Giordano e Vespignani/ O pensi al covid oppure al consenso

L’approccio fino a qui è stato fondato sull’«inevitabilità»: agire solo quando il contesto lo rendeva inevitabile, agire solo quando la gravità della situazione faceva apparire le restrizioni giustificabili alla maggioranza della popolazione. Che prima di intervenire «le persone» avessero bisogno di vedere i reparti d’ospedale pieni, veniva ripetuto già a febbraio e marzo in tutte le unità di crisi del mondo, quando gli scenari imponevano di muoversi subito. Di recente, perfino Angela Merkel ha ribadito lo stesso concetto. È comprensibile: attendere che i cittadini abbiano la disposizione emotiva adatta a capire perché viene presa una determinata decisione è un principio democratico, forse fa addirittura parte dei nostri valori condivisi. Peccato che non funzioni nella situazione in cui ci troviamo, peccato che lo abbiamo sperimentato dolorosamente già una volta. Se si aspetta che «le persone» abbiano la percezione viva del pericolo, significa che è già molto molto tardi. Se, in più, quelle persone vengono costantemente bombardate da informazioni contrastanti, la percezione collettiva del rischio sarà sempre più lenta da raggiungere. Non è inusuale che le decisioni politiche assennate divergano dal consenso allargato, ma la divergenza non è mai stata accentuata come negli ultimi mesi. Chi è alla guida dovrebbe esserne consapevole, e farsene carico. Il sacrificio della propria popolarità è purtroppo indispensabile alla causa. Perché quanto stiamo attraversando è immensamente più grande e importante della popolarità di chiunque. (…)


Abbiamo soffocato la prima ondata grazie alla concordia nazionale, ora rischiamo di soccombere alla seconda per discordia e per timore dell’impopolarità. (Corsera, Paolo Giordano e Alessandro Vespignani)