Calabria la ‘ndrangheta non penalizza il turismo, lo uccide

Le scuole calabresi ormai da anni impegnate con il marketing del quale ignorano i rudimenti mi ricordano sempre il modo in cui la regione Calabria accosta il turismo. Sia  le scuole che la Calabria  promuovono oggetti, non progetti, insomma non hanno una idea intorno alla quale costruire una strategia. L’esempio che passerà alla storia della nostra regione impegnata a pro-muoversi, a comunicare, resterà quella del filmato di Muccino, la tipica operazione in cui l’accostamento Muccino-bellezza accompagnata da una larga disponibilità economica ha prodotto la banalità e l’inconsistenza. Le scuole ogni giorno intendono comunicare tutto quello che fanno, allo stesso modo la Calabria vorrebbe comunicare 100 marcatori identitari, troppi dal momento che se ne dovrebbe scegliere uno solo.

La bellezza non basta
Negli anni settanta poteva capitare che al Blu ’70 dei fratelli D’Ippolito a Copanello si fermasse a lungo Gino Paoli perchè in quegli anni, lo ha ricordato Sergio Stumpo (cosentino, Ceo di Target Euro), Scalea, Copanello, Tropea, si proiettarono verso lo sviluppo turistico. Tutto ben presto naufragò nella speculazione edilizia e nel saccheggio dei territori, i calabresi sono stati capaci in pochi anni di fare un grande falò della loro bellezza e giocarsi con essa il futuro. Ciò nonostante continuiamo tutti, politici ed esperti, gente comune e specialisti, a voler «promuovere la bellezza», ma senza un progetto costruito sulla bellezza rimasta.  Noi calabresi siamo abituati a ricevere i turisti, non a conquistarli e ci sfugge l’ovvio, che la bellezza sia dappertutto, non solo in Calabria. Prendiamo le spiagge bellissime, non ce le abbiamo soltanto noi, oppure prendiamo la Sila, o i Bronzi, non è che i competitors sono sprovvisti di montagne o beni culturali. Quel che fa la differenza non è la presunzione di bellezza, ma sono i progetti turistici. La Spagna o la Grecia per esempio, hanno progettato le isole Covid Free, il Portogallo ha incentivato la residenza dei pensionati, occorrono idee strutturate in veri progetti. C’è un macigno enorme, a mio parere, che ostruisce la strada della politica turistica calabrese, ne parlerò alla fine, ma per adesso vorrei affiancare al concetto di “presunzione di bellezza” (la Calabria si comunica soltanto come se la bellezza fosse soltanto qui) l’altro concetto che chiamo “prendi i soldi e scappa”.

Se intorno ad un tavolo mettete politici, giornalisti, esperti e imprenditori calabresi per escogitare un’idea vincente per il Turismo, all’unisono vi diranno: occorrono più soldi. Quei soldi che la povera Santelli diede tutti a Muccino li puoi dare a chiunque o disperderli in mille rivoli ma se non hai una strategia i soldi non servono a nulla.

Il primo esempio che vorrei fare lo traggo da una disamina fatta da Paola Militano (Corriere della Calabria) secondo la quale noi calabresi abbiamo delle “attenuanti”, che sarebbero le infrastrutture e i trasporti tra i più obsoleti e insufficienti del Paese.
“In un contesto orograficamente insostenibile quale quello calabrese – con un’autostrada in perenne rifacimento e quindi congestionata nel periodo estivo, una linea ferroviaria “coloniale” che non consente il transito di treni ad alta velocità e dove strade e statali, nonostante le decine e decine di vittime, mancano ancora di interventi destinati alla messa in sicurezza e con l’aggravante di una politica che ha penalizzato gli investimenti di ammodernamento – è un’utopia pensare di risollevare d’emblée le sorti del turismo (ampliandone, qualificandone e destagionalizzandone l’offerta) se neppure il sistema aeroportuale calabrese ha contribuito a migliorare l’accessibilità nel tacco dello stivale, impegnato com’è nel suo di decollo”.

I soldi, pertanto, sarebbero tutti da spendere in infrastrutture e trasporti, ecco la ricetta, compreso magari il mitico ponte sullo Stretto, come se non sapessimo che questo che spacciamo per l’avvenire è il passato, i soldi li abbiamo già avuti e sprecati in lavori finti (vedi ponte di Catanzaro), infiniti (l’autostrada), assurdi (il percorso iniziale dell’Autostrada del Sole per volere di Mancini privilegiò Cosenza e pregiudicò la costa). La stessa vicenda Sacal dimostra come la politica catanzarese e regionale considera  l’aeroporto una municipalizzata da gestire (tipo Arpacal) in maniera clientelare e antieconomica (addossare gli scali in perdita di Reggio e Crotone è stato il colpo finale). Avere più soldi se non li sai spendere significa versare acqua in un recipiente coi buchi, dilapidare le risorse.  Con la scusa del turismo non si può continuare a spacciare mutatis mutandis la solita ricetta universale dell’assistenzialismo (v. reddito di cittadinanza calabrese).

I soldi che i calabresi chiedono incessantemente allo Stato e all’Europa non finiscono nelle mani dei calabresi, perchè la maggior parte finiscono nei conti della ‘ndrangheta. I calabresi sono poveri, i mafiosi sono ricchissimi, infatti hanno un unico problema amministrativo, ripulire i soldi sporchi (derivanti da usura, droga, prostituzione, estorsioni…), allo scopo investono e acquistano beni durevoli e di pregio, e nell’economia di un posto prediligono tutte quelle attività che producono cash, supermercati, negozi, alberghi. Poi per favorire le loro imprese legali gestite da prestanomi  devono tenere sotto scacco la politica, e quindi controllare i voti sul territorio. I pacchetti di voti si ottengono dai bisognosi, commercianti,  famiglie, disoccupati, professionisti, insomma da tutti quelli che puoi condizionare o comprare con la paura. E’ evidente che gli insegnanti i pensionati o l’impiego pubblico sono più liberi nel dare il voto per cui possono votare spensierati per i 5 Stelle o per il Pd. La Calabria per i mafiosi, ha detto Gratteri, deve restare sempre povera e in stato di bisogno, perchè così “chiede”. Nello stesso tempo non è il luogo dove la ‘ndrangheta investe le proprie ricchezze, perchè la mafia draga risorse e le trasferisce altrove. I nostri mari, le nostre coste, i nostri territori la mafia li ha deturpati e inquinati mentre investe  a Malta o a Ibiza, o nelle più belle isole tropicali.

La presunzione di bellezza e la incessante richiesta di maggiori risorse mettono nell’angolo noi calabresi dal momento che oggi il mondo è diventato più piccolo con il web e l’ IMMAGINE o meglio l’immagine percepita della Calabria è il concetto fondamentale con il quale misurarsi. Faccio subito un esempio semplice ma ormai comprensibile da tutti. Una volta potevi andare a mangiare in un ristorante o alloggiare in un albergo calabrese e se ti trattavano male dovevi solo ingoiare il rospo. Adesso ognuno di noi fa le recensioni su Tripadvisor per cui dal nulla la pizzeria Bob Alchimia a Spicchi di Montepaone Lido è diventata così accreditata che per riuscire a mangiare con le mani una delle prelibatezze che offre devi prenotare un mese prima. Lipari a Lamezia ha ottenuto la sua stella prima dal web che da Michelin e così via.
Emilio Becheri è uno dei massimi esperti di economia e politiche del turismo: “Purtroppo la Calabria non gode di una buona immagine ed è percepita più in negativo che in positivo, come regione da evitare piuttosto che da visitare. Insomma, prevalgono i condizionamenti negativi rispetto a quelli positivi. La Calabria è poco conosciuta come lo sono diverse altre regioni del Mezzogiorno. Le uniche eccezioni per il Sud sono solo la Campania, la Sicilia e la Sardegna che godono anche di una immagine positiva”. Avere spiagge da sogno non significa nulla se sul web le “recensioni” di strutture, locali, accoglienza, città, proiettano un’immagine negativa. I ristoratori improvvisati e rapaci con il turista non li sta eliminando la Confcommercio o la buona politica ma il web. Su youtube trovi reportage sui luoghi della Calabria che influenzano la domanda molto di più di qualsiasi Muccino pagato a peso d’oro o di qualsiasi ufficio turistico o Pro-Loco.

I fatti oggettivi che ci penalizzano sono la mancanza in Calabria di città di grande richiamo come possono essere Palermo e Catania per la Sicilia e Napoli per la Campania. I Bronzi di Riace dopo tanti anni ci avrebbero  dovuto far capire che non abbiamo un prodotto eccezionale di grande richiamo per il pubblico, lo stesso mare della Calabria in confronto con la Sardegna sconta depuratori non funzionanti e territorio circostante degradato dalla spazzatura. Quando mi capita di andare a Tropea mi chiedo per quanto tempo durerà la cuccagna ancora con tutta la sporcizia che si vede in giro.  Infatti sono gli stessi calabresi ricchi che per le vacanze così  come per  curarsi  lasciano la regione. Con l’immagine ci giochiamo il confronto con le altre realtà italiane e straniere, non risolvi il problema con i giochi di prestigio di uno spot o di una campagna pubblicitaria, il turismo è una cosa complessa per cui crea un sistema dove il tessuto imprenditoriale si intreccia con la politica, la società civile e la cultura. Sono tutti fattori il cui peso specifico è difficile da commisurare e non basta neppure una buona e illuminata politica. E’ un gomitolo aggrovigliato dove è difficile  rinvenire il filo. Per capirci, su cosa puntare decisamente? Su marketing territoriali accurati, su cultura, su paesaggi, su storia? Se ciascun calabrese non fa la sua parte il turismo non decolla, è semplice ma impegnativo al limite dell’impossibile. Da qualche parte bisogna cominciare e la mia impressione è che non puoi ricorrere solo a protocolli, normative e leggi regionali  ma individuare le cd “spinte gentili” , incentivi per invogliare a fare certe cose.

Aldo Presta, docente di Comunicazione visiva all’Unical, ha detto:
Il turismo è un fenomeno complesso e il successo o l’insuccesso sono determinati da quello che fanno tutti i protagonisti di un territorio. Avere un albergo bellissimo, ma con la spazzatura sulla strada, vanifica ogni sforzo. Se dichiari di avere in Sila l’aria migliore, allora i quad e i fuoristrada devono restare fuori, dando spazio alla montagna dolce, ai cavalli.

Come avvisa Presta, «oggi parliamo di turismi, al plurale, e dobbiamo scegliere su quale puntare per potere individuare i soggetti cui parlare». E oggi i soggetti del turismo usano lingue differenti, al punto che non si parla più di target, ma di tribù, comunità che si raccolgono attorno a pratiche sportive, passioni gastronomiche, istanze culturali.

1)Per esempio, la politica calabrese intende puntare sugli italiani o sugli stranieri?

I clienti esteri si recano in Campania e in Sicilia saltando la Calabria. È lo stesso destino che ci accomuna ad Abruzzo, Molise, Basilicata e Puglia. La Calabria poi non è poco attrattiva solo per gli stranieri ma lo è anche per i residenti nelle regioni del Nord Italia.
«È un dato di fatto, gran parte dei flussi turistici nazionali che si registrano in Calabria, circa i due terzi (66,0%), proviene dalle regioni del Mezzogiorno, Calabria compresa. Se si aggiunge anche la vicina Lazio alle regioni del Sud il numero degli italiani provenienti da tale area corrisponde a più di tre quarti del totale (77,8%) registrato in Calabria.

C’è un prima e un dopo, prima di rincorrere giapponesi e statunitensi dovremmo concentrarci sui paesi europei vicini e le altre regioni italiane.

2) La politica intende aumentare la STAGIONALITA’ ? “La stagionalità è quella più elevata dopo Puglia e Sardegna ed è questo forse il principale problema del turismo locale, pur se la regione è in prevalenza nettamente montuosa e con non poche risorse interne. La Regione è percepita solo come balneare”. E’ possibile che il primo di settembre trovi uno stabilimento balneare aperto soltanto in poche località marine?

3) La politica su quali SETTORI intende puntare?

Sono programmate ora nuove risorse che arriveranno in Calabria sia dai fondi strutturali sia dal Pnrr. Per far finalmente decollare il turismo calabrese c’è chi ritiene utile puntare sul Global wellness, vincente in tutte le parti del mondo. Che poi sarebbe il settore termale e del benessere. Un altro comparto da sviluppare con l’attivazione delle relative infrastrutture potrebbe essere quello congressuale. Ad ogni modo i luoghi comuni che si ripetono sul turismo della regione sono duri da estirpare. Quello più frequente ribadisce che occorrerebbe sviluppare il turismo d’arte culturale invece del turismo balneare, perché si ritiene quest’ultimo già sviluppato. Ma è un’affermazione non veritiera sol se si pensi alle potenzialità di coste lunghissime non ancora diventate turistiche. Centinaia di chilometri di spiagge incontaminate e mare cristallino, come nella Locride, risultano abbandonate, nessun lido, camping o  villaggio. Chilometri e chilometri di nulla. Uno spreco che spiega la disoccupazione e forse la disperazione del buon Dio che manda il pane a chi non ha i denti. Dal momento che la Calabria ha ben circa 800 km di costa, dei quali 716 balneabili, se il litorale regionale avesse la stessa densità turistica di quello emiliano-romagnolo, le presenze turistiche della Calabria sarebbero 5 volte quelle attuali; cioè alle presenze attuali (nel 2019, dati Istat, sono state 9,509 milioni) ne dovrebbero essere aggiunte un numero quadruplo sino ai 47 milioni. Certo,  nessun sano di mente potrebbe proporre a Tropea, Cetraro o Soverato il modello Rimini per crescere così tanto. Solo che evitare la riminizzazione spesso significa buttare il bambino con l’acqua sporca, ignorare cioè tutto ciò che funziona bene sulla costa romagnola e male in Calabria, i servizi la pulizia e il divertimentificio.

4) Ma prima di tutto occorre fare la nostra guerra di Liberazione. I calabresi non diventeranno benestanti se non si liberano dell’oppressore, se non fanno la Resistenza, se non vogliono la libertà e non si liberano dalle catene della schiavitù.

Persiste in Calabria e nel meridione il falso mito sulla ‘ndrangheta che “dà posti di lavoro”. Il discorso sul turismo si può chiudere capovolgendo questa falsità penetrata nello storytelling popolare, la miseria calabrese e il mancato sviluppo infatti  sono conseguenza del predominio mafioso sull’economia. La causa è stata raccontata come l’effetto, la violenza criminale ha generato disoccupati, non li ha “occupati” come manovalanza di necessità.

Un recentissimo studio condotto da Demoskopika ha quantificato in 2,2 miliardi di euro la stima dei proventi della criminalità organizzata derivante dalla infiltrazione economica nel comparto turistico italiano. Di questi, ben 810 milioni se li è accaparrati la ‘ndrangheta: il 37% degli introiti complessivi.

Aziende, alberghi, ristoranti sono nel mirino o sotto il controllo (in taluni casi) di boss e picciotti, l’industria delle “vacanze” beneficia la Camorra con 730 milioni (33%), la mafia con 440 (20%) e criminalità organizzata pugliese e lucana con 220 (10%). L’economia turistica che la Calabria intende sviluppare ha un pezzo di torta, quasi il 40%, destinata agli ‘ndranghetisti. Il 60% resta alle imprese per cui se lo Stato investe 100, alle aziende calabresi arriva solo 60.
Quante volte, nei convegni, nella letteratura sul tema, si sono dette o lette le frasi «la ‘ndrangheta penalizza il turismo» oppure «la ‘ndrangheta frena lo sviluppo della Calabria». E’ un rosario che ripetono nei convegni i cultori della materia. Frasi fatte, luoghi comuni, numeri vuoti, astratti. Teoria. In realtà sono parole del medico pietoso che non intende impaurire l’ammalato perchè la cruda verità consiste nell’affermare invece che  l’economia turistica delle principali mete calabresi è manovrata dalla ‘ndrangheta. Dal Pollino sino al reggino, da Diamante e Praia a Mare a Soverato e Isola Capo Rizzuto passando per Tropea, la ‘ndrangheta attinge al polmone vitale del sostentamento delle comunità.

A Scilla dominano le famiglie Nasone e Gaietti e secondo gli atti dell’inchiesta “Lampetra” della Dda di Reggio Calabria l’interesse degli affiliati emerge per le assegnazioni delle concessioni degli stabilimenti balneari (cit. da “I calabresi”, Così la ‘ndrangheta affossa le principali mete turistiche della Calabria, 21/7/2021; Raffaella Calandra, La mano lunga della ’ndrangheta sul turismo calabrese, Il Sole24ore, 19/12/2019).

Sulla Costa degli Dei, da Pizzo Calabro sino a  Tropea, dominano i Mancuso insieme ai La Rosa, che ai Mancuso sono federati.  L’ingerenza delle cosche nel settore turistico esercita un controllo che può andare dell’estorsione, alla intestazione fittizia, all’imponimento di ditte per lavori e forniture. La frutta la devi prendere da chi ti dico io, il pesce qui e così via. Hotel, villaggi vacanze, barche e traghetti turistici, tutto è sotto controllo. Le cosche  viaggiano insieme con la massoneria , si veda il progetto di un enorme complesso turistico alberghiero da costruire a Copanello di Stalettì, oppure gli interessi sul villaggio Valtur di Nicotera Marina, nel cuore della Costa degli Dei, a poca distanza proprio da Tropea. Per quest’ultima vicenda  i Mancuso si affidarono all’avvocato ed ex senatore di Forza Italia, Giancarlo Pittelli,  il “giano bifronte”, come viene definito nelle intercettazioni, al servizio del boss, con «un appartenenza pulita al grande oriente d’Italia».

L’ingerenza delle cosche Anello e Fruci di Filadelfia sono emersi per i villaggi Napitia a Pizzo Calabro e Garden Resort Calabria a Curinga, ma nell’inchiesta comparve anche l’ex assessore regionale al Lavoro, Francescantonio Stillitani.  La ‘ndrangheta che nelle grandi città controlla bar, ristoranti e hotel di lusso, anche in Calabria vuol gestire le strutture di lusso.

Pure la famiglia Bagalà nel Medio Tirreno Catanzarese ha messo le mani su una serie di strutture e villaggi turistici così come sui porti turistici di Soverato e Badolato, sempre nel Catanzarese (operazione Alibante della Dda catanzarese).

Nel crotonese lo sfruttamento dei villaggi turistici vede protagonisti i Grande Aracri di Cutro, i Trapasso di San Leonardo di Cutro e gli Arena, da Porto Kaleo a Serenè, da Le Castella a Capo Colonna, tesoro archeologico a Isola Capo Rizzuto, sino a Botricello. Aste pilotate, investimenti delle varie famiglie del Crotonese, imponimento dei fornitori. «Ho villaggi turistici in tutta Italia e solo qui ho avuto problemi» ha detto in aula l’imprenditore Fabio Maresca, proprio con riferimento al villaggio Serenè.

Nell’Alto Tirreno cosentino Franco Muto era il “re del pesce” di Cetraro, per trent’anni ha dominato sulle attività ricettive, sul mercato ittico, sulla distribuzione di droga, da Diamante a Praia a Mare, passando per Scalea sino al Cilento.

A Praia a Mare, ‘ndrangheta e camorra convivono tranquillamente. Storica la presenza dei Nuvoletta, uno dei clan più noti della camorra, in passato alleati anche dei Corleonesi.

Il settore turistico è dunque da sempre legato ai grandi clan. Vuoi per gli introiti che fa incassare, vuoi per il prestigio che porta essere i padroni delle strutture più esclusive del territorio di competenza criminale. Per crescere nel turismo è chiaro e quasi superfluo dire che occorre entrare nelle amministrazioni comunali e regionali, per poter gestire al meglio ostacoli o lungaggini burocratiche.

Ecco spiegato come si arriva a quelle cifre e quelle percentuali messe nero su bianco da Demoskopika, la quale ha misurato il “rischio di infiltrazione della criminalità organizzata” sulla base di alcuni indicatori ritenuti “sensibili” ai fini della ricerca: imprese turistiche (alberghi e ristoranti) confiscate alla criminalità organizzata; imprese della ristorazione diventate più vulnerabili a infiltrazioni criminali; operazioni finanziarie sospette direttamente attinenti alla criminalità mafiosa. Per consentire una lettura più agevole, le regioni sono state classificate in quattro raggruppamenti, in relazione al loro livello di infiltrazione nel tessuto economico: alto, medio alto, medio basso e basso.

A livello ALTO c’è la Campania, che ha totalizzato il massimo del punteggio (122,9 punti), i 101 alberghi e ristoranti confiscati, pari al 23,5% sul totale delle strutture turistiche confiscate dalle autorità competenti e le oltre 11 mila operazioni finanziarie sospette direttamente imputabili alla criminalità organizzata. Insieme con la Campania ci sono Lazio (113,8 punti), Sicilia (110,9 punti), Calabria (108,1 punti), Lombardia (106,6 punti) e Puglia (105,7 punti).

Sul versante opposto, a livello BASSO troviamo Marche (93,6 punti), Veneto (92,8 punti), Friuli Venezia Giulia (91,2 punti) e Trentino-Alto Adige (89,5 punti).

Osservando il livello territoriale emerge, inoltre, che nelle realtà del Mezzogiorno si concentrerebbe il 38 per cento degli introiti criminali, pari a 825 milioni di euro del giro d’affari dei proventi illegali, quantificabile in 1.175 milioni di euro: Campania (265 milioni di euro), Lombardia (260 milioni di euro), Lazio (260 milioni di euro), Sicilia (175 milioni di euro), Puglia (140 milioni di euro) e Calabria (75 milioni di euro).

Se i calabresi pensano di poter garantire 75 milioni di euro ai mafiosi accontentandosi delle mancette che essi elargiscono ai propri schiavi sottoposti  vuol dire che ci facciamo male da soli. Le forze politiche e imprenditoriali che vogliono far convivere turismo e ‘ndrangheta sono il problema principale dei calabresi.

Ma la Calabria sta dentro questa Italia e quindi, come ha scritto Giorgio Ursicino su il Messaggero” La ‘ndrangheta non ha nè l’ interesse nè gli strumenti culturali per investire e mandare i propri addetti a scuola di hotellerie a Losanna. Tutto converge a far allontanare dal bar (e dalla strada) il turista minimamente scafato. Prendiamo la musica, per esempio. A Roma in via Veneto la tengono a tutto volume (un mix di rock scelto a casaccio, si capisce). Potrebbe, forse, andar bene per gli aperitivi dei ragazzini sulla spiaggia, ma in via Veneto? Sul boulevard Saint Germain, ai Deux Magots o al cafè’ Flore, non si sognerebbero mai di rovinare l’aperitivo con un altoparlante che trasmette musica sgraziata. La gente va al caffè per parlare. La lotta alla criminalita’ organizzata non rientra nelle competenze del ministro dei Beni culturali o degli assessori comunali ma vi riguardano invece i danni che essa arreca al nostro turismo e al godimento di quei beni culturali che tutti (tutti) continuano a indicare come fonte primaria di riscossa italiana. Come può esserci turismo di qualità a Roma (e nell’Italia dove ‘ndrangheta e camorra stanno investendo) se sulla qualità’ nessuno vigila?  Ecco, a Roma, in via Veneto e non solo servono al bar stuzzichini ammuffiti e cose che anche il gatto di strada rifiuterebbe. A Roma tutti sanno  che bar e ristoranti sono terreno di conquista della ‘ndrangheta. Ma, come sostiene Gratteri, la mafia non è arrivata a Roma o nel Nord per contagio, ma soltanto perchè gli imprenditori hanno accettato i servizi della ‘ndrangheta, manodopera a basso costo e altre convenienze. Le forze politiche e imprenditoriali che vogliono far convivere turismo e ‘ndrangheta sono il problema principale dei calabresi