Non si può più convincere nessuno, solo persuadere e manipolare

Dal vocabolario c’è un verbo che possiamo nel 2023 tranquillamente cancellare. Questo verbo è: convincere (rendere qualcuno sicuro, certo di qualcosa, spec. con l’evidenza delle prove o la validità degli argomenti addotti).  Nel convincere si utilizzano prove oggettive (o presunte tali) a favore della propria tesi.

Restano nel nostro linguaggio invece altri due verbi che sono persuadere e manipolare. Pertanto nessuno convince più nessuno, mentre è possibile persuadere e/o manipolare.

Il termine persuadere infatti deriva dal latino “persuadere”, composto da “per” e dal verbo “suadere”, connesso con “suavis” ovvero attraente, dolce, piacevole. Ciò implica che l’atto di persuadere consista nel condurre soavemente a sé, contrariamente a quanto avviene  nel convincere. Persuadere si differenzia dall’atto di convincere in quanto non si impone con la forza delle prove, ma piega dolcemente l’animo con il ragionamento (Pianigiani e Pulle, 1988).

Non ci sono più prove, fatti oggettivi, attraverso i quali convincere gli altri o noi stessi.  La realtà può esser vista da due o più punti e cambia la prospettiva e dunque la conoscenza della stessa. E’ la parabola dei sei ciechi chiamati a toccare un elefante per cui ognuno toccava una parte e pensava a qualcosa, una lancia, una corda, un ventaglio, per un’ora continuarono a urlare l’uno contro l’altro e non riuscirono mai a scoprire come fosse fatto un elefante!

Nel binomio convincere e persuadere c’è la divisione fra forma e contenuto. Se consideriamo i due termini come contrapposti e antitetici siamo portati inevitabilmente a favorire il contenuto. Nessuno di noi di fronte a una scelta si baserebbe sulla forma se dovesse scegliere fra questa e la sostanza. Se al ristorante ci chiedessero di scegliere cosa mangiare basandoci o sulla descrizione del piatto o sul suo sapore, evidentemente opteremmo per la seconda opzione. Tuttavia, il cd impiattamento è un elemento distintivo dell’alta cucina, non solo per un mero effetto scenico, ma perché la cura della vista esalta anche il gusto, in un gioco di sinestesia (ovvero di percezioni date da più sensi) in cui l’uno amplifica l’altro.

Insomma,  è ormai esperienza comune constatare che le sensazioni influenzano il modo in cui percepiamo la realtà. Ma ciò nonostante, ormai respingiamo chi intende persuaderci. La nostra preoccupazione è quella di venire manipolati e ingannati, rendendoci sospettosi e rigidi verso qualsiasi forma di “convincimento”. Se ciò è comprensibile dobbiamo, tuttavia, evitare di fare come lo struzzo che cerca di salvarsi dal leone che lo vuole mangiare infilando la testa sotto la sabbia, ovvero cercando di non vedere una realtà lampante: ci influenziamo costantemente, e nessuno di noi può sfuggire a tale processo.

Se non è possibile non influenzare o essere influenzati, allora dobbiamo renderci responsabili di comprendere appieno tale meccanismo al fine di gestirlo e non subirlo, o addirittura evolverlo per fini più elevati.

Conoscere le armi della persuasione permette di proteggersi dal pericolo della manipolazione che, a differenza della persuasione, ha lo scopo di distorcere il contenuto e forzare la forma al fine di raggiungere il proprio scopo, solitamente a vantaggio di chi vuole manipolare e a discapito del manipolato. Se la persuasione può essere considerata un gioco a somma diversa da zero dove l’altro viene condotto a vedere e sentire in modo diverso, attraverso un processo dialogico basato sull’accordo e sulla scoperta congiunta, la manipolazione è un puro gioco a somma uguale a zero dove c’è chi vince e c’è chi perde.

Un esempio forse estremo di tecniche di manipolazione che, tuttavia, permette di tracciare la differenza sostanziale fra manipolare e persuadere sono i campi di prigionia cinesi e il loro programma di indottrinamento (Cialdini, 2010). Per ottenere la collaborazione dei prigionieri americani si chiedeva, per esempio, di fare delle piccolissime dichiarazioni antiamericane o filocomuniste, talmente irrilevanti da poter essere accettate. Ma il meccanismo che attivava questo primo insignificante accordo era tutto tranne che innocuo: questo infatti veniva utilizzato per convincere la persona ad accettare richieste ben più rilevanti. Se comportava poche difficoltà ammettere che gli Stati Uniti non fossero perfetti, proseguire elencando i difetti, e poi leggere questo elenco in pubblico, non era affatto irrilevante. La consapevolezza di aver fatto certe affermazioni senza trovarsi sotto minaccia od obbligati poteva produrre una modificazione nell’immagine di sé per renderla coerente con l’atto compiuto.

Bene, tale tecnica adoperata in prigionia viene adoperata sotto i nostri occhi da certi venditori. Per esempio i venditori ai semafori, o sulla spiaggia o coloro che fanno promozione all’interno dei supermercati, insistono così tanto affinché acconsentiamo a fare un acquisto, se pur minimo. Il senso risiede proprio nella regola della piccola concessione. Non appena si accetta di acquistare anche un piccolissimo prodotto si passa immediatamente dall’essere potenziali clienti a clienti effettivi, divenendo di fatto molto più propensi a fare acquisti successivi ben più consistenti.

Non sono certamente solo queste le armi della persuasione manipolatoria e la psicologia sociale ne ha, nel corso degli anni, studiate e documentate molte, come la pressione della maggioranza o dell’autorità alla base di certi comportamenti anche estremi altrimenti inspiegabili.  Durante la pandemia tutti abbiamo accettato i diktat degli esperti o di Conte. In Calabria siamo stati chiusi in casa senza che ci fosse il covid e invece quando è arrivato siamo stati più liberi.

Se per convincere, come abbiamo visto, ci basiamo sull’oggettività dei fatti attraverso i quali dovremmo essere in grado di far capire all’altro che la nostra tesi è migliore o più giusta della sua, all’interno di un processo dialettico, per persuadere ci muoviamo all’interno del perimetro della dialogica, dell’incontro fra due intelligenze in cui l’uso del linguaggio e della retorica conduce l’altro a considerare aspetti che non aveva, fino appunto a quel momento considerato fino ad arrivare a persuadersi (Nardone, 2015). Il manipolare, infine, fa ricorso a mezzi e strumenti suggestivi, coercitivi e di condizionamento che non lasciano libero l’altro né di opporre la propria tesi né di considerare altre prospettive.

Da ciò risulta evidente come sia fallace considerare ogni forma di persuasione una manipolazione e come sia anche pericoloso non prendere in considerazione come l’influenzamento reciproco avvenga in modo naturale e inevitabile. Non voler considerare la nostra influenzabilità ci rende ancor più vulnerabili ad essa, mentre contemplarla e conoscerla ci permette di guidarla o usarla per migliorare noi, gli altri e il mondo.

Come siamo pronti ad accettare il potere dei genitori sul bambino, riconoscendo come ruolo e dovere imprescindibile di ogni genitore orientare, influenzare e decidere, allo stesso modo dovremmo richiedere la medesima responsabilità in ogni contesto e relazione, anche in quella con noi stessi.

Come evidenziato nel testo La nobile arte della persuasione (Nardone, 2015) la persuasione si compone di alcuni elementi costitutivi che fanno riferimento ad aspetti verbali, di contenuto, non verbali (prossemica, mimica) e paraverbali (tono, melodia) del discorso.

Se volete persuadere e condurre soavemente la persona a prendere in considerazione punti di vista diversi, farle vedere ciò che fino a quel momento ignorava e condurla a percepire e agire in direzione di un cambiamento positivo o di un guadagno, occorre saper con sapienza e arte amalgamare come esperti alchimisti alcuni ingredienti.

Affinché la persona possa percepire, e non solo comprendere, quanto si intende farle vedere, è fondamentale saper utilizzare il registro analogico e non soltanto quello logico. Se ci volessimo basare solo sul contenuto delle nostre asserzioni che, per esempio, possono essere apparentemente in contrasto con quello che l’altra persona ritiene giusto, potremmo incappare in quello che in psicologia viene chiamato principio di coerenza.

Ovvero le persone tendono, per coerenza e per economia cognitiva, a trovare conferme a ciò che pensano, a ciò di cui sono già convinte. In altri termini potremmo dire che l’essere umano tende più a riconoscere (sulla base di quello che già crede esatto) piuttosto che a conoscere, nel senso di scoprire attraverso un processo di ricerca e messa in discussione delle proprie credenze.

Secondo il principio di coerenza una persona che sa che il fumo fa male dovrebbe smettere di fumare, ma per ridurre la dissonanza cognitiva prodotta dal proprio comportamento (continuare a fumare) può, per esempio, argomentare che molte persone che non hanno mai fumato sono morte di tumore ai polmoni o che aveva uno zio che ha fumato tutta la vita ed è morto ultranovantenne. Si attiva in questo caso un processo di attenzione selettiva in cui vengono presi in considerazione solo gli argomenti a favore della propria tesi e del proprio comportamento ed esclusi totalmente quelli contrari.

Nell’argomentare succede la stessa cosa: la persona può essere completamente refrattaria a recepire affermazioni o argomenti che siano in contrasto con le proprie credenze. Per superare tale resistenza è opportuno toccare il cuore, ovvero utilizzare un linguaggio analogico fatto di immagini, allegorie e metafore che permetta di sentire, prima, e capire e comprendere poi.

Anche l’argomentazione, ovvero la trattazione della tesi che si vuole sostenere, deve tenere in considerazione il principio di coerenza, infatti, a partire da quanto evidenzia Aristotele nella Retorica, per persuadere qualcuno occorre partire dalle sue argomentazioni e considerare da quale prospettiva egli vede la cosa. Evitando di contrapporsi alla sua tesi dobbiamo riorientarla in modo che il punto di vista diverso appaia anch’esso ragionevole (Nardone, 2015).

Attraverso forme linguistiche come appunto l’aforisma possiamo giungere a realizzare un altro importante atto comunicativo persuasorio, ovvero la ristrutturazione. Questo termine, molto usato in psicoterapia è un processo che permette di condurre a un cambiamento, anche radicale, di prospettiva.

Dal punto di vista comunicativo con la parola “ristrutturazione” facciamo riferimento all’uso del linguaggio per ridefinire una certa circostanza, percezione o credenza senza addentrarsi nel contenuto, ma modificando la cornice di riferimento che a quel contenuto dà senso.
Prendiamo l’esempio di un lungo passo dei Miserabili di Victor Hugo: «Jean Valjean, uscito dal carcere, si trova scacciato da ogni luogo a causa del suo passato da carcerato, solo il vescovo lo accoglie chiamandolo “Signore”. Jean Valjean rimane colpito dai modi del prelato, ma non si fida, così, di notte, scappa rubando l’argenteria. Arrestato poco dopo, viene riportato a casa del vescovo che di fronte al furto chiede come mai avesse dimenticato i candelabri d’argento che facevano parte del dono che aveva preparato per lui. Libero può tornare alla sua vita, ma quello che non sa è che non potrà più essere quello di prima. L’atto del vescovo ha cambiato e ristrutturato completamente la sua percezione, l’immagine di sé e di ciò che è giusto o sbagliato».

Le parole del vescovo non hanno modificato il contenuto di quanto successo, ovvero l’appropriazione dell’argenteria, ma ne alterano completamente il senso modificando la cornice: non si tratta di furto, ma bensì di un dono. Si tratta di provocare un’esperienza emozionale correttiva che permette di cambiare la propria prospettiva con cui si osserva la realtà (Nardone e Salvini, 1997).