suo essere così gnocca da poter andare in tv con le Birkenstock senza che neanche un maschio medio di quelli che si piccano di pretendere i tacchi riuscisse a negare che il palinsesto non offriva carni femminili più attraenti.

Beatrice Pepe a questo punto direbbe che la sto oggettificando, visto che, quando ha iniziato a parlare di cose che non sapeva e Chicco Testa gliel’ha fatto notare (sacrificando il proprio impulso d’invitarla invece a cena), ella ha risposto: «Lei sta cercando di invisibilizzarmi, sta cercando di sminuirmi». Sono sempre ipnotizzata da questa generazione (non l’ultima, temo) che parla per slogan doppiaggesi senza che le venga mai da ridere. Chissà se facevamo lo stesso effetto quando bevevamo la vodka alla pesca.

«Se noi non facevamo i blocchi stradali, ci invitava?» chiede Beatrice a Nicola quando lui la prega di smetterla di rompere i coglioni alla gente per strada, salvo poi aggiungere che lei non ha bisogno d’essere invitata da lui (Beatrice di Rete 4 ha le idee persino meno chiare di Beatrice di Dante).

Ieri, mentre mezza Italia rideva della parte di filmato in cui Beatrice cianciava di investimenti governativi nei combustibili fossili e Chicco sembrava Arnold che in quel vecchio telefilm diceva «Che cavolo stai dicendo, Willis», Beatrice postava sul proprio Instagram quello stesso minuto di tv, con davanti sé stessa che si guardava gongolante.

Giusta scelta. Poiché non esiste l’oggettività ma solo le curve di stadio, ci sarà un’altra mezza Italia che pensa che Beatrice dica cose puntuali e ficcanti, e Chicco faccia una figuraccia. Ci saranno quelli che le mandano messaggi dicendo «gliele hai cantate», come accade per ambo le parti davanti a ogni contrapposizione che avvenga in pubblico. Se nel 1965 ci fossero stati i social, non sarebbero mancati quelli che, di fronte alla foto di Mohammed Alì che incombeva su di lui steso a terra, scrivevano a Sonny Liston: bravo, gliele hai suonate.

Porta a porta iniziò un paio di mesi prima del primo governo Prodi, ed è almeno da allora che esiste il format «decorativo pezzo di carne femminile viene inserito in un contesto nel quale tutti s’impegnano a fingere abbia competenze in tema di conversazione». Da quando ha smesso di esistere la televisione e sono iniziati i talk-show (che invidia per chi è così ingenuo da credere che il problema siano i reality: quando leggo che è ricominciato il Grande Fratello mi sembra di leggere le cronache d’un canale vintage che trasmette le repliche di Bim Bum Bam).

Le donne sono piacenti sempre più a lungo, ormai non possiamo sfasciarci mai, Jane Fonda a ottantacinque anni compete con una trentenne. Tuttavia per la quota «decorativo pezzo di carne femminile» la tv predilige la tonicità, e quindi quella quota lì diventa anche la quota-Telecalifornia.

«Io voglio sempre ricordare a tutti che stiamo parlando con dei giovani, che anche con qualche sbavatura hanno almeno un ideale», interviene caritatevolmente a un certo punto un ospite adulto, interrompendo il cafonissimo Chicco che pretende da Beatrice un esempio di sussidio ambientalmente dannoso. Salvandoci da Beatrice che stava rispondendo «Io non devo venire qui imparandomi gli studi a memoria». Ideali, carni sode, e predisposizione a comprare i prodotti della réclame: possiamo davvero pretendere di più, dall’umanità del futuro?