C’è una balla enorme che raccontano i due (Dio prima li fa e poi l’accoppia) in continua processione per le televisioni: Draghi è in continuità con Giuseppi. Il Recovery era tutto pronto solo che a Conte si è voluta sottrarre la gestione dei fondi che lui aveva ottenuto; inoltre, il piano vaccinale di Figliuolo non è forse la fotocopia di quello di Arcuri?
Nessuno osa mai far osservare a B&T che tale balla possono raccontarla e scriverla approfittando del silenzio a cui è tenuto il capo dello Stato, che è il vero bersaglio di tale concetto di “continuità”. La tesi travagliesca è esplicita, Bersani come al solito tracheggia (è o non è l’amico più vecchio di D’Alema?): Mattarella ha creato Draghi ma al suo posto avrebbe potuto nominare “la qualunque”.
Ora solo un pazzo furioso potrebbe paragonare Draghi con chiunque ma la politica è tutt’uno con la questione psichiatrica, la storia lo dimostra. Un giorno Mattarella spiegherà nei minimi particolari perchè è stato costretto a chiedere a Draghi di farsi carico dell’emergenza, nel frattempo una bugia ripetuta senza che nessuno la contesti (Mattarella defenestratore di Giuseppi) assomiglia alla verità. Ecco la malafede di B&T, fare di Giuseppi “il punto di riferimento imprescindibile per le forze progressiste”, secondo la definizione di Zingaretti al Corsera, e spiegare che è caduto per un complotto neoliberista-pluto-giudaico-massonico di cui la longa manus è stato il mite e silenzioso Mattarella. In questo scenario si noti che Renzi (e il ritiro di Iv dal governo) è la miccia ma l’incendio lo ha alimentato Mattarella col preciso scopo di affidare il governo al banchiere espressione del neoliberismo. Il governo scelto (quale?) dagli italiani alle elezioni 2018 è stato con un colpo di Stato cancellato.
Il Recovery, secondo B&T, era già pronto, Giuseppi lo aveva già preparato ma i miliardi non si potevano lasciare nelle mani di Giuseppi, lo hanno fatto fuori per passare all’incasso e così oggi abbiamo Draghi, l’ennesimo accentratore (scrive il Manifesto: Poche differenze col piano di Conte).
Non è così:
“Dopo 48 ore filate di videoconferenze e telefonate fra il governo italiano e gli uffici della Commissione, la trattativa si conclude con l’accettazione delle garanzie che Draghi offre in prima persona. Nel Piano predisposto dal precedente governo c’era una sola pagina dedicata alle riforme di attuazione del Recovery, «oggi ce ne sono 40», mettono nero su bianco a Palazzo Chigi. Come dire: la Commissione apprezzi lo sforzo di riscrittura del Piano fatto dal governo Draghi, che «è stato molto profondo» rispetto a quello che si è ritrovato in mano quando si è insediato. È stata anche una corsa contro il tempo: domani il Recovery sarà presentato al Parlamento, poi spedito a Bruxelles nella sua ultima versione”. (marco galluzzo)
Che bisogno c’era di cambiare l’autista ad una macchina che funzionava benissimo? In effetti il favore che hanno fatto a Bersani (ed è stato un errore di Draghi) è stato confermare il ministro della Salute, per cui la strana coppia B&T ora difende anche quel lestofante di Arcuri quanto Conte. Simul stabunt simul cadunt. Arcuri prima o poi sarà inquisito, per sapere quanto Conte (malgrado Ciampolillo si sia impegnato allo stremo) ci stava facendo rischiare la noce del collo occorrerà aspettare le parole di Mattarella. Chissà se col semestre bianco già si vorrà togliere qualche sassolino dalla scarpa come un suo illustre predecessore. Ne abbiamo viste tante ma certo che la sinistra vedova di Conte “Allende” ci mancava nel museo degli orrori. Tutto finirà ai primi di agosto quando il M5schegge passerà all’opposizione, come vogliono Conte, Travaglio e Dibba.
(massimo franco, 5/6/21) Si stanno moltiplicando i grillini che insinuano dubbi sulla permanenza del M5S nel governo di Mario Draghi. Hanno un elemento in comune: o sono ex ministri e ex sottosegretari, orfani del ruolo nei precedenti esecutivi; o esponenti che sentono il seggio parlamentare in bilico. L’impressione è che siano schegge di una nebulosa senza più controllo. Rappresentano l’ala perdente del grillismo, che attribuisce all’esecutivo ogni colpa: calo dei consensi, liti e diaspora. L’operazione è scoperta, e un po’ maldestra. Ma è un alibi comodo e dunque fa proseliti.
Lo schema poggia su tre «verità» di comodo. La prima è che Giuseppe Conte a Palazzo Chigi è stato spodestato da un complotto, e non da errori e da una gestione raffazzonata dei progetti sugli aiuti europei. La seconda, che il suo successore non avrebbe fatto meglio di lui, e si sarebbe visto fin dalla campagna sulle vaccinazioni. La terza, emersa nelle ultime settimane, è che Draghi sta smontando pezzo per pezzo il sistema grillino. Forse è l’unica «verità» rivelatasi esatta. Dunque, dicono i cantori dell’opposizione, meglio uscire dal governo.
Più che l’istinto ad assecondare il richiamo della foresta estremista, l’atteggiamento riflette frustrazione e incapacità di fare i conti con schemi e rapporti di forza inediti. Il fatto di mitizzare Conte, sottolineando la popolarità di cui gode, è figlio del ricordo struggente dei due anni e mezzo a Palazzo Chigi: anche se qualche sospetto sulla tenuta dell’ex premier deve serpeggiare. Ora che si è aperta la possibilità di avere un’elezione suppletiva per farlo entrare in Parlamento, a Roma o a Siena, affiora una punta di timore.
Un ex viceministro dei Cinque Stelle, Stefano Buffagni, ieri ha dichiarato che l’idea di candidare Conte nel quartiere romano di Primavalle sarebbe rischiosa. «Non vorrei mai presentarlo in un collegio difficile. Nel dubbio, a naso gli chiederei di candidarsi a Siena». Preoccupazione piuttosto singolare, perché si tratta del leader, in pectore da mesi, del M5S; di un ex premier; e di un seggio nella capitale amministrata dalla sindaca Virginia Raggi, descritta tuttora, con una massiccia dose di improntitudine, come vetrina del Movimento di governo.
La realtà è diversa. Pesa l’incognita di un Pd che teorizza accordi con il M5S ma si accorge ogni giorno di più della difficoltà di concretizzarli. Ancora, si fanno sentire le lacerazioni nel grillismo: il limbo nel quale è costretto da settimane Conte ne è l’emblema. E sullo sfondo rimane l’atteggiamento contraddittorio nei confronti del governo Draghi. Anche di questo l’ex premier del M5S rischia di diventare il simbolo, con prese di posizione amletiche che tradiscono una miscela di nostalgia per Palazzo Chigi, e di ostilità verso l’ex presidente della Bce.