Nadia De Munari, 50 anni, volontaria “permanente” della ong Operazione Mato Grosso, è stata uccisa in Perù. Gestiva sei asili con più di 500 bambini. Il ricordo della sua amica Rosanna Stefani di Schio.
«Una persona tenace. Una volta che ha individuato la sua missione è partita decisa». Così Rosanna Stefani, assistente sociale, ricorda la sua amica Nadia De Munari, la volontaria italiana, morta sabato in Perù, dopo essere stata aggredita mercoledì scorso. «La sua caratteristica – ci racconta al telefono – era l’attenzione alle persone, era molto attenta alla formazione spirituale. Non era mai superficiale». Un’amicizia nata in parrocchia nel quartiere Giavenale di Schio, dove Rosanna faceva, perché di qualche anno più grande, da animatrice per Nadia. A 25 anni, nel 1995, Nadia parte e va in missione come volontaria “permanente” della ong Operazione Mato Grosso. Da allora si sono scritte più di 100 lettere per un rapporto d’amicizia fatto di piccole cose e di impegno per gli altri. «La ricordo – spiega Rosanna – come una persona solare. Insieme abbiamo sempre scherzato molto perché oltre il lavoro comune ci piaceva divertirci. Una volta al suo rientro in Italia da una missione è stata operata ad una gamba. Nello stesso periodo mi ero rotta un braccio. In quel periodo raccoglievamo fondi in serate di beneficienza per i nostri poveri e tra noi commentavamo: “Non è che penseranno, tutte fasciate come siamo, che chiediamo soldi per noi?” Ci piaceva questa vita, mescolare il lavoro con la spensieratezza».
La sua scelta è stata coraggiosa. Non ha sorpreso pochi quando si è offerta di andare a Chimbote, una città edificata sulla sabbia, a sei ore dalla capitale Lima. Lei amante della Sierra, della montagna, della pace, della vita semplice dei piccoli centri. Per anni aveva vissuto a 3400 mt per portare la scuola ai bambini che vivevano in quelle comunità. A quell’altezza ci si arriva non con una funivia ma con percorsi a piedi faticosi e lunghi.
Ugo De Censi, il padre salesiano cofondatore della ong Operazione Mato Grosso aveva un sogno: costruire una cattedrale nel deserto. In senso letterale. In pochi anni, con il lavoro di decine di peruviani provenienti dalle scuole artigianali di tutto il Paese venne inaugurata una cattedrale sulla sabbia di Chimbote. Diventò un simbolo del Paese, frutto di un lavoro collettivo. Ma la cintura attorno alla città è piena di baraccopoli. Dalla Sierra molti scendono in città in cerca di fortuna. Non hanno niente e la città offre poco. In questo contesto la ong Operazione Mato Grosso costruisce sei asili con più di 500 bambini. Vengono affidati a Nadia De Munari, che da ragazza aveva studiato per diventare maestra d’asilo e si era diplomata alle magistrali. I bambini sono formati, mangiano e dormono in queste scuole costruite in poco tempo dai peruviani stessi. Sono bambini a cui serve tutto: viveri, vestiario, materiali per la scuola. Nelle sue lettere a Rosanna, Nadia racconta della sua vita e della sua gente per cui spende tutto il suo tempo ed energie. Con passione, con un amore che non è sacrificio, è fatica, costa, ma è un dono del cuore. Le condizioni sono difficili: manca tutto e sono senz’acqua. Ogni giorno l’acquistano dalle autobotti. Deve bastare per cucinare, pulire, bere, lavarsi. Ogni giorno nuova acqua.
Fino al tragico epilogo. Nadia dormiva da sola al terzo piano dell’edificio. Non vedendola arrivare alla messa delle 6 e 30 del mattino l’hanno cercata e trovata in una pozza di sangue. Ancora viva ma molto grave. Era stata aggredita nella notte tra martedì e mercoledì, probabilmente nel sonno. Sono spariti due cellulari ma non i soldi. Nessuno azzarda un movente tanto meno Rosanna. «Non ho alcuna idea del perché di questo delitto assurdo, ma hanno colpito per ucciderla. Non era a scopo di rapina. Forse si tratta di una vendetta perché diamo fastidio. Siamo stranieri, occidentali, siamo ritenuti ricchi. Eppure non possediamo nulla, anche le scuole non sono di proprietà della nostra ong, ma della Chiesa. Non era mai successo in Perù, di recente, nulla di simile. Nel 1992 era stato ucciso il nostro volontario Giulio Rocca dai terroristi di Sendero luminoso e nel 1997 padre Daniele Badiali. Pensiamo si tratti di vendetta personale, non certo da ricercare nel mondo dell’infanzia dove Nadia lavorava. Era la coordinatrice di cinque asili con 500 bambini ma forse la risposta è nel contesto dell’attività che svolgeva nel quartiere dove abitava a Nuova Chimbote».
Infatti oltre alla scuola, Nadia aveva una intensa attività di accompagnamento di famiglie della periferia di Nuevo Chimbote, persone poverissime che vivono in condizioni disumane, in pieno deserto, tra quattro mura di cartone. In questa situazione non si contano: abbandono, prostituzione, abusi di ogni genere, violenza. «Nadia accompagnava molti casi: il movente del suo assassinio va ricercato in questa sua attività, anche se non si sa di nessuna minaccia ricevuta. Nadia non ha mai parlato di difficoltà, era molto serena. Quando le autorità ci daranno la salma di Nadia la faremo rimpatriare in Italia per i funerali. I tempi non saranno brevissimi anche a causa del Covid che qui in Perù sta dilagando».
Ma cosa lascia Nadia dietro di sé, oltre al dolore per la sua scomparsa? Cosa farà il personale dell’Operazione Mato Grosso che lavora a Nuevo Chimbote? «Abbiamo una decina di volontari e gestiamo tre parrocchie nella diocesi con tre preti- conclude don Refosco-. Nella zona gestiamo una scuola primaria e una secondaria, una scuola di formazione per artigiani del legno, un comedor (una mensa, ndr) che sfama più di 1.000 persone tutti i giorni, e poi attività di catechesi, gli oratori con distribuzione di viveri. Abbiamo un progetto anche per dare una mano nella costruzione delle casette a chi scende dalla zona andina».
«La nostra – conclude Rosanna – è una storia di legami, aiutiamo in modo diretto le persone, le conosciamo una per una. Sappiamo chi sono e dove mandiamo i nostri aiuti». Per loro Nadia ha speso e dato la sua vita. Come già accaduto, altri la seguiranno. (dai giornali)