Vorrei raccontare la storia di Andrea Agnelli (6/12/1975), presidente della Juventus, per riflettere sulla parabola del successo. Figlio di Umberto Agnelli, cioè figlio dell’uomo dei conti della Fiat, quello che si occupava in pratica dell’azienda Fiat mentre il fratello Gianni faceva l’ambasciatore nel mondo, si è formato accademicamente al St. Clare’s International College di Oxford, e all’Università Bocconi di Milano. Una volta laureato ha avuto esperienze lavorative sia in Italia sia all’estero, in aziende come Piaggio, Auchan, Ferrari, Philip Morris International con responsabilità per marketing, sponsorizzazioni e comunicazione aziendale. Nel 2007 ha costituito una propria holding finanziaria, la Lamse. Ha fondato nel 2010 la casa editrice ADD Editore e sempre mantenuto legami con il mondo Fiat, all’interno dell’IFIL. Dal 2006 è inoltre consigliere dell’Istituto Finanziario Industriale, divenuto poi Exor, la società controllante gli interessi degli Agnelli. Il 19 maggio 2010 venne eletto presidente della Juventus, dopo quarantotto anni di assenza è stato il quarto esponente della famiglia Agnelli a rivestire questa carica, dopo il nonno Edoardo, lo zio Gianni e il padre Umberto,
Sotto il suo mandato, dagli anni 2010 la formazione bianconera ha instaurato un ciclo vittorioso, nel corso del quale si è aggiudicato il campionato italiano per nove stagioni consecutive — battendo dopo ottantadue anni la Juve del Quinquennio del nonno Edoardo, e stabilendo nuovi primati nazionali. Un record che chissà in quale secolo futuro sarà battuto.
In questo lasso di tempo dunque, con un palmarès di 19 trofei complessivi, la gestione Agnelli è diventata la più titolata nella storia bianconera. Quest’anno non vincerà il campionato, così come era già successo lo scorso anno con Pirlo allenatore. Pertanto, Andrea passerà alla storia per 9 scudetti consecutivi ma anche per l’ampliamento e la modernizzazione del parco immobiliare del club (dallo Stadium con annesso J-Museum al complesso del J-Village) nonché l’istituzione della seconda squadra maschile e della prima squadra femminile, quest’ultima subito divenuta plurititolata.
Ciò detto, le critiche che sta ricevendo negli ultimi due anni per non aver vinto lo scudetto nè per esser riuscito a vincere la Champions o quantomeno arrivare nelle prime quattro, qualche interrogativo lo suscitano. In queste ore il mancato rinnovo a Dybala lo vedono ancora salire sul banco degli accusati, così come tutte le sue scelte negli ultimi tre anni. Dalla sostituzione di Allegri con Sarri alla nomina di Pirlo, dalla defenestrazione di Marotta e Paratici sino al ritorno di Allegri che in due anni di assenza è rimasto tale e quale, l’allenatore più retrò del panorama europeo. Ormai basta veder giocare Sassuolo e Atalanta, ma anche Empoli e Verona, Spezia e Fiorentina, per non parlare di Milan e Inter, per capire quanto il gioco si sia evoluto sulla base di questi principi: squadre con baricentro alto, corte, che aggrediscono e appena persa la palla vogliono recuperarla nel minor tempo possibile. Il gioco della Juve allegriana si basa solo su un principio: dobbiamo difendere bene e non prendere goal. In questo modo la squadra anche se fa punti, non diverte i suoi tifosi.
Ma torniamo ad Agnelli che dopo 9 scudetti di certo ha fatto delle scelte sbagliate (non parlo della SuperLega dove l’errore lo ha commesso insieme con altri grandi club) per constatare quanto e come il pubblico e anche gli stessi tifosi juventini abbiano la memoria corta. Tutti i successi, il palmares, il curriculum di Andrea sembrano non esistere più, cancellati da due annate storte e da errori di valutazione. Come se si potesse vincere sempre e non perdere mai, come se si potesse non sbagliare mai, insomma come se, nel calcio (ma in fondo in qualsiasi attività umana) si dovesse e potesse essere infallibili. L’oblio nasconde i successi e quello che hai fatto ieri, conta solo l’oggi.
Solo la lirica scritta di getto da Manzoni su Napoleone (Il 5 maggio) ha saputo sviluppare attraverso la figura di questo “uom fatale” una personale riflessione sui limiti dell’agire umano e sul grande disegno della Provvidenza divina, cui occorre, cristianamente, adeguarsi. Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza. La mia opinione su Agnelli “vergin di servo encomio” e di “codardo oltraggio”, non può trovare ospitalità sui giornali sportivi o in tv, appiattiti sulla cronaca: nello sport come nella vita solo chi non fa nulla non sbaglia mai. Gli uomini che si vendono come infallibili (potrei fare tantissimi nomi) non solo sono inquietanti, sono leggeri come tutti i palloni gonfiati.