Ci vorrebbe un Tornatore per Troisi

Massimo Troisi era del 1953 ed è scomparso il 4 giugno 1994. Abbiamo dovuto aspettare il 2022 per un film, “Il mio amico Massimo” a lui dedicato. Ma senza averlo visto (in Calabria oggi è al Supercinema di Catanzaro e al S. Nicola a Cosenza) posso dire che non c’è stato ancora un Tornatore che abbia fatto per lui la stessa operazione “didascalica” che è stata fatta per Morricone. L’aggettivo lo uso nel senso che Tornatore è stato magnifico non nel “raccogliere e compendiare” interviste e testimonianze sul genio “Ennio” , operazione che qualsiasi montatore riesce a fare, se si tratta di costruire un collage televisivo, ma nello spiegare la genialità di Morricone. Nel far capire da dove nasce, come si sviluppa e costruisce la creatività di un musicista riconosciuto nel mondo dopo anni e decenni di attività. Ecco, Troisi che ai miei occhi è stato un altro genio della comicità, ancora non ha avuto un amico devoto così intelligente come Tornatore che ce lo abbia approfndito in un film. La differenza tra linguaggio del cinema e della tv sta nel punto di vista. Se guardi fuori da casa tua in ciabatte (Mara Venier, D’Urso) fai tv, se guardi il mondo dall’alto fai cinema.

Troisi comincia ad esibirsi con un trio di amici, lui è di S. Giorgio a Cremano, Enzo De Caro (1958) è di Portici, Lello Arena (1953) lo conosce a S. Giorgio all’età di tredici anni. Il bello, il brutto e il genio formano La smorfia, e chiunque li intravede per un volta in televisione nelle loro prime scenette (prima a Non stop poi a Luna Park) capisce che Troisi ti fa morire dalle risate e i suoi due amici lo accompagnano nella farsa. Sono le sue spalle e questo non significa che siano insignificanti o inutili, anzi è il contrario, sono perfetti per far decollare in televisione il genio comico. Una volta affermato, Troisi poi farà cinema e, come succede solo in Italia, vorrà fare il protagonista, il regista e lo sceneggiatore. Solo in Italia c’è questa manìa dell’Autore e l’attore vuole innalzarsi ad Autore per essere riconosciuto. A Napoli poi l’ombra di Eduardo condiziona da sempre qualsiasi attore, e infatti l’autoralità di Eduardo ha sacrificato finanche il genio di Peppino e di Titina. Insomma, per farla breve, Troisi ha cominciato a fare cinema (Ricomincio da tre) e poi, in evidente affanno autoriale “Scusate il ritardo”, prima di capire che la divisione del lavoro non è una faccenda capitalista ma un modo saggio di mettere insieme artisti specialisti per costruire insieme un prodotto collettivo. L’incontro con un altro genio, Ettore Scola, e poi l’amicizia con Benigni, Daniele e Arbore, sono stati eventi straordinari nella vicenda artistica di Troisi. Il genio comico di Massimo non prevedeva le cd “battute” (oggi i social sono stracolmi di battutisti meravigliosi) ma l’osservare con occhio fanciullesco e nerd la società per smontarne i luoghi comuni. Quando, per fare un solo esempio, ci spiega che lui ha paura, per cui parlerebbe non sotto tortura ma soltanto se uno gli dicesse che magari lo potrebbe torturare, Massimo esprime tutta la nostra comune fragilità in un mondo che esalta solo eroi e coraggiosi. La nostra sfortuna è stata quella di un destino che per Massimo ha previsto la brevità, era solo nel mezzo del cammino della nostra vita e ci ha dovuto lasciare incompiuto nella sua opera, con tutti i napoletani convinti di poter essere suoi eredi per assonanza linguistica (per carità di patria evito di fare i nomi) e con tutti gli sfigati e gli scappati di casa persuasisi che basta raccontare i fatti propri e si intenerisce il pubblico.

Pensate se Massimo fosse vissuto oggi con la pandemia e poi con il bipopulismo imperante quanto ci avrebbe illuminato con le sue osservazioni e i suoi paradossi. Ha smontato la realtà in cui viveva raccogliendo con pazienza tutti i paradossi quotidiani (io li chiamo “ciotìe”) in cui nuotiamo sino a non riconoscerli più. Quelle che ci sembrano massime popolari, buon senso, direttrici di marcia, insomma quelli che chiamiamo “valori”, sono inconsistenti litanie che ci tramandiamo come filastrocche. Il più grande nemico giurato delle frasi fatte e degli insegnamenti “popolari”. Il primo attore che nonostante fosse bello ha fatto ridere il pubblico attraverso il linguaggio e la timidezza ostentata.

Questo mi ha insegnato Massimo e proprio in questi giorni ho alla fine capito perchè un film l’ha chiamato “Pensavo fosse amore e invece era un calesse”. Lo ha spiegato una sua ex, Clarissa Burt, “calesse” sta per “Clarissa”. Chissà quante cose non sappiamo ancora di Massimo, al quale Martone a febbraio dedicherà un film scritto con Anna Pavignano, altra sua ex e sceneggiatrice con lui dei primi film.