Gratteri va troppo in tv?

Il procuratore di Catanzaro Gratteri ha detto a Nicotera dove ha presentato il libro “Non chiamateli eroi” scritto con Antonio Nicaso: «La comunicazione è la mia unica arma di difesa: se io non avessi questa notorietà, a quest’ora, mi avrebbero fatto poltiglia non appartenendo io a correnti, centri di potere e non avendo partiti».
«Spesso vengo criticato – ha proseguito Gratteri – perché vado continuamente in televisione: più me lo dicono e più ci vado perché penso che serva raccontare un fenomeno e spiegare la soluzione al problema di quel fenomeno». Chiaro riferimento anche alle sue recenti uscite pubbliche nella polemica sulla riforma Cartabia, che il magistrato ha affrontato criticando aspramente gli intendimenti del governo Draghi.
Cerchiamo di ragionare su questi pensieri di Gratteri che rivendica la sua esposizione mediatica dunque sulla base della necessaria autodifesa di un uomo libero, e sulla base della necessità di proporre soluzioni ai problemi. Mi sarei aspettato un ragionamento diverso (anche se forse è sottinteso), la mafia attacca il magistrato lasciato solo, a meno che, come nel caso di Falcone e Borsellino,  non prevalga l’opzione stragista e l’attacco al cuore dello Stato. Ma detto questo, per cui Gratteri fa bene a  usare i media se diventa così molto più conosciuto al grande pubblico, c’è una differenza da fare tra i giudici che vanno spesso in tv con quelli che presentano dovunque i libri che scrivono.

Ecco, la differenza tra le due “modalità” è evidente, non facciamo confusione. Una cosa è scrivere un saggio (Gratteri ne scrive due all’anno, e nessuno sa dove trovi il tempo) e quindi, per ragioni editoriali, presentarlo in librerie e convegni; altra cosa è invece comparire spesso in tv.

La domanda è appunto: quale magistrato italiano compare spesso o troppo in tv? Di questi tempi è noto Palamara, ma è ormai un ex e cura i processi; altri due sono Davigo e Nordio, ma sono ormai in pensione. Restano in mente invece tutta una serie di magistrati, da Vitalone a Violante, da Ayala a Di Pietro, da Emiliano a De Magistris. Sono i magistrati transitati per la politica, per la caratteristica italiana di consentire le porte girevoli tra magistratura e politica. Gratteri dovrebbe capire innanzitutto che l’opinione pubblica lo sta identificando come uno in procinto di fare il salto in politica. Cosa che peraltro era già avvenuta se Napolitano non avesse bocciato la sua nomina a ministro della Giustizia.

Ma poi c’è un altro risvolto della sovraesposizione televisiva che è ormai diventato un dato di fatto.  I giudici non emanano norme ma sentenze, decidono liti applicando il diritto. E’ evidente che se, come succede spesso e volentieri, si appellano alla libertà di manifestare liberamente il pensiero, in tv o con qualsiasi mezzo, come un qualsiasi cittadino, giornalista, scrittore, il potere giudiziario tracima sugli altri poteri, facendo venire meno quell’equilibrio tra i poteri che sta alla base dello Stato di diritto.

Come va giudicata la dichiarazione con cui un funzionario di giustizia, in faccia a una Commissione parlamentare, lamenta che il governo della Repubblica sta apprestando un sistema in cui «ancor di più conviene delinquere»? Forse, come dice Iuri Maria Prado, è un po’ incontinente.

Il mio professore di procedura penale mi spiegò che la coperta è sempre troppo corta e la politica decide a seconda delle stagioni dove spostarla. Verso i diritti degli imputati o verso i pm. “Resta da domandarsi se sia appropriato, da parte di un procuratore della Repubblica, dichiarare che, semmai la riforma fosse approvata, gli appelli e i ricorsi che potranno essere interposti avrebbero l’unico scopo (non l’effetto, questa volta: lo scopo) di «dare più lavoro ed ingolfare maggiormente la macchina della giustizia»: cosicché l’attribuzione di un diritto (il desueto diritto di difesa) dovrebbe trovare motivo di ripensamento e revoca perché lo Stato non ha abbastanza risorse per sbrigarne il trattamento”.