L’Italia ha un problema che sovrasta tutti gli altri, persino l’alto debito pubblico: la scarsa produttività della nostra economia. Essa genera bassa crescita e bassi salari, un tema che finora questo governo ha totalmente tralasciato.
La produttività dipende dalla qualità del capitale umano, che si forma nelle scuole prima che nelle università, e dagli investimenti delle imprese. Cominciamo dalla scuola.
Le circolari del ministro Valditara sembrano inseguire le richieste di tanti genitori preoccupati soprattutto che i programmi scolastici dei loro figli non interferiscano con i weekend della famiglia: «Evitare che più verifiche vengano svolte nello stesso giorno, con un carico di lavoro troppo gravoso per gli studenti; distribuire i compiti per casa equamente nel corso della settimana, con una migliore organizzazione dello studio, soprattutto in concomitanza delle giornate festive; rafforzare sempre più la positiva collaborazione fra famiglia e scuola» (Circolare alle scuole del 28 aprile scorso). Siamo lontani da un progetto il cui obiettivo è la qualità del capitale umano.
Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, ottimo conoscitore del mondo della scuola, individua tre fallimenti: insegnanti poco pagati, ai quali lo Stato chiede poco lavoro e promette scarsi controlli, assenza di incentivi, fallimento delle procedure di assunzione. Gli stipendi degli insegnanti italiani sono bassi, anche in relazione ad altri Paesi europei, la progressione retributiva dipende solo dall’anzianità, il tempo dedicato alla scuola, al di là delle ore di lezione in classe, è lasciato alla buona volontà degli insegnanti, infine la tolleranza dei permessi di assenza dal lavoro consente la diffusione dell’assenteismo. Da qualche anno il progetto «Scuola in chiaro» del ministero (un esempio di quanto sia importante disporre di buoni dati per prendere buone decisioni) rende disponibili i dati delle assenze (per malattia, maternità e altri motivi) degli insegnanti a livello di singola scuola. (v. esempi in fondo)
Adriana Di Liberto e Marco Sideri scrivendo su lavoce.info il 5 maggio scorso forniscono qualche indizio sull’esistenza di un legame tra le assenze dei docenti e i risultati degli studenti. Questi dati mostrano che le province in cui i tassi di assenza per malattia dei docenti sono più elevati, sono anche quelle in cui il fenomeno dell’abbandono scolastico è più diffuso.
Infine i criteri di assunzione. Il governo ha varato un nuovo criterio per l’assunzione degli insegnanti basato sulla formazione e su un esame di abilitazione che dovrebbero garantire la qualità dei nuovi docenti. Il cardine del meccanismo è la formazione: se i futuri insegnanti sono ben formati e motivati, il meccanismo di assunzione diventa quasi secondario.
La formazione degli insegnanti è stata di fatto delegata alle università telematiche. Queste lo scorso anno avevano raggiunto 274.000 iscritti, un quinto di tutti gli iscritti agli atenei pubblici. Una crescita abnorme dovuta agli enormi profitti che queste università generano (e infatti molte sono di proprietà di fondi esteri) e alla totale mancanza di controllo da parte dello Stato.
Una scelta coraggiosa, peraltro non incompatibile con il dettato costituzionale, sarebbe consentire alle scuole di scegliere i propri insegnanti: sono le scuole stesse che conoscono le proprie esigenze e le proprie necessità e che hanno l’incentivo ad assumere bravi insegnanti. Un meccanismo che dovrebbe essere affiancato da un’attenta valutazione del lavoro dei dirigenti scolastici, tenendo conto anche dei risultati degli studenti.

