(…) Mi pare che l’unica differenza, rispetto a prima, sia che gli automatismi lessicali sono diventati patrimonio anche degli intellettuali, e non solo delle Vongole 75. Che ormai, sarà il PhD di cittadinanza o il fatto che se non appartieni a nessuna curva nessuno ti mette like e fatichi a percepirti vivo, non ci sia più nessuno che vive di precise parole.
L’intelligenza artificiale è uguale: non capisce mai cosa ti serve, ma è convinta di sì. È convinta di sapere che, se io cerco su Google “Carrère 2021”, non stia cercando soccorso perché sono così rimbambita che non mi ricordo il titolo di “Yoga”, ma voglia sapere in che ordine vadano letti i libri di Carrère, e prontamente mi rassicura che certo, sarebbe meglio cominciare da “Limonov”, ma posso leggerli nell’ordine che desidero (grazie, intellige’, meno male che m’hai dato il permesso, comunque se te lo chiedono davvero suggerisco di farli cominciare da “L’avversario”).
In un vecchio libro-intervista del 2016 in cui conversava con Antonio Gnoli, “Passo d’uomo”, Francesco De Gregori raccontava un episodio.
Riferiva De Gregori che, nella versione di Dalla, una sera in cui si erano ritrovati a cena con Enrico Berlinguer, quello aveva chiesto a De Gregori la differenza tra una chitarra acustica e una elettrica, e lui – lui De Gregori – si era ammutolito invece di rispondere. A De Gregori pare plausibile, come reazione: «È una differenza che sai o non sai, e poi spiegarla al segretario del Pci sarebbe stato comico».
Se Berlinguer oggi chiedesse a Google, quello gli spiattellerebbe lì innanzitutto l’intelligenza artificiale che dice che «La chitarra acustica ha un corpo in legno che amplifica il suono in modo naturale, mentre la chitarra elettrica utilizza pickup magnetici per convertire le vibrazioni delle corde in segnali elettrici che vengono poi amplificati». Praticamente: la chitarra acustica è acustica, la chitarra elettrica è elettrica.
Sembra un’ovvietà, come quando Max Catalano diceva che è meglio essere ricchi e infelici che poveri e infelici, ma pure la definizione di «ovvietà» cambia nel tempo, e non lo dico solo perché oggi di certo s’indignerebbe qualcuno per il classismo di Catalano. Lo dico perché ho rivisto su RaiPlay un po’ di “Quelli della notte” (la settimana scorsa erano quarant’anni dalla prima puntata), trovandolo persino più noioso di quanto mi sembrasse a dodici anni. La differenza è che allora pensavo fosse una cosa per grandi, adesso l’idea che i miei genitori quarantacinquenni si scompisciassero mi imbarazza parecchio. Oddio, mio padre rideva tantissimo anche del «ce l’ho qui la brioche» di “Drive In”, quindi forse quest’idea che una volta gli adulti fossero intelligenti devo riconsiderarla.
Comunque, che sia un’ovvietà il fatto che la chitarra acustica sia acustica è per ora vero, ma ricordiamoci di controllare se sarà ancora ovvio tra quarant’anni: alla prima puntata di “Quelli della notte”, Max Catalano diceva che se nasci maschio sei uomo e se nasci femmina sei donna, e chi glielo doveva dire che là, dove lui pascolava l’ovvietà come stilema comico, quarant’anni dopo ci sarebbero state le guerre culturali.