La democrazia nel mondo secondo l’Economist

Come ogni anno, l’Economist ha pubblicato il suo Democracy Index. «Frontline democracy and the battle for Ukraine», è il titolo. Lo stato della democrazia in 165 Stati e due territori è misurato attraverso una pagella che come a scuola dà voti da 1 a 10 in cinque materie: processo elettorale e pluralismo; funzionamento del governo; partecipazione politica; cultura politica democratica; libertà civili. Da 8 a 10 di media si è promossi a pieni voti, come «democrazie piene». Full democracy. Da 6 a 8 si ha la sufficienza come «democrazie imperfette». Flawed democracy. L’Italia sta qua: con 7,69 che è poco sotto I pieni voti, ma è arretrata di tre posizioni, scendendo al 34esimo posto. Anche gli Stati Uniti stanno comunque qua: 30esimi, con la media del 7,85.

La polarizzazione rimane la più grande minaccia per la democrazia americana, ma una affluenza alle urne molto alta alle elezioni di medio termine di novembre e un’ampia bocciatura dei candidati che ancora negano i risultati delle elezioni presidenziali del 2020 hanno aiutato il punteggio del paese a rimanere stabile. Sotto al 6 ma sopra al 4 si è in qualche modo rimandati, come Regimi ibridi. Sotto il 4 c’è la bocciatura, segnalata dall’etichetta di Authoritarian.

In effetti, il punteggio medio globale della democrazia è rimasto sostanzialmente fermo nel 2022, nonostante le aspettative di un rimbalzo positivo che avrebbe potuto comportare la revoca delle restrizioni legate alla pandemia. La diffusa soppressione delle libertà individuali, inizialmente intesa a proteggere le persone dal covid-19, aveva infatti ridotto i punteggi nel 2020 e nel 2021. Per questo l’Europa occidentale ha registrato un netto miglioramento della propria pagella, che è tornata ai livelli pre-pandemia. Ma nel resto del mondo c’è stato invece un peggioramento, anche per effetto della guerra in Ucraina.

Il punteggio globale di 5,29 su dieci, in aumento di appena 0,01 rispetto all’anno precedente, rappresenta dunque una stagnazione piuttosto che quell’inversione della recessione democratica iniziata nel 2016 che sembrava probabile. Inoltre, la Cina, che ospita quasi un quinto della popolazione mondiale, ha concluso la sua politica zero-covid solo a dicembre, dopo aver tenuto rinchiusi decine di milioni di cittadini per mesi durante tutto l’anno. Il Governo ha abbandonato la politica zero-covid dopo diffuse proteste, ma la risposta repressiva dello stato a quelle proteste ha contribuito a far scendere il punteggio della democrazia cinese a 1,94 su dieci, il minimo dall’inizio dell’indice, nel 2006. La Russia a sua volta ha registrato il più grande declino democratico di qualsiasi paese al mondo, scendendo di 22 posizioni in classifica fino al 146° posto.

Quasi la metà (45,3 per cento) della popolazione mondiale vive in una sorta di democrazia, mentre più di un terzo (36,9 per cento) vive sotto un regime autoritario. Ma circa due terzi delle persone vivono in paesi i cui governi rispetto alla crisi ucraina sono neutrali o filo-russi. Un pasticciato tentativo di colpo di Stato del presidente del Perù Pedro Castillo per prevenire un impeachment ha portato alla sua destituzione e incarceramento, da cui proteste che hanno fatto decine di morti. Ma i deputati al momento rifiutano di acconsentire alle elezioni anticipate chieste dai manifestanti e in realtà concesse dal governo, per evidente paura di rimetterci poltrone e relative prebende. Il tutto secondo l’Index «ha indebolito una democrazia già instabile» e ora il Perù è classificato come un «regime ibrido» piuttosto che democratico.

Altrove, molteplici colpi di stato hanno fatto scendere il Burkina Faso di 16 posizioni in classifica. I falliti tentativi di colpo di stato in Guinea Bissau, São Tomé e Príncipe e Gambia hanno contribuito alla stagnazione dei punteggi democratici dell’Africa subsahariana per il secondo anno consecutivo.

Anche in Europa occidentale, che ospita otto dei primi dieci paesi dell’indice e che è stata l’unica regione a registrare un netto miglioramento nel 2022, si è registrato un forte declino, che dura da un decennio: la Turchia, l’unico regime ibrido nella regione. Il governo di Erdoğan è sempre più autocratico, e il Paese quest’estate deve affrontare elezioni cruciali che potrebbero decidere sul suo status democratico.

I dieci Paesi che hanno più migliorato sono Thailandia, Angola, Niger, Montenegro, Grecia, Islanda, Sri Lanka, Albania, Cile e Cambogia. I 10 che più hanno peggiorato Russia, Burkina Faso, Haiti, El Salvador, Tunisia, Bielorussia, Iraq, Giordania, Messico e Hong Kong. Ai primi 10 posti stanno Norvegia (9,81 di media), Nuova Zelanda (9,61 e primo Paese extra-europeo), Islanda (9,52), Svezia (9,39), Finlandia (9,29), Danimarca (9,28), Svizzera (9,14), Irlanda (9,13), Paesi Bassi (9) e Taiwan (primo Paese asiatico con 8,99, anche se ha perso due posizioni).

Dopo l’Uruguay (miglior paese delle Americhe con 8,91 e due posizioni di miglioramento), il Canada (8,88) e il Lussemburgo (8,81). La Germania è 14esima: 8.80 e un posto di miglioramento. Dopo Australia, Giappone e Costa Rica il Regno Unito è stabile al 18esimo posto, con 8,28. Dopo Cile e Austria. Mauritius è con 8,14 e il suo 21esimo posto il Paese più democratico dell’Africa anche se ha perso due posizioni. Al 22esimo posto, con 8,07, Francia e Spagna sono rientrate tra le democrazie piene: la Francia in stessa posizione; la Spagna migliorando di due. Anche se ha perso 8 posizioni resta ancora tra le democrazie piene la Corea del Sud: 8,03 e 24esimo posto del Bangladesh al 108 della Mauritania. L’Ucraina è 87esima, con 5,42. Vicino alla sufficienza ma ha perso un posto, anche se forse con tutto quello che le è successo è il minimo. Agli ultimi 10 posti (dal basso): Afghanistan (voto 0,32); Myanmar (0,74); Corea del Nord (1,08); Repubblica Centrafricana (1,35); Siria (1,48); Repubblica Democratica del Congo (1,48); Turkmenistan (1.66), Ciad (1,67); Laos (1,77); Guinea Equatoriale (1,92).

La Cina, come ricordato, sta a 1,94, come il Tagikistan. Lo Yemen sta a 1,95, l’Iran a 1,96, la Bielorussia a 1,99, l’Eritrea a 2,03, la Libia a 2,06, l’Arabia Saudita a 2,08, l’Uzbekistan a 2,12, il Burundi a 2,13, il Venezuela a 2,23, la Russia 2,28.

L’Italia, in effetti, avrebbe un voto altissimo in processo elettorale e pluralismo: un 9,58 che è lo stesso di Svezia, Svizzera, Paesi Bassi, Germania, Costa Rica, Regno Unito, Cile, Austria, Francia, Spagna e Corea del Sud, e supera il 9,17 degli Usa. Ma sta sotto la media come cultura politica (7,50), libertà civili (7,35) e partecipazione politica (7,22) e scende addirittura sotto al 7 come funzionamento del governo (6,79).

All’Italia è dedicata una citazione speciale assieme alla Svezia, per via delle «recenti elezioni» che «hanno portato al governo partiti di destra». Il report osserva che «la rappresentanza di partiti di destra come i Democratici svedesi o Fratelli d’Italia (FdI) in parlamento e governo non è necessariamente dannoso per la democrazia; anzi, l’esclusione di tali partiti quando hanno il sostegno di ampi settori dell’elettorato potrebbe essere interpretato come antidemocratico». Ma «allo stesso tempo, ci sono preoccupazioni giustificabili che i partiti di estrema destra potrebbero minare la democrazia promuovendo l’intolleranza o approvando una legislazione illiberale o censurando i media. La coalizione di destra guidata da FdI ha ottenuto una comoda maggioranza parlamentare alle elezioni politiche in Italia alla fine di settembre e può quindi proseguire la sua specifica agenda se lo desidera. Guidato dalla prima presidente del Consiglio donna italiana, Giorgia Meloni, il governo si è insediato a ottobre. L’Italia adesso ha il governo più di destra dalla fine della seconda guerra mondiale. La Meloni ha inizialmente adottato una posizione moderata (motivata in parte dal desiderio di assorbire i fondi Ue disponibili), ma il suo mandato era per una posizione di destra più dura e potrebbe tornarvi sotto la pressione dei suoi partner di coalizione».