La sinistra è nata con una rivoluzione, ha tagliato la testa a un re, ha inventato la lotta di classe, e si è esaltata per la Grande Guerra patriottica di Stalin. Ma oggi sembra non essere più in grado di fare i conti con un conflitto. Non sa da che parte mettersi, dove sia il torto e dove la ragione. Così, il più delle volte, finisce con il ritirarsi in un inutile atteggiamento di equidistanza, o di neutralità, se non addirittura di vigliaccheria. La sinistra italiana, per lo meno. Perché di sinistre ce ne sono tante. Proviamo a fare una mappa di ciò che ne resta dopo il terremoto della guerra all’Ucraina.
“Carristi” nel senso di ammiratori dei carri armati. Una corrente così è esistita davvero nel Psi, e fu poi all’origine della nascita del Psiup: la scissione di un gruppo di socialisti, guidati da Tullio Vecchietti, che non volevano rompere l’alleanza con i comunisti, nonostante questi si fossero schierati al fianco dell’Armata Rossa che aveva invaso l’Ungheria nel 1956, per rovesciare il governo di Imre Nagy. Fu un intervento militare non molto dissimile da quello in Ucraina: 150mila soldati e 6000 veicoli corazzati, con la scusa che a Budapest erano andati al potere i “controrivoluzionari”. Solo che gli ungheresi non riuscirono a resistere, e nessuno li aiutò.
I nuovi «carristi» sono i Pagliarulo e i Canfora. Convinti che i carri armati certe volte servono, come in questo caso; perché è in corso un «conflitto tra potenze », e l’artiglieria russa non fa altro che respingere l’aggressione della Nato e punire i «rivoltanti massacri operati dai nazisti di Kiev», denunciati con enfasi dall’attuale presidente dell’Anpi nel 2014. Ma il tratto nostalgico e vagamente neo-stalinista di questa componente è stato riverniciato di moderno (redwashing) solo grazie alla predicazione di Alessandro Orsini. Sociologo che ha studiato il terrorismo, dunque senza specifiche competenze accademiche in geopolitica, il professore ha proposto una teoria inevitabilmente un po’ rozza ma molto pop, che potremmo definire la Prima Legge di Clint Eastwood: «Quando un uomo con la pistola incontra l’uomo col fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto». Siccome Putin ha il fucile, agli ucraini conviene arrendersi per aver salva la vita.
La corrente “va’ dove ti porta il cuore”
Il cuore porta sempre da qualsiasi parte non ci siano gli Stati Uniti. È la corrente di chi si fa un vanto di essersi battuto per la libertà dei vietnamiti dall’imperialismo americano, dei palestinesi dall’imperialismo sionista, dei serbi contro la Nato, ma ora si batte per negare lo stesso diritto all’indipendenza degli ucraini; semplicemente perché l’imperialismo che li opprime non solo non è americano, ma è anzi il più potente nemico degli Stati Uniti. È il richiamo della foresta, che riporta Michele Santoro in tv e il vignettista Vauro a disegnare Zelensky con il naso adunco, come aveva già fatto con Fiamma Nirenstein, guarda caso anche lei ebrea. I “va’ dove ti porta il cuore” paiono essere un fenomeno solo italiano.
Per quanto Mélenchon in Francia sia fatto della stessa pasta, di fronte alla flagranza del crimine putiniano ha infatti almeno provato a glissare. Il candidato alle presidenziali della “gauche insoumise” era stato in passato molto comprensivo sia dell’intervento russo in Siria sia di quello in Crimea, ed è un sostenitore dell’uscita della Francia dalla Nato. Ma stavolta è corso a condannare l’invasione dell’Ucraina senza se e senza ma, perché «c’è un aggredito e un aggressore ». In Inghilterra la corrente laburista anti-Blair, che aveva partecipato alle grandi mobilitazioni contro la guerra all’Iraq, non ha alzato un dito per sostenere Putin (anche se bisogna ammettere che un paese senza “talk show” è naturalmente più al riparo dalla demagogia). E in Germania Die Linke è sostanzialmente irrilevante nel dibattito sul riarmo tedesco, deciso da un governo di socialdemocratici e verdi.
La corrente degli irenisti
Irenisti nel senso di “pace senza se e senza ma”. Anche se un carro armato sta per schiacciarti, o ti punta il cannone addosso mentre vai in giro in bicicletta, per costoro la scelta morale giusta è non difendersi, ma intavolare una trattativa. Seppure imparentata con nobili antenati, il pensiero non-violento e un certo radicalismo cristiano, la sinistra che ha abbracciato l’opzione etica della equidistanza non è sempre credibile. Se Donatella Di Cesare sembra sincera quando consiglia in tv ai profughi ucraini di alzare le mani, e Marco Revelli, figlio del partigiano Nuto, dichiara almeno di «capire gli ucraini che vogliono resistere» anche se sbagliano, Tomaso Montanari si è già distinto in passato per discriminare le vittime che hanno diritto alla Giornata del ricordo e quelle che non ce l’hanno (i morti delle foibe). Il che è poco cristiano, e forse anche poco radicale.
La corrente dei libertari
Sono quelli che la libertà viene sempre prima. E, per quanto spesso fuori dal coro della sinistra ufficiale, stavolta hanno scelto subito la parte degli ucraini aggrediti. Il più attivo Paolo Flores d’Arcais, storico direttore di MicroMega. Sessantottino inquieto, prima craxiano, poi occhettiano, poi girotondino, poi con Di Pietro e poi con Ingroia, poi elettore deluso dei Cinquestelle, Flores ha però una stella polare. Ed è quella che lo portò a sostenere il «dissenso» nei Paesi dell’Est comunista quando non lo faceva nessuno. Per la sua «sinistra illuminista », non mandare le armi a chi è aggredito da Putin sarebbe «un oltraggio alla Resistenza». Più meno sulla stessa linea lo scrittore Erri De Luca e Luigi Manconi, entrambi ex di Lotta Continua. Flores ha polemizzato con l’Anpi e con Montanari, aprendo una crisi tra i collaboratori della sua rivista e rifiutando la retorica degli «ucraini neonazisti». Si vede che non ha dimenticato come Mosca e i suoi servitori tedeschi battezzarono il Muro di Berlino: «Barriera di protezione antifascista».
La corrente Bruxelles
C’è un gruppo di politici italiani che è cresciuto o si è affermato a Bruxelles, e ha adottato in pieno il pensiero della classe dirigente formatasi negli anni al vertice delle istituzioni europee. Enrico Letta parla “europeo” fin da quando aveva i calzoni corti, da allievo di Andreatta interpreta l’europeismo in senso atlantico, e sta conducendo il Pd, sorprendentemente senza neanche una polemica interna, su posizioni di sostegno pieno a Kiev. Della stessa schiatta Emma Bonino, che all’europeismo aggiunge il pedigree radicale (gira in rete un’intervista del 2006 di Marco Pannella al Corriere dal titolo: «La resa ai dittatori chiamata pace»). Naturalmente nel gruppo c’è anche Paolo Gentiloni, commissario europeo. Ma la vera novità è stata l’adesione di Olaf Scholz, il Cancelliere socialdemocratico di Berlino, a una linea anti-Putin che neanche Angela Merkel si era mai permessa, finanziando con 100 miliardi l’ammodernamento della difesa tedesca all’interno della Nato, contro ogni tabù “neutralista” del passato, e bloccando la costruzione del gasdotto North Stream II.
La corrente ostpolitik
Non se l’è cavata invece altrettanto bene un altro leader della sinistra socialdemocratica, Steinmeier. L’attuale presidente tedesco è stato addirittura ostracizzato a Kiev, dove ha dovuto rinviare una visita di solidarietà. A causa di un passato da apertura alla Russia, che peraltro lui stesso ha criticato come un errore dopo l’invasione dell’Ucraina. L’aspirazione a tenere Mosca dentro un tessuto di dialogo e scambi commerciali, del resto, non è stata solo sua nella sinistra europea. Basti pensare a Macron, che ha tempestato di telefonate Putin, quasi al limite dello stalkeraggio, per convincerlo prima a non invadere e poi a fermarsi (senza successo: dopo gli orrori di Bucha ha smesso pure di telefonare). Anche Romano Prodi è stato in passato un paziente tessitore del rapporto Europa-Russia. Anch’egli deluso, è oggi favorevole a sanzioni dure contro Mosca.
La corrente Nato for ever
Ma l’effetto collaterale più clamoroso che l’invasione di Putin ha prodotto nella sinistra europea è stata la nascita di una corrente apertamente pro-Nato. Leader europei e partiti socialdemocratici che avevano fatto della neutralità tra i due blocchi il credo della loro politica estera, ora propongono ai rispettivi popoli, che a giudicare dai sondaggi sono pure d’accordo, di rifugiarsi nell’Alleanza Atlantica per evitare di fare in futuro la fine dell’Ucraina. È il caso di due giovani donne premier, la finlandese Sanna Marin e la svedese Magdalena Andersson, che con decisione spingono per l’adesione alla Nato. Il che è paradossale, se si pensa che all’inizio della crisi ucraina si sosteneva che i russi puntassero a una “finlandizzazione” dell’Ucraina. L’aggressione militare sta invece ricevendo come risposta l’ucrainizzazione della Finlandia.
D’altra parte le due leader della sinistra nordica hanno un illustre precedente mediterraneo. Sarebbe bene non dimenticare infatti, in un’Italia in cui i filorussi sembrano pullulare come in nessun altro Paese europeo, ciò che Enrico Berlinguer, allora capo del Pci, riconobbe nel 1976 parlando con Giampaolo Pansa per il Corriere: di sentirsi cioè più sicuro sotto l’ombrello della Nato che sotto il Patto di Varsavia. Scelta che molti suoi eredi, ai nostri giorni, sembrano proprio non avere ancora digerito.