Irpef, quei 5 milioni di italiani con il paese sulle spalle. Quale partito li rappresenta?

(alberto brambilla) La coalizione che uscirà vincente dalle prossime elezioni del 25 settembre si troverà come premio una situazione economica, energetica e sociale complicata. Il primo impegno sarà la legge di Bilancio per il 2023 da farsi con estrema rapidità per evitare un improponibile esercizio provvisorio considerando che il nuovo governo, se tutto andrà bene, potrà essere operativo a fine ottobre. Saremo all’inizio della stagione fredda con i prezzi alimentari e energetici ancora molto alti, con la probabilità di una riduzione forzosa dei consumi di gas pari al 7%. Una situazione sociale difficile, aggravata dalle sicure polemiche post voto.

Sarà anche una legge di Bilancio in parte scritta e tutte le mirabolanti promesse elettorali si infrangeranno contro il muro delle spese già maturate a causa dell’alta inflazione e indifferibili. Per prima cosa si dovrà prevedere la rivalutazione dello stock di pensioni in essere pari a circa 313 miliardi di euro per oltre 16 milioni di pensionati ai quali verrà applicato lo schema reintrodotto dal governo Draghi e sospeso dall’esecutivo Monti e da tutti quelli succedutisi con grave danno dei pensionati. Ipotizzando un’inflazione acquisita del 7% e considerando che dal primo gennaio del 2022 le pensioni sono state rivalutate all’1,7% mentre l’inflazione del 2021 è stata dell’1,9%, i pensionati dal 2023 si vedranno rivalutate gli assegni del 7,2%, al 100% per le rendite fino a 4 volte il minimo (2.100 euro circa), al 90% da 4 a 5 volte il minimo (2.100– 2.600 euro) e al 75% per tutti gli assegni d’importo più alto. Costo totale 20 miliardi che rimarranno strutturali. I pensionati al minimo (524,34 euro al mese) avranno un aumento di circa 37,75 euro,pari a 490 euro l’anno; da 2 volte il minimo 981 euro e 4 volte il minimo circa 1.963 euro; in pratica quasi una quattordicesima.

I veri conti
A questi 20 miliardi occorrerà aggiungerne altri 6/7 per il finanziamento del debito pubblico, anch’essi strutturali per i prossimi anni, sia per la fine del QE della Bce sia perché il Btp a 10 anni rendeva a gennaio 2021 lo 0,65% mentre oggi è poco sopra il 3% con uno spread sui Bund che balla intorno a 230 punti, ma con i titoli greci che nel breve termine rendono addirittura meno dei nostri: e ci lamentiamo se ci riducono il rating?

Sarà probabile, sempre che i problemi creati da Russia e Cina non si aggravino, proseguire nei primi mesi freddi dell’anno, con aiuti a famiglie e imprese, rifinanziare le missioni all’estero e alcune spese che si trascineranno per parte del 2023 come quelle del Superbonus. Un totale vicino ai 35 miliardi! Altro che flat tax, al 23% di Berlusconi, al 15% Salvini, peraltro, con grandi profili di incostituzionalità (perché gli autonomi sì e i dipendenti no?) e che creerà un aumento del sommerso e infedeltà fiscale. Altro che pensioni a mille euro al mese per tutti (costo 30 miliardi), pensioni da mille euro per 13 mesi alle mamme, costo 13 miliardi strutturali ogni milione di mamme, pace fiscale, dote ai diciottenni, taglio del cuneo fiscale (soluzione per Berlusconi) che secondo il Pd produrrebbe una quattordicesima mensilità (costo oltre 19 miliardi).

È vero che una parte della rivalutazione delle pensioni rientrerà sotto forma di Irpef soprattutto a carico dei 5 milioni di pensionati (su 16) e in parte come imposte indirette, ma sono sempre tanti soldi.

I problemi da affrontare
Contestualmente alla legge di Bilancio, il nuovo governo si dovrà misurare con i reali problemi: 1) Il basso tasso di occupazione: su 36,5 milioni di italiani in età da lavoro solo 23 milioni lo fanno (meno del 39%) mentre in Francia e Germania sono oltre il 50% e siamo ultimi con la Grecia, ma primi assoluti in Europa per i Neet, i giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi di formazione. Sono 3 milioni (il 25,1% ), tra i nostri competitor la Spagna ne ha il 18%, la Francia il 14%, tutti gli altri Paesi sotto l’11%. 2) Siamo ai primi posti per spesa assistenziale che, compresi i bonus, vale circa 180 miliardi immessi nel sistema esentasse «in nero» il che crea ovviamente altro sommerso. Nel 2008 spendevamo 73 miliardi e i poveri assoluti erano 2,1 milioni; oggi spendiamo il doppio e i poveri assoluti sono diventati 5 milioni; e non si trovano camerieri, bagnini, cuochi e personale ad alta e media specializzazione anche perché tra reddito di cittadinanza, i sussidi vari, Naspi e Cassa integrazione manteniamo in nero oltre 5,5 milioni di italiani. 3) Mentre quelli che lavorano negli ultimi 30 anni, secondo Ocse, hanno visto i loro salari reali medi perdere il 2,9% (unico Paese in Europa), un abisso rispetto agli altri Paesi.

Noi e gli altri
In Germania gli stipendi sono saliti del 33%, in Francia del 31%, in Spagna del 6%. 4) Per aumentare i salari (il fantasioso cuneo fiscale) una decontribuzione protratta nel tempo distruggerebbe il sistema pensionistico: uno sconto del 3% di contributi costerebbe 7,7 miliardi l’anno escludendo i nuovi schiavi italiani cioè quelli che dichiarano dai 35 mila euro di reddito in su, quelli che pagano oltre il 60% di tutta l’Irpef (il 50% degli italiani non versa un euro) e che anche con l’ottimo governo Draghi sono esclusi da tutti i bonus e le agevolazioni. Anziché la decontribuzione sarebbe meglio aumentare la quota di retribuzione non soggetta a tasse e contributi ora ferma a 258 euro portandola stabilmente a 516, e introducendo il buono trasporti strutturale da almeno 8 euro al giorno (il governo Draghi li ha introdotti con 516 e 60 euro l’anno ma solo per un anno e per redditi fino ai fatidici 35 mila euro) e aumentare a 12 euro il buono pasto esente: con queste semplici mosse si avrebbe un incremento strutturale del 15% per oltre il 70% dei redditi fino a 25 mila euro e con il contrasto di interessi, gratis, una ulteriore quattordicesima, ma smettendola di escludere quelli che dichiarano 35 mila euro lordi l’anno che non sono ricchi ma nuovo serbatoio della politica. Siamo solo 5 milioni, chi ci rappresenta?