Messina Denaro, ecco perché non può essere uno scambio

(Stefania Pellegrini) L’unica domanda lecita da porsi rispetto all’arresto della “primula rossa di Cosa Nostra” sarebbe: “perché ci sono voluti trent’anni per catturarlo, considerando che non ha vissuto in un bunker sotto terra, ma ha avuto la possibilità di muoversi liberamente nel suo territorio, fare affari e curarsi presso le strutture più prestigiose?”. Solo l’analisi dei principi fondanti la criminalità mafiosa può aiutare a risolvere l’arcano: potere, consenso, omertà, il tutto sorretto da una ricchezza proveniente da attività criminali e violente.

Quello delle mafie è un potere che dà ricchezza, diversamente da altre attività umane dove può capitare che sia la ricchezza posseduta a dare potere. La gestione del potere, a sua volta, permette l’accesso alle relazioni di influenza sociale e al conseguente controllo del territorio. L’arricchimento economico e l’acquisizione del potere sono, quindi, utilizzati dalla mafia al fine di acquisire ambiti di influenza sempre più estesi: dai grandi potentati decisionali, alle sfere più basse della comunità. Anche il più potente boss non dimenticherà mai di ricercare una sorta di legittimazione tra gli abitanti dei vicoli dei paesi di origine, tant’è che, si preoccuperà sempre di coinvolgere i propri compaesani, offrendo loro un posto di lavoro.

La mafia è per sua natura interclassista ed estende i propri tentacoli dagli strati più bassi della società, sino ad insinuarsi nei vertici della piramide sociale. Fa affari milionari in connessione con potentati economici politici, ma al contempo, per sopravvivere e per evolversi, ha sempre bisogno del consenso sociale proveniente da un ambiente non mafioso, con il quale condivide un linguaggio simbolico e valoriale. Non c’è mafioso se attorno a lui non c’è una comunità di sostegno che riconosce il suo linguaggio, il suo comportamento, i suoi gesti, i suoi atti, e non li legge solo co­me delinquenziali, o come parte di un sistema criminale.

Tutti i grandi capi mafia siciliani sono stati catturati nell’isola perché il controllo del territorio presuppone la presenza fisica. Matteo Messina Denaro è sempre rimasto nel trapanese, perché in quel contesto realizzava una sorta di welfare mafioso. Nei grandi investimenti, si pensi alle catene della grande distribuzione, o ai parchi eolici, sono stati coinvolti imprenditori che a loro volta hanno dato lavoro ai soggetti, creando un rapporto di dipendenza, soggezione e subordinazione.

Il riconoscimento e il consenso dei quali gode la mafia sono alla base della legittimazione del potere che così costituisce il mezzo e al contempo il fine dell’agire mafioso.

Un potere legittimo che basa la validità della propria legittimità sul suo carattere tradizionale e carismatico. Basti pensare che a MMD, benché ritenuto depositario di un’au­torità in base ad una storia e a una tradizione di violenza – non dimentichiamo che è l’ultimo protagonista del periodo stragista di Cosa Nostra – è stato attribuito il riconoscimento carismatico di un’aurea eroica. Chi conosce il suo territorio di origine sa bene che una fascia di popolazione lo idolatrava, lo tutelava. Addirittura, lo accudiva. Rimasi sconvolta quando seppi che a Castelvetrano c’era chi preparava i manicaretti preferiti al grande boss. Siamo ben lontani dal Bernardo Provenzano che, pur rimanendo nelle campagne corleonesi, viveva in un capanno, nutrendosi di formaggio e cicoria. I primi fotogrammi dell’arresto ci restituiscono l’immagine di un uomo composto ed elegante, esattamente in linea con la narrazione circolata su Diabolik. Amante della ricchezza e del lusso. Con una vita rallegrata da numerose relazioni sentimentali.

Tutti questi elementi non rappresentano una sorta di gossip criminale, ma identificano la dimensione simbolica del potere di MMD. Da trent’anni costantemente sotto assedio, ma sempre libero di vivere la sua agiatezza. Prima di lanciare supposizioni sul perché sia stato arrestato proprio ora, soffermiamoci sul perché non è stato arrestato prima. Pensiamo alla rete di connivenze, sostegni, complicità che hanno permesso 30 anni di latitanza. Perché tutto questo rappresenta proprio quel consenso presso gli strati popolari che riproduce un fattore determinante la potenza della mafia. E’ quel consenso che va scardinato, dimostrando che la mafia non è invincibile, anche se è ricca, potente, elegante, imprenditrice. Anche se ha il volto di MMD e di tutti i suoi sodali, dai violenti assassini, agli imprenditori e professionisti che gli hanno permesso di regnare indisturbato per tre decenni.

E’ lecito porre il dubbio sull’esistenza di una sorta di macchinazione, finalizzata a sacrificare Messina Denaro in cambio di un certo affievolimento degli strumenti antimafia, in primis, quelli connessi al regime penitenziario? Lecito sì, ma lo riterrei molto improbabile. Non si tratta di un anziano capo mafia che accetta di trascorrere i pochi anni che gli restano dietro le sbarre di un penitenziario in completo isolamento. Si tratta del più giovane capomafia di Cosa Nostra. Un uomo di 60 che trascorrerà il resto della sua vita in carcere in regime di 41 bis. E’ malato? Verrà curato con tutte le attenzioni che merita una persona malata.

L’ipotesi che la riforma dell’ergastolo ostativo possa essere stata merce di scambio o elemento che ha portato MMD a valutare una minore offensività della sua carcerazione, è di difficile sostenibilità. In primis, l’intervento di emendamento del regime penitenziario speciale ha già concluso il suo iter ed è stato suggellato dall’intervento della Corte Costituzionale. Partita chiusa. Nel bene e nel male. Attualmente non c’è più margine di intervento, a meno che non si intervenga con un’altra riforma. Ma allora, lo scambio pecca di una errata sincronizzazione. E dubito che Cosa Nostra possa compiere simili errori.

Ma soprattutto, e qui ritorno, accettare la congettura di un accordo che abbia previso l’arresto di MMD, significa sottovalutare la mentalità mafiosa che pone la centralità del suo potere sulla propria inafferrabilità e onnipotenza. Non soffermarsi sul ruolo del capo indiscusso della mafia trapanese, emblema della inafferrabilità della mafia, vuol dire sottovalutare la peculiarità della criminalità mafiosa che non è solo crimine, ma è potestà assoluta, governo dittatoriale di un territorio, giudice decisore di ogni scelta politica ed economica. Magari non nella concretezza, ma sicuramente nella narrazione che la mafia vuole che si faccia di sé stessa.

MMD era tutto questo. Certamente ambiva ad alimentare la leggenda di chi ha vissuto ed è morto incontrastato nel suo regno, esercitando un potere inoppugnabile sino alla fine dei suoi giorni. Come avrebbe potuto abdicare alla sua onnipotenza, in cambio di un gioco nel quale lui ne usciva come il perdente?