Programmi dei partiti: miglioramenti economici dei docenti

Scuola e università sono citate, con più o meno spazio dedicato, nei programmi di tutti i partiti candidati alle politiche. In una serie di articoli (lavoce.info), Andrea Gavosto ha analizzato alcune delle proposte. Io mi limiterò a segnalare le proposte specifiche che concernono gli aumenti economici per i docenti. Alcuni partiti tra le loro proposte sulla scuola non parlano degli stipendi degli insegnanti (come fece il M5S nel 2018 ottenendo molti voti su promesse che poi i due ministri grillini alla PI non hanno concretizzato).

Per esempio  non ne parla FDI (Fratelli di Italia), che invece ha una corposa parte del programma: “ciclo di studi di 4 anni” e “abolizione della lotteria del test d’ingresso e introduzione di un sistema di accesso per reale merito al termine del primo anno di corso comune a più facoltà”.

Non ne accenna la LEGA che rilancia un suo storico cavallo di battaglia, il superamento del precariato, attraverso addirittura  l’assunzione in ruolo dei 150-200 mila insegnanti annuali a tempo determinato.

SI (Sinistra Italiana) sempre nel solco della tutela dei posti di lavoro dei docenti, prevede la completa stabilizzazione degli insegnanti di sostegno (difficile perché legata al numero di studenti disabili, di per sé imprevedibile) e una riduzione della numerosità delle classi a 15 allievi (con alcune eccezioni fino a 18).

FI (Forza Italia) parla della formazione di una nuova generazione di docenti (più tutor e più coach) con nuovi riconoscimenti giuridici ed economici. Espressioni non approfondite così come quelle del M5S: “Per la formazione: perché scuola, Università e ricerca sono le fondamenta della nostra società”. Si parla quindi di: Adeguamento degli stipendi degli insegnanti e livelli europei.

Nel programma di AZIONE-ITALIA VIVA prima si parla del Sistema nazionale di valutazione: Va ripreso il percorso interrotto dai governi Conte, perché non può esserci autonomia senza valutazione. E solo un sistema nazionale di valutazione efficace può consentire di individuare le
aree su cui è necessario migliorare. Poi si parla di:
Valorizzazione delle professionalità e creazione della carriera di un docente
Si deve procedere a firmare il contratto scaduto da troppi anni in modo da garantire un aumento significativo dei salari di tutto il corpo docente. E in parallelo bisogna introdurre forme di carriera per il personale della scuola in modo da riconoscere anche formalmente le diverse professionalità
che affiancano il Dirigente Scolastico nel funzionamento organizzativo e didattico, nonché le figure che costituiscono un vero e proprio middle management. Senza questo passaggio l’autonomia scolastica non potrà dirsi compiuta. Sia per i docenti che per il personale ATA si deve abbattere la
percentuale di personale precario, riportandola così a livelli fisiologici.

Veniamo infine alla proposta del PD. Richiama esplicitamente  l’allineamento alla media degli stipendi europei. Come si collocano quelli italiani rispetto agli altri paesi? Vi sono due aspetti da sottolineare. In primo luogo, se si considerano gli stipendi iniziali degli insegnanti di scuola superiore nei paesi che aderiscono alla rete Eurydice (sostanzialmente quelli dell’Unione europea, dell’Efta-European Free Trade Association, e quelli balcanici candidati all’Ue), la media semplice è pari a 29 mila euro, quindi circa 3 mila euro al di sopra del valore italiano. I paesi dell’Est Europa mostrano retribuzioni significativamente più basse, anche a parità di potere d’acquisto: per esempio, in Estonia, che pure è uno dei sistemi scolastici con i migliori risultati nei test Pisa dell’Ocse, un docente delle superiori guadagna a inizio carriera 16 mila euro. Diversa è la situazione rispetto ai paesi dell’Europa occidentale, che, immaginiamo siano il riferimento del Partito democratico: un insegnante italiano guadagna poco meno di un collega francese, ma assai meno di uno spagnolo (35 mila), di uno scandinavo (40 mila) e, soprattutto, di un tedesco (60 mila). La differenza va commisurata con il costo della vita: a  Monaco di Baviera o a Parigi non è facile vivere con 3mila euro nette al mese. Il secondo aspetto rilevante riguarda la dinamica retributiva: i salari dei docenti italiani crescono poco lungo l’arco della vita lavorativa: arrivano a circa 40 mila euro a fine carriera, e solo per effetto dell’anzianità; in un paese come la Francia, che parte da livelli molto simili ai nostri, le retribuzioni a fine carriera raggiungono i 50 mila euro.

La proposta democrat non chiarisce se si vogliano aumentare le retribuzioni dei docenti innalzando il livello di partenza e lasciando la dinamica attuale o, viceversa, si preferisca rendere più rapida la progressione dello stipendio, legandola a un’eventuale carriera degli insegnanti. Le implicazioni sono diverse: nel primo caso l’aumento sarebbe sostanzialmente uguale per tutti gli insegnanti, indipendentemente dalle differenze di competenze, impegno, aggiornamento professionale,  disponibilità; nel secondo, invece, i passaggi retributivi andrebbero verosimilmente legati a qualche forma di valutazione del merito dei docenti. Va detto che l’impegno preso dall’Italia con l’Unione europea nel Pnrr aveva scelto esplicitamente questa seconda strada, sebbene la recente riforma del reclutamento (legge 79 e decreto Aiuti bis) ne dia una lettura minimalista: prevede un solo gradino retributivo, legato alla formazione, dopo nove anni; il Pd si è però dichiarato contrario a questo meccanismo di carriera, impopolare fra gli insegnanti, chiedendone lo stralcio dal decreto.

A quanto ammonterebbe il costo per le finanze pubbliche dell’aumento proposto dal Pd? Utilizzando i dati salariali medi del 2019-20 (gli ultimi disponibili da Eurydice), si può moltiplicare la differenza fra il valore medio europeo (36.627 euro) e quello italiano (33.261) per i 699 mila docenti di ruolo: l’aggravio di spesa a regime (ma il Pd ipotizza un percorso di avvicinamento graduale) sarebbe quindi pari a 2,35 miliardi di euro all’anno. Per dare un’idea, si tratta dell’equivalente annuo di quanto verrà speso complessivamente per adeguare tutte le scuole alle tecnologie digitali di qui al 2026.