Germania/ Perchè l’ ammiro da Brandt in poi

L’uomo che mi fece capire la politica adulta fu Olof Palme (1927-1986), il socialdemocratico svedese che fu come premier in carica dal 1969 al 1976 e poi dal 1982 sino all’attentato che gli diede la morte. Negli stessi anni mi appassionò un altro socialdemocratico tedesco, Willy Brandt (1913- 1992), cancelliere dal 1969 al 1974. In Italia ancora oggi, 2024, dirsi socialdemocratico significa essere considerato in maniera dispregiativa “moderato”, pieni come siamo di rivoluzionari di destra e sinistra che pontificano in tv e sui giornali.

Attraverso Brandt ho conosciuto il sistema politico tedesco e oggi non c’è un altro Stato che ai miei occhi rappresenti il punto più alto del governo di un popolo. Certo, i tedeschi sono un popolo molto diverso dal nostro e l’esempio più semplice che si possa fare per far capire le differenze culturali con noi è quello che non ci si può presentare a casa di qualcuno senza preavviso. Ma c’è un esempio ancora più istruttivo: se la folla deve oltrepassare una porticina per accedere ad un ufficio, i tedeschi si dispongono ordinatamente in una sola fila, gli italiani formano decine di file come i raggi di una ruota, finendo per litigare per stabilire quale raggio debba passare primo. Lo stesso succede in qualsiasi strada dove c’è una interruzione, gli italiani non accettano di disporsi in una unica fila, ma cercano lo spazio per formare la propria fila.

Nei nostri istituti tecnici specializzati (Its) italiani studiano solo diecimila studenti, contro gli ottocentomila della Germania, nostra principale competitrice per l’industria manifatturiera. Forse che quella istruzione non è istruzione? Nelle Berufsschulen tedesche si accede a un contratto di formazione in azienda prima ancora che si cominci la scuola, ma con l’accredito fornito dalla scuola. È una educazione che mette in relazione con il lavoro da subito.

A proposito di file, il sistema scolastico tedesco è detto duale perchè è costruito su due file o percorsi: uno finisce con la laurea e l’altro col diploma. Fino a 21-22 anni un tedesco abbina in genere studio e lavoro, un italiano o va all’università oppure smette di studiare. All’età di 10 anni (avete letto bene, 10 anni) un bambino colà è indirizzato su uno dei due percorsi, ma la scelta è operata com’è giusto dai docenti e non dai genitori. Poi si può passare da un percorso ad un altro, è chiaro, ma non è agevole come facciamo noi italiani sulle strade che da due corsie si restringono ad una sola. Dopo il diploma nelle Berufsschulen, ecco la cosa che i politici populisti italiani non impareranno mai, in Germania si trova il lavoro nel giro di un mese, da noi tutti devono andare ad ingolfare le università per avere una speranza. La laurea in Germania e negli altri paesi europei avanzati è appannaggio dei soli studenti che hanno voti buoni sin dalle scuole elementari, da noi è ormai svilita da università telematiche dove basta pagare. In Germania bastano due sole materie insufficienti per essere bocciati, inoltre alle scuole superiori ci sono alcune materie fondamentali per tutti e poi tutta una serie di corsi tra i quali scegliere.

In Germania esiste dal 1949 la sfiducia costruttiva in parlamento per cui i trasformisti non possono far cadere un governo se non c’è un’alternativa già in piedi, in Italia la durata media dei governi è 414 giorni ma la durata effettiva è 380 giorni. In Germania dove la legislatura dura 4 anni, dal 1992 al 2022 ci sono stati 4 cancellieri e senza cambi di maggioranza tipo Conte 1 e Conte 2; in Italia 17.

In Germania un commerciante che vuol vendere magliette sportive per stare sul mercato deve avere in negozio tutti i tipi di magliette, da quelle più economiche a quelle più costose. Al contrario in Italia ogni negozio apre specializzandosi su un target di clienti: dai negozi che vendono magliette taroccate a quelli che vendono magliette a poco prezzo, ai negozi di lusso. Noi italiani siamo affezionati alla cultura del “piccolo è bello” e quindi la globalizzazione e i mercati internazionali hanno messo in crisi le piccole imprese, la nostra polverizzazione delle aziende.
L’Italia rimane quindi un Paese di piccoli Comuni. Infatti, gli Enti con meno di 5.000 abitanti sono ancora 5.521 (il 70% del totale), mentre 2.012 Municipi hanno meno di 1.000 abitanti (il 25,5%).
Dall’inizio del 2024 il numero dei Comuni in Italia e’ sceso a 7.896. Nel 2001 erano 8.101. Un processo lento, se confrontato con quello di altri Paesi europei: infatti, tra 2006 e 2023, mentre in Italia il calo è stato solo del 2,5%, in Grecia la riduzione è stata del 68%, nei Paesi Bassi del 25%, in Germania del 13%, in Austria dell’11% e in Francia del 5%.

In Italia abbiamo piccoli paesi e microimprese. In Germania, dove i consumatori cercano innanzitutto la qualità, hanno evitato la iperspecializzazione delle imprese commerciali per cui i centri commerciali o il web non hanno spazzato via i negozietti, i commercianti individuali, le piccole imprese. L’economia tedesca è commercialmente molto più integrata con il resto del mondo, mentre il 99% della nostra struttura imprenditoriale è composta da micro e piccole imprese (MPI) che, nel confronto europeo su dati Eurostat, rappresentano il 62,8% dell’occupazione delle imprese, superiore al 48,5% della media dell’Unione europea a 27 e al 40,8% della Germania e al 38,4% della Francia. Il nostro consumatore è abituato sempre a cercare l’occasione, l’affare.

L’incredibile trasformazione dell’economia tedesca è dovuta a un processo di decentralizzazione della contrattazione del lavoro senza precedenti. Ciò ha portato a una riduzione del costo del lavoro e alla crescita della competitività.
Questo processo di decentralizzazione risalente alla metà degli anni Novanta è stato reso possibile dalla struttura e dall’autonomia dei sindacati tedeschi. In un momento difficile per l’economia del paese, i sindacati hanno mostrato di essere molto più flessibili di quanto si potesse immaginare.
La politica -se non ci fosse stata l’autonomia nella negoziazione dei salari- da sola non sarebbe riuscita a realizzare una tale decentralizzazione.

Il nostro mercato nero nasce e si consolida su una cultura dei furbi, abituati a scovare gli sconti, le svendite, a comprare senza scontrino o fattura per risparmiare. Se io cerco in giro una maglietta Lacoste ma non sono disposto a pagare il prezzo alto dell’originale, cerco un succedaneo. I consumatori tedeschi cercano la qualità, la sostanza, noi ci accontentiamo della forma. In Italia si incentiva così l’imitazione farlocca, il proliferare del mercato nero, i furti e l’inganno. E’ la domanda che crea la sua offerta per cui restiamo sempre fermi alla logica che ha generato il contrabbando di sigarette, lo smercio delle droghe tagliate, la contraffazione, le truffe, l’evasione fiscale. In Germania il consumatore esige sempre il meglio e va a mangiare in un ristorante costoso se se lo può permettere. In Italia tutti possono accedere all’università da qualsiasi indirizzo e con qualsiasi voto (infatti il numero chiuso non ci piace) così come tutti vogliono andare in ristoranti stellati dopo aver visto in tv “4 ristoranti” o Masterchef.

Vivere al di sopra dei propri mezzi è la nostra cultura insieme con l’arte dell’arrangiarci. Ma questa arte riguarda tutti, nessuno escluso, consumatori, imprese, industriali, politici, sportivi. Fare di necessità virtù talvolta può anche essere estroso o fantasioso, ma quando tutti cresciamo bevendo sin dalla culla il latte dell’improvvisazione, nel privato e nel pubblico, la struttura economica viene plasmata di conseguenza.

Un giudizio conclusivo lo lascio ad un mio giovane amico italiano che vive in Germania da diverso tempo: “Prendiamo ad esempio un barbiere tedesco, deve essersi specializzato: chimica per la colorazione ed effetti delle sostanze sui capelli; cenni di storia della professione del barbiere; biologia focalizzata al capello… E’ vero che alla fine i tedeschi si fossilizzano su una cosa e non sanno improvvisare, nella testa io me li rappresento come il villaggio dei Puffi, dove ognuno sa fare una cosa bene…con pregi e difetti della cosa, a livello personale. Ma magari risvolti positivi per il funzionamento della società. Sono squadrati. Vivevo in una casa con altri colleghi. Ordinavamo la pizza e a turno andavamo a prenderla. Quando ho capito che ce l’avrebbero portata a casa con 1 euro in più, mi sono offerto di pagarli io. Non c’è stato verso, per loro era irrazionale”.