Le idee di Albanese coincidono con quelle di Schlein e dei massimalisti

Oggi sul Corriere Massimo Gramellini tra il serio e il faceto spiega Francesca Paola Albanese (Ariano Irpino, 30 marzo 1977). Ella è una giurista italiana, esperta di diritto internazionale, specializzata in diritti umani e Medio Oriente. Dal 2022 è relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati. Diventata famosa per aver rimproverato il sindaco di Reggio Emilia che (sic) la stava premiando e ha avuto il torto di nominare gli ostaggi israeliani ancora prigionieri di Hamas, ha poi continuato a farsi conoscere perchè in tv ha dichiarato che la senatrice Segre essendo troppo coinvolta non può parlare di “genocidio”. Secondo me l’Albanese è una prova vivente di cosa sia diventata la sinistra italiana, una sinistra dalla quale quelli come me sono ben distanti. Il Pd di Schlein come tutti quelli della flottiglia e una parte (non so dire quanto numerosa) di quelli scesi in piazza per Gaza condividono le stesse idee dell’Albanese. Ora, la differenza tra uno come me e l’Albanese è presto detta: io concepisco che sul piano delle idee ci sia qualcuno che la pensi diversamente da me, su qualsiasi tema o argomento; cosa diversa è se invece di limitarsi ad esprimere le sue idee, passi all’azione (è un’azione quella dell’Albanese che rimprovera in pubblico il sindaco di Reggio Emilia; è un’azione quando lascia lo studio televisivo e se ne va). Noi tutti sappiamo che la storia del movimento operaio è una lunga storia di divisioni, scissioni, abiure. Persiste ancora oggi la frattura tra riformisti e massimalisti e secondo me (parere personale) molti fanno finta di non ricordare che Mussolini nacque socialista massimalista e quindi quando oggi l’estrema sinistra odia l’Occidente e il mercato quanto l’estrema destra – in Italia e nel mondo – non è affatto un inedito storico (coincidenza degli opposti) e nessuno dovrebbe sorprendersi. I massimalisti (non accettano soluzioni intermedie, vogliono sempre il massimo), presenti tra i palestinesi e gli israeliani, con-dividono la stessa idea, che la guerra non finisca mai. Pertanto, se oggi il pd di Schlein va d’amore e d’accordo con Conte e con Avs, significa che il massimalismo (G.M. Serrati vinse il congresso di Bologna del 1919), che poi è quello di Albanese, di Travaglio, di Santoro, di Di Cesare -per delineare bene il contesto pubblico – in questo 2025 controlla il maggior partito della sinistra italiana. Come in Israele c’è al potere Netanyahu espressione della destra più estremista, in questo frangente storico ai riformisti come me (e Mattarella) tocca in Italia il compito di arginare gli estremisti che con una manovra a tenaglia dall’esterno (le primarie) si sono impadroniti del pd rendendolo simile alle Francesca Albanese che ci sono in giro a far danni. Come ha scritto Francesco Verderami, anche la disfatta calabrese del campo largo alle regionali fa “avvertire l’assenza, oltre che di un programma, anche di uno spirito comune che nemmeno la piazza riesce per ora ad accendere. Il sostegno alla flotilla e alle manifestazioni pro-Pal, a leggere i dati di Marche e Calabria, non ha prodotto la scintilla: come se una maggioranza silenziosa valutasse giusta la protesta a favore del popolo gazawo ma strumentale l’atteggiamento dei partiti, o ritenesse valida la linea di politica estera del governo“. Le idee di Albanese, voglio dire, non possono rappresentare “lo spirito comune” che anima la sinistra italiana. In politica non si vincono le elezioni con una semplice calcolatrice in mano, centinaia di anni di storia e quella frattura insanabile di cui parlavo dovrebbero averci insegnato che riformisti e massimalisti non possono stare insieme. Perchè lo spirito comune se non esiste non può esser sostituito dal giochetto del “ma anche”, da rimozioni forzate, da operazioni elettorali improvvisate. Curiosamente Schlein & Albanese fanno la stessa operazione che in tv fa una Mara Venier: “accumula passato, non cessa di fabbricarne e di precipitarvi il presente, senza dargli la possibilità di respirare”.

PS: La più profonda considerazione che ho letto su Francesca Albanese è la seguente: “Non so se dopo Francesca Albanese il mondo non conoscerà più genocidi. Sospetto però che intere generazioni dovranno impegnarsi tantissimo per far risorgere il senso del ridicolo, e non è detto che ce la facciano”.

(Massimo Gramellini) Per l’esimia giurista Francesca Albanese, a cui va la nostra gratitudine per tutto il tempo che trascorre quotidianamente in tv nel tentativo davvero improbo di istruirci, la senatrice Liliana Segre non è autorizzata a intervenire su Gaza. Se hai un tumore, spiega l’esimia, chiedi la diagnosi a un oncologo, non a qualcuno che è sopravvissuto alla malattia. Un paragone di buon gusto, non c’è dubbio, e dalle applicazioni sorprendenti. Nel mondo della marchesa del Grillo («io sò io e voi…» con quel che segue), solo gli psicologi e i criminologi potrebbero discutere di femminicidi, non le vittime scampate alla morte, troppo coinvolte emotivamente per riuscire credibili. In uno slancio di generosità, Albanese si dichiara disponibile a parlare di genocidio con «accademici sionisti» (esisterà un albo apposito?), ma non con Segre e men che meno con giornalisti, politici e cittadini in genere, che soffrono, dice, di «analfabetismo funzionale».

A forza di studiare la democrazia di Hamas, può darsi che Albanese abbia finito per ridisegnare i contorni di un concetto che noi analfabeti funzionali ci ricordavamo un po’ meno elitario. Una volta la democrazia non consisteva infatti nel parlare con tutti e, soprattutto, nell’ascoltarli? O almeno nel fingere di farlo, invece di alzarsi di scatto dalla poltrona di uno studio televisivo, come ha fatto lei, piantando in asso gli altri ospiti per punirli del grave torto di non volerle dare sempre ragione.