Prudenza e partecipazione per il tandem uomo-AI

Tra i compiti che i modelli di Ai generativa compiono meglio – è un po’ come se giocassero in casa – c’è la scrittura del codice di nuovo software. E così le macchine attuali stanno lavorando per progettare, insieme all’uomo, la loro generazione successiva. E così a seguire.

«Chi dunque arriva primo al nuovo modello performante, ha un vantaggio competitivo letteralmente esponenziale», spiega Nello Cristianini, docente di intelligenza artificiale a Bath e autore di una trilogia sull’intelligenza artificiale (l’ultimo libro è «Sovrumano», Il Mulino). La conseguenza? «Che le grandi multinazionali protagoniste di questo capitolo dell’Ai stanno andando di corsa». In assenza però della definizione di un altro tipo di modello, quello della coesistenza tra l’essere umano e le nuove macchine «pensanti».

«Ma se la tecnologia ci sta davvero portando verso un mondo nuovo, è come se stessimo facendo un trasloco, in un’altra casa. Dove però rischio di sbattere contro i muri, perché non è la mia casa, non ci sono abituato», ha spiegato Miguel Benasayag al pubblico presente al Tecnopolo di Bologna.

Il filosofo e psicanalista, autore del saggio «ChatGpt non pensa (e il cervello neppure)» (Jaca Book), ha raccontato il concetto di delega di funzione, «un meccanismo assolutamente normale nell’essere umano e che abbiamo incontrato in molti punti della nostra storia».

L’esempio scelto è quello dell’invenzione della scrittura, un grande momento di «delega» per il nostro pensiero, che ora poteva essere trasferito sulla pagina. Ma si è trattato di un passaggio di consegne che è avvenuto su tempi lunghi, e dunque ben metabolizzato, anche dal nostro cervello che ha avuto modo di «riciclare» le risorse lasciate libere per svolgere altri compiti. «Quello succede oggi è invece che la delega di funzione – a livello individuale ma anche sociale, scientifico, economico – è massiva e troppo rapida».

L’errore di fondo, sostiene il filosofo di origine argentina, è l’assimilare l’essere vivente alla macchina, dove il cervello è l’hardware e il pensiero il software. «Ma questo è sbagliato, da un punto di vista biologico». In una corsa frenetica verso l’innovazione, serve dunque il definire in che modo l’umano e la macchina, diversi tra loro, possono convivere.

«Dobbiamo arrivare a capirlo prima che sia tardi, perciò quello che chiedo è prudenza». Servono regole, e questo è il momento per scriverle: l’ha ricordato anche papa Leone, in uno dei suoi primi discorsi. «Alcune cose possono andare veramente male, e quindi è urgente comprendere che impatto può avere quello che stiamo facendo», prosegue Cristianini. «Servono filosofi e giuristi. Che però devono avere reale contezza di quanto stiamo parlando». La ricetta, secondo il docente di Gorizia, può dunque essere una sola: «Partecipare a questo grande cambiamento». Il rischio, altrimenti, è quello di trovarsi in un mondo costruito da altri. E che non è più il nostro.