Covid/ I tracciatori umani e il modello giapponese

Jason Bay, il capoprogetto della app di Singapore che ha ispirato Immuni, ha dichiarato che nessun sistema di tracciamento digitale può sostituire quello manuale. E i Paesi asiatici assurti a modello, prima ancora delle app, non a caso si sono dotati di migliaia di tracciatori umani.

La Lombardia il 22 ottobre ha pubblicato un bando per la ricerca di personale. E si cercano rinforzi nel tracciamento dal Friuli alla Puglia. Ma probabilmente non basteranno, a questo punto, neanche le 2mila assunzioni previste dalla Protezione civile per rafforzare il fronte anti-contagio. In una città come Roma si contano solo un centinaio di assistenti sanitari, e non tutti dedicati al contact tracing. Che poi è lo stesso numero di quelli Bologna, che però ha una popolazione di sette volte più piccola.

Immuni non ha avuto un gran successo tra gli italiani, ma è anche vero che la mancanza del tracciamento umano l’ha praticamente condannata al fallimento. Senza tralasciare il fatto che molti utenti stanno segnalando di aver scoperto il contatto con un positivo solo aprendo la app sullo smartphone, senza aver ricevuto alcuna notifica.

Ma quali possono essere le chiavi che hanno garantito un «cordone sanitario» a Corea, Giappone, Australia? Prendiamo il caso del Giappone. Qui il successo nella lotta al coronavirus è attribuito innanzitutto all’uso diffusissimo tra la popolazione della mascherina anche prima della pandemia, anche solo per proteggere se stessi e gli altri da raffreddori e allergie. Ma una nota disponibile sul sito dell’ambasciata di Tokyo in Italia spiega anche di più. «L’intuizione fondamentale che ci ha aiutati nella lotta contro il Covid è la nozione di cluster di trasmissione», scrive Yosutoshi Nishimura, ministro incaricato della lotta al Covid. Cioè: pochi gruppi determinano una altissima contagiosità e dunque è necessario intervenire su quelli in maniera «chirurgica», isolandoli. Un criterio di mappatura e di incrocio dei dati che ha comportato un ampio impiego di nuove tecnologie di fronte al quale il Giappone non è stato colto impreparato. «Gli esperti della sanità giapponese», prosegue il documento, «hanno utilizzato la tecnica del “tracciamento retrospettivo”», ricostruendo i movimenti del paziente molto precedenti il contagio. In secondo luogo si è cercato di prevenire le situazioni considerate a più alto rischio: spazi chiusi, spazi affollati, contatti ravvicinati. Il tutto facendo ampio ricorso a tecnologie informatiche ed intelligenza artificiale. «Il nostro “new deal digitale” – scrive ancora il ministro Nishimura – ha reso il lavoro da casa più facile promuovendo aggressivamente la tecnologia del telelavoro, liberando le persone dalla necessità di utilizzare i treni di Tokyo affollati di pendolari». La tecnologia si è rivelata infine un supporto indispensabile per la pratica dei test rapidi salivari e per gli anticorpi. (Corriere.it)