La storia di Roberto Saviano, lo scrittore che dal 2006 vive sotto scorta per aver scritto Gomorra, è terribile. In una intervista a Aldo Cazzullo (4/5/25) lui risponde così: Credeva che l’avrebbero uccisa?
«Sì. Nel 2006 avevo ventisei anni. Ero convinto di non arrivare ai trenta, che mi avrebbero ammazzato nel giro di cinque anni. Non potevo immaginare che il processo a Francesco Bidognetti, detto Cicciotto di Mezzanotte, il boss che con il suo avvocato mi minacciò, sarebbe durato sedici anni. E ancora non è finito. A volte mi sento ridicolo. E mi chiedo: vivrò la vita così?».
Cosa le manca di più?
«La libertà di movimento, la clausura è un incubo; e lo è anche dover sempre mentire per difendere gli spazi privati. Le mie relazioni amichevoli e amorose sono compromesse da come io ho deciso di vivere la mia condizione. Qualsiasi incontro lo devo fare in casa. Se esco, con cinque carabinieri di scorta, a volte sette, non sono certo invisibile. E la visibilità è la fine di ogni gesto intimo. La tensione, tra i processi e i casini vari, è così alta che chiunque abbia a che fare con me si sente in dovere di difendermi. E tutto questo è diventato pesantissimo. Frequentarmi significa stare dalla mia parte, essere inserito nella mia bolla. La sera di Pasqua i miei parenti, i miei amici mi hanno tenuto compagnia fino alle 7 di sera. Poi sono usciti per Napoli, hanno fatto le 4 del mattino, e hanno fatto benissimo. Ma io sono dovuto restare a casa da solo. Simbolo della mia esistenza».
È così anche per l’amore?
«Soprattutto per l’amore. Quando voglio bene a una persona, quando una persona mi vuole bene, il rapporto è sabotato. Lei ti saluta, esce, e tu resti chiuso. E non è colpa di chi esce, anzi nessun sentimento sopravvive alla gabbia. E sarei un uomo di potere? Mi viene attribuito un potere che non ho».
La accusano di essere un perseguitato di professione.
«E il fatto che continui a vivere viene letto come la negazione del pericolo: “Ma come, non dovevi morire ammazzato?”. Con Salman Rushdie sono amico da molti anni. L’ho visto a Torino e gli ho detto: lo sai che dopo l’attentato ti vedo più leggero?». «E il fatto che continui a vivere viene letto come la negazione del pericolo: “Ma come, non dovevi morire ammazzato?”. Con Salman Rushdie sono amico da molti anni. L’ho visto a Torino e gli ho detto: lo sai che dopo l’attentato ti vedo più leggero?».
Rushdie ha ricevuto almeno quindici coltellate, ha perso un occhio.
«È vivo solo perché l’attentatore non sapeva tirare di coltello. Eppure ora Rushdie si sente sollevato: non possono più dirgli che la fatwa, la condanna a morte, fosse tutta una messinscena. Che dolore vedere che le lame nel suo corpo l’hanno riconciliato con la verità della sua condizione. Nessuno può ancora accusarlo di godere di un rischio inesistente mentre girava per i party di New York City». «È vivo solo perché l’attentatore non sapeva tirare di coltello. Eppure ora Rushdie si sente sollevato: non possono più dirgli che la fatwa, la condanna a morte, fosse tutta una messinscena. Che dolore vedere che le lame nel suo corpo l’hanno riconciliato con la verità della sua condizione. Nessuno può ancora accusarlo di godere di un rischio inesistente mentre girava per i party di New York City».
Rushdie non aveva la scorta.
«È vero, e questo gli ha dato trent’anni di libertà. Poteva andare in giro, poteva scrivere di un altro argomento. Essere protetto significa anche essere ricattato dalla condizione in cui vivi. Come fare a uscirne è il mio pensiero costante. Soprattutto durante le crisi di panico». «È vero, e questo gli ha dato trent’anni di libertà. Poteva andare in giro, poteva scrivere di un altro argomento. Essere protetto significa anche essere ricattato dalla condizione in cui vivi. Come fare a uscirne è il mio pensiero costante. Soprattutto durante le crisi di panico».
Ora, riflettiamo sulla condizione di Saviano che non può fare un passo senza una scorta e però nello stesso tempo è considerato da molti come un impostore. Se la mafia lo voleva uccidere lo avrebbe già fatto, dicono. Questa condizione terribile di recluso considerato per giunta uno che sta ingannando tutti, io la ricollego ad altre vite di cui ora vorrei parlare.
Le vite distrutte di tutte le vittime di errori giudiziari. Nel 2024 i casi di ingiusta detenzione sono stati 552, per una spesa complessiva in indennizzi – di cui è stata disposta la liquidazione – di poco superiore a 26 milioni e 894 mila euro. Ora pensate alla condizione di questi 552 finiti in carcere e poi liberati. A loro è successo questo: dei magistrati hanno inferto sulla loro pelle un marchio, una sorta di tatuaggio indelebile che non potrà esser mai più cancellato. Il potere della magistratura è solo per questo incommensurabile a quello degli altri due poteri costituzionali. Ci sarà sempre vita natural durante, sino alla fine dei loro giorni, qualcuno che considererà quell’arresto, sia pure poi sconfessato e cessato, un simbolo, un segno di colpevolezza. Voglio citare un solo esempio soltanto, il caso di Filippo Penati, ex sindaco ds di Sesto San Giovanni, poi presidente della provincia di Milano, nonchè capo della segreteria politica di Bersani, assolto dopo 4 anni dal Tribunale di Monza dalle accuse di finanziamento illecito e corruzione. E’ deceduto poco dopo l’assoluzione, ma qualcuno ritiene che tutta l’opinione pubblica dopo l’assoluzione si sia convinta che sia stato vittima di un tragico errore? No, non è così, quando ti arrestano, o ti accusano, e i giornali illustrano solo la tesi dell’accusa, il processo, la sentenza finale, l’assoluzione, non possono incollare tutti i cocci del vaso che si è frantumato. Prima che abbia inizio il processo vero e proprio, la gogna mediatica produce l’effetto voluto da alcuni (non tutti) magistrati, che la reputazione del presunto colpevole vada in frantumi. Se poi fa il politico, un semplice avviso di garanzia lo induce a lasciare l’incarico. E’ un effetto politico spesso perseguito.
E non finisce qui, perchè l’effetto gogna produrrà per sempre i suoi effetti innestando nell’opinione pubblica un dubbio che non cesserà mai: chissà come, è riuscito a cavarsela.
Ecco, allo stesso modo di Roberto Saviano che dal 2006 vive sotto scorta ma essendo ancora vivo tanti hanno il dubbio che la scorta sia inutile perchè la camorra se avesse voluto lo avrebbe già ucciso, così tutti i mostri sbattuti in prima pagina dalle veline dei pm e poi assolti dopo il processo avranno la loro vita rovinata per sempre dalle insinuazioni di quelli che sussurreranno: alla fine è riuscito a scamparla. Bah! Il dubbio una volta che la cacca è stata sparata in circolo con il ventilatore non potrà mai venir meno. Se un povero cristo è stato in prigione, per un mese o per anni, e poi ne è uscito assolto, se cerca lavoro sarà sempre e per sempre uno che è stato in carcere.
C’è una differenza tra le vittime di ingiusta detenzione (cioè coloro che subiscono una custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari, salvo poi venire assolte) e chi subisce un vero e proprio errore giudiziario in senso stretto (vale a dire quelle persone che, dopo essere state condannate con sentenza definitiva, vengono assolte in seguito a un processo di revisione).
Per avere una prima idea complessiva di quanti sono gli errori giudiziari in Italia vale la pena di mettere insieme sia le vittime di ingiusta detenzione sia quelle di errori giudiziari in senso stretto. Ebbene, dal 1991 al 31 dicembre 2024 i casi sono stati 31.949: in media, quasi 940 l’anno (nota bene: in questo dato mancano però i totali dei soli errori giudiziari del 2023 e del 2024). Il tutto per una spesa complessiva dello Stato gigantesca, tra indennizzi e risarcimenti veri e propri: 987 milioni 675 mila euro e spiccioli, per una media di poco inferiore ai 29 milioni e 49 mila euro l’anno (e anche in questo caso, non è disponibile il dato complessivo per la spesa in risarcimenti da errori giudiziari del 2023 e del 2024).