Nell’Italia di oggi populista e sovranista, nonché progressista come piace a mister «gratuitamente» Giuseppe Conte

Basta scorrere le dichiarazioni pubbliche dei migliori, come pure dei peggiori, esponenti delle due coalizioni per riconoscere un tratto comune, che è di sospetto e di dispetto per le catene che imprigionano l’Italia in una condizione di dipendenza, se non di schiavitù. Che poi si definisca tutto questo, a seconda delle circostanze, «pensiero unico liberista», «dittatura tecnocratica», «bellicismo Nato»o «euro-austerità», è del tutto accessorio, perché si tratta di espressioni fungibili, che esprimono in fondo lo stesso concetto: che l’integrazione dell’Italia nel quadro europeo e atlantico è stata la causa della rovina e oggi è l’ostacolo alla rinascita dell’Italia.

A legare populisti e sovranisti però non è solo la storica diffidenza per l’origine e gli sviluppi del modello politico occidentale, avversato ed esecrato, a destra come a sinistra, come una forma di colonialismo culturale, politico ed economico. È anche e soprattutto la scelta di una comune tecnica di sopravvivenza, fondata sulla dissociazione della politica dalla realtà e quindi, a cascata, della responsabilità della classe politica rispetto ai risultati concreti dell’azione di governo.

Sia per i populisti che per i sovranisti, i cosiddetti vincoli esterni – che si parli della politica monetaria della Bce, della costituzione economica dell’Unione europea o delle politiche di sicurezza della Nato fa poca differenza – non sono solo un prezioso feticcio propagandistico, ma anche una straordinaria giustificazione pratica. Se la loro politica è, per l’essenziale, denunciare questo male, così pervasivo e assoluto da pregiudicare la sovranità politica nazionale, è ovvio che questo male frustrerà con disarmante facilità ogni tentativo di sovvertirne il dominio. Così anche la condotta più rinunciataria e corriva apparirà retta e obbligata.

Sia per la destra fascio-sovranista che per la sinistra demo-populista l’oltranzismo identitario e il radicalismo ideologico servono per convertire il fallimento implicito nelle promesse impossibili in una prova di eroismo e di virtù contro le soverchianti forze dei nemici dell’Italia. Mancare gli obiettivi dichiarati, anziché una smentita della buona fede e della capacità di fare quel che si era promesso, diventa una conferma dell’analisi sul complotto contro l’Italia. È vero, non siamo riusciti a fare quanto volevamo e proprio questo dimostra che avevamo ragione. La doppia verità è un rifugio, ma anche una trappola. Non se ne può uscire senza disarmare tutta la costruzione che essa serve a difendere.

In Italia i conservatori non hanno mai avuto grande seguito, sono considerati noiosi e retrò, la destra ha sempre preferito accompagnarsi a dittatori, ma ora il bipopulismo ha semplificato il quadro. Estrema destra e sinistra in fondo vogliono e predicano le stesse identiche cose per cui si è creato uno spazio grande al centro. Tra populismo di destra e populismo di sinistra c’è lo spazio per la ragionevolezza, per i riformisti, i liberali, i laburisti.

Scrive con estrema precisione Mario Lavia: Se l’analisi di una destra potenzialmente pericolosa per la qualità della democrazia e di una sinistra inabile a batterla è corretta, spetta ad altri ricoprire quel ruolo politico modernizzatore e riformatore che il Paese ha solo sfiorato nei suoi momenti migliori (certamente Mario Draghi ne è il simbolo) ma non ha mai incontrato veramente, un ruolo alternativo al sovranismo di Fratelli d’Italia e al populismo di Giuseppe Conte.
È una cosa difficile a farsi, ma la possibilità non andrebbe sprecata.